l'Antipatico

sabato 8 marzo 2008

aveva ragione Eugenio Scalfari...




Forse in alcune occasioni abbiamo dato l'impressione che uno dei giornalisti che più amiamo e rispettiamo, per la sua coerenza e per la sua capacità di rettitudine umana e professionale, risponda al nome di Eugenio Scalfari, storico fondatore de la Repubblica, nonchè pervicace e autorevole contestatore delle malefatte berlusconiane. Ecco, quell'impressione fotografa la realtà dei fatti. Noi la pensiamo e la vediamo quasi sempre come il giornalista laziale. Abbiamo sposato molte volte le sue tesi antiberlusconiane, abbracciandone spesso i toni e i contenuti critici degli innumerevoli articoli scritti, ed oggi vogliamo riproporre all'attenzione dei lettori di questo blog un suo vecchio articolo, uscito su la Repubblica il 24 gennaio 1994, proprio alla vigilia della famosa "discesa in campo" del cavaliere. Rileggendolo, ci siamo accorti che il senso e il concetto di fondo espresso nell'articolo possano essere condivisibili e intellegibili anche oggi, a distanza di tempo e alla vigilia della nuova discesa in campo elettorale del caimano e dei suoi accoliti. Il titolo del pezzo giornalistico recita "I pericoli dell'avventura". Eccolo. La fondazione del partito popolare introduce una variante ai nastri della partenza elettorale: sembrerebbe che i contendenti non siano più due ma tre e che la posizione di centro sia risorta dalle ceneri per merito di Martinazzoli e di quanti sono con lui nell'impresa di ridar voce e ruolo alla moderazione cattolica e laica rispetto agli "opposti estremismi" di destra e di sinistra. Ha fatto anche discutere in questi giorni un articolo del direttore della "Stampa" nel quale, analizzando il variegato schieramento di forze che dal centro si proietta verso destra, l'autore individua l'inconciliabilità dei moderati con chi rappresenta invece la "nuova destra", sanguigna, irruente e ostentatamente "muscolare". Il fatto poi che tutto l'universo politico italiano voglia fregiarsi dell'etichetta liberal-democratica non fa che stimolare i politologhi a discettare sui significati di quella definizione, accrescendo la confusione che le loro discettazioni vorrebbero diradare. Ci si consentirà dunque qualche chiosa a quanto in questi giorni e in queste ore sta accadendo, tra fondazione dei popolari, nascita dell'alleanza nazionale missina, fitti messaggi tra Lega e Fini e annuncio ormai ufficiale che anche Silvio Berlusconi scende in campo con la sua "Forza Italia". (Tralascio, perchè bisognerà occuparcene separatamente e diffusamente, la questione Berlusconi-Fininvest come soggetto politico e aziendale al tempo stesso: un'anomalia del genere non è mai accaduta in nessun paese del mondo ed è singolare che sia ancora così poco presente all'attenzione dei mezzi d'informazione e delle istituzioni preposte al buon funzionamento del mercato). Avremo dunque una forza di centro derivante dall'allealenza tra i popolari di Martinazzoli e i pattisti di Mario Segni poichè non sembra a questo punto possibile che Mariotto scavalchi i popolari a destra e vada ad unirsi con quella Dc di Cappaloni la cui presenza lo indusse un anno fa a uscire dal partito scudo-crociato. Ma per Segni il limite centriste impostogli da Martinazzoli è assai costrittivo: Segni infatti corre - se così si può dire - da futuro presidente del Consiglio; le forze che può portare in campo sono scarse, il nerbo del nuovo raggruppamento è costituito dalla ex Dc opportunamente depurata dalle scorie e dai clientelismi, o almeno così si spera; se questo raggruppamento conquistasse la maggioranza almeno relativa nel futuro Parlamento, Segni qualche "chance" l'avrebbe, ma se quel risultato non ci sarà, l'obbiettivo che l'ex leader referendario coltiva con visibile tenacia sarebbe assai più difficile da raggiungere. Questa è poi la vera ragione del suo tentativo, condotto addirittura oltre i limiti della prudenza, di aggregare anche la Lega e Berlusconi nella speranza che il "patron" di Fininvest si astenesse alla fine dallo scendere in campo. Suscita qualche perplessità constatare come alcuni conclamati valori cattolici (ma non soltanto cattolici) possano essere proclamati a parole e messi da canto nei comportamenti politici. Tra il "darwinismo" sociale berlusconiano e leghista di "vinca il più forte" e l'ispirazione dei cattolici democratici non ci dovrebbe esser ponte possibile e infatti Martinazzoli su questa differenza ha costruito la piattaforma politica del nuovo partito popolare. E' strano che Segni non l'abbia capito fin dall'inizio e non abbia desistito dal fare il pontiere tra due sponde troppo lontane per ispirazione e tessuto sociale; è strano che ancora oggi cerchi di spostare il raggruppamento cui appartiene su posizioni dove già sono accampati gli scissionisti della Dc, che tendono la mano non soltanto alla Lega e a Berlusconi ma addirittura a Fini e alla sua Alleanza nazionale. In realtà c'è una sempre più palese contiguità tra tutti questi anelli della catena di nuova destra: Bossi si allea con "Forza Italia" e con la Dc ceppalonesca; Berlusconi e Mastella fanno l'occhiolino a Fini, quest'ultimo è pronto a colloquiare anche con la Lega purchè viga un patto di spartizione geografica: Bossi al Nord, Fini al Sud, Berlusconi a far da mastice con la forza delle sue televisioni, dei suoi giornali e di qualche candidato yuppy o di qualche riciclato della vecchia nomenklatura sempreverde. Si tratta d'un raggruppamento abbastanza forte e soprattutto abbastanza armato di quelle armi che possono distorcere e manipolare il consenso. Ma di questo, l'abbiamo già detto, bisognerà occuparsi a fondo poichè diventa ora il tema centrale, per l'oggi e per il domani, della campagna elettorale. Qui era opportuno segnalare che i concorrenti all'inizio della gara sono tre. Nel futuro Parlamento i tre diventeranno due poichè non potrà che avvenire questo: o gli elettori negheranno a uno dei tre, quale che sia, una sostanziosa rappresentatività politica; oppure due dei tre dovranno accordarsi per governare una legislatura che avrà comunque una funzione costituente. E' importante che gli elettori comprendano bene il funzionamento del nuovo sistema elettorale e la filosofia che sta dietro di esso, che parte da una richiesta di semplificazione, di rapporto assai stretto tra candidati ed elettori e dalla regola che chi prende un voto più dei concorrenti guadagna l'intera partita. Non c'è molto spazio per le sfumature e per fortuna ce ne sarà poco anche per i funambolismi verbali. Quello che serve sono regole chiare e dure. Purtroppo su questo punto essenziale c'è un vuoto totale e da qui può emergere un serissimo pericolo d'avventura. Così terminava l'illuminato articolo di 14 anni fa di Scalfari. Vi preannunciamo che domani mattina pubblicheremo un suo articolo successivo, scritto il 27 gennaio 1994, intitolato "Scende in campo il ragazzo coccodè" (indovinate a chi era dedicato).

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]



<< Home page