aveva ragione Eugenio Scalfari...(capitolo 2)
Come anticipato ieri, vi riproponiamo un articolo di Eugenio Scalfari uscito il 27 gennaio 1994 su la Repubblica, dal titolo (illuminante) "Scende in campo il ragazzo coccodè" dedicato alla "discesa in campo" di Silvio Berlusconi. Buona lettura. In realtà la decisione di Berlusconi di scendere nell'agone politico-elettorale non è neppure una notizia. Berlusconi è infatti in campo da sempre, da quando è nato come imprenditore, perchè se c'è stato in questo paese un uomo d'affari profondamente e direi radicalmente intrecciato con la politica con i partiti e con le correnti dei partiti, questo è stato lui. A cominciare con la costruzione di Milano 2, avvenuta con l'autorizzazione e la concessione delle autorità comunali, alla nascita delle emittenti televisive e al loro sviluppo, avvenuta con l'appropriazione selvaggia delle frequenze e con il catenaccio politico che impedì per dieci anni l'approvazione di qualsiasi disciplina legislativa, fino ad arrivare al decreto Craxi-Berlusconi che fece riaccendere i teleschermi oscurati dai giudici che seguivano i dettami della Corte costituzionale, la carriera di Berlusconi imprenditore non è stata altro che una ininterrotta sequela di atti politici e affaristici indissolubilmente legati tra loro. Il partito di Berlusconi esiste dalla fine degli anni Settanta ed ha avuto una sua robusta rappresentanza parlamentare comprendendo i quattro quinti del partito craxiano, le correnti di Andreotti e di Forlani, i liberali di Altissimo, i socialdemocratici in blocco, buona parte dei missini e una larga fetta del gruppo dirigente repubblicano. Il perno di questo partito era il Caf (Craxi Andreotti Forlani) ante-litteram, che assunse poi un suo assetto istituzionale quando si trattò di far fuori De Mita, corpo estraneo nella palude centrista, che non era compatibile con lo sviluppo e il buon andamento degli affari del Cavaliere. Ma ci sono altri due aspetti politici molto importanti nella carriera imprenditoriale di Berlusconi. Il primo è la struttura "misteriosa" della proprietà del gruppo Fininvest, posseduta da 21 holding delle quali si ignorano i reali proprietari, nonchè dalla proprietà di un quarto di "Tele+", nascosta dietro il paravento di una società anonima lussemburghese della quale non si riesce a capire chi siano gli azionisti. Il tutto in barba alle leggi che prescrivono assoluta trasparenza per le imprese operanti nel settore della comunicazione e dell'informazione. Il secondo aspetto politico è il finanziamento del gruppo, fornito a piene mani per molte migliaia di miliardi da un ristretto giro di banche tra le quali primeggiano la Banca Nazionale del Lavoro, la Commerciale e il Monte dei Paschi. Banche pubbliche, sotto la diretta influenza del Caf per tutto il periodo della grande ascesa berlusconiana ed ora ingessate dinanzi ai loro crediti in larga misura inesigibili a causa dell'enormità delle cifre raffrontate al fatturato e ai profitti (perdite) del gruppo Fininvest. Il libero mercato del quale ha fatto lo slogan della sua campagna elettorale, Silvio Berlusconi lo ha sempre interpretato come un mercato libero per lui e bloccato per gli altri. Fino a che l'ha voluto lui, il Parlamento è stato impedito dal legiferare in materia televisiva, quando gli è tornato comodo ha ottenuto una legge tagliata su misura per lui, ma ancora protestando perchè quelle misure gli sembravano fin troppo strette. Per ottemperare alle formalità ha venduto il "Giornale" al fratello. Per ottemperare ad altre analoghe formalità si appresta a lasciare la presidenza della Fininvest al suo "doppio" Fedele Confalonieri: il tutto senza che ci sia uno straccio di autorità politica, amministrativa, giudiziaria che faccia rispettare le leggi e tuteli la libera concorrenza e il mercato. Sicchè l'alfiere del libero mercato è un signore che capeggia l'unico duopolio-monopolio che esista oggi nel nostro paese. Questo è Berlusconi, imprenditore liberal-democratico. in nessun luogo del mondo esiste una concentrazione di quella potenza nel campo dei mezzi di comunicazione e in nessun luogo del mondo sarebbe neppure minimamente pensabile che un "tycoon" di quelle dimensioni decidesse di fondare un partito e di mettersene alla guida. Questo è un primato da Guinness che appartiene unicamente a noi. Possiamo a buon diritto esserne fieri. Silvio Berlusconi è dunque in politica e fa politica da almeno 15 anni. Ma negli ultimi tre mesi ha cominciato a farla in presa diretta e non più per interposte persone. Ha trasformato l'azienda in un partito, ha distaccato al reclutamento e alla propaganda politica centinaia di funzionari e impiegati dell'azienda, ha finanziato campagne pubblicitarie e politiche, ha affittato immobili, ha destinato spazi crescenti dei suoi palinsesti alle promozioni politiche. Con quali denari? La domanda è pertinente in un paese dove tre quarti della vecchia nomenklatura è sotto processo per violazione delle norme sul finanziamento dei partiti. Allo stato dei fatti il gruppo Fininvest non ha profitti, come ampiamente dimostrano le analisi di Mediobanca. Non ha cash-flow perchè quello che c'è serve interamente per pagare gli interessi sull'enorme mole dei debiti. Dunque la Fininvest sta finanziando la nascita del suo partito aumentando l'esposizione verso le banche. Assistiamo cioè ad una situazione paradossale: nasce il partito di un monopolista, sistematico contravventore delle leggi esistenti, pur tagliate su misura per lui, finanziato con i soldi del sistema bancario, cioè dei depositanti italiani. Tutto ciò avviene sotto gli occhi compiaciuti di alcuni "tartufi" che fanno professione serale di liberal-democrazia. Potessero vedere dall'altro mondo l'indecenza di questo spettacolo, Luigi Einaudi, Benedetto Croce, Ernesto Rossi e Ugo La Malfa torcerebbero gli occhi inorriditi. Ma questo è il copione che quotidianamente va in scena da tre mesi e che da oggi andrà in scena a tutte le ore del giorno e della notte. Non è quindi una notizia la scesa in campo del Cavaliere. Ricorda quel momento magico in cui Wanda Osiris, la "Wandissima", coperta di lustrini e piumazzi appariva in cima all'altissima scala costruita in palcoscenico da quel magnifico impresario che fu Remigio Paone e cominciava a scendere con quell'incedere per metà da regina e per metà da soubrette mentre la musica attaccava "Ti parlerò d'amor". Ecco: da ieri sera Silvio Berlusconi ha cominciato a scendere la sua scala come la "Wandissima", anche lui coi suoi lustrini e i suoi piumazzi. La notizia è tutta qui. Ha ragione Ernesto Galli della Loggia nel bell'articolo scritto ieri sul "Corriere": sembra un uomo di plastica e il partito che ha reclutato è un partito di "yuppies" clonati sulla sua dimensione e sul suo profilo. Non c'è nulla delle speranze, dei bisogni, dei tormenti, delle idealità e anche dei sogni che sono il tessuto della politica nobile. C'è l'automaticità dei luoghi comuni, l'ossessione semplificativa, la smania del decisionismo fine a se stesso, la febbrilità del "tutto e subito" e l'arroganza della forza. Il sodale più sodale di Bettino Craxi scende in campo direttamente, s'inebria dei sondaggi, si autocontempla sui video come Narciso, si erge in tutta la sua statura di Grande Fratello. E inalbera, proprio lui, il vessillo del polo della libertà. Che spettacolo ragazzi. Sembra la notte di Natale. Verrebbe spontaneo di intonare "Tu scendi dalle stelle..." con quel che segue, ma sarebbe un canto alquanto blasfemo. Assai più pertinente mi sembra la sigla di Renzo Arbore e delle ragazze Coccodè in "Indietro tutta": "Perchè è così che si fanno i milioni/evviva le Televisioni/zum zum". Forza Italia, che anche questo ce lo manda la Provvidenza. Così terminava l'attualissimo articolo del 27 gennaio 1994 di Scalfari. Nulla da aggiungere da parte nostra se non che abbiamo deciso, da oggi al 13 aprile, di riproporre con cadenza settimanale (o più) altri pezzi storici scritti dal fondatore ed ex direttore di Repubblica. Anche per far riaffiorare la memoria storica dei nostri concittadini che si troveranno a passare per questo blog.
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