l'Antipatico

venerdì 2 maggio 2008

se telefonando...


In questi giorni post elettorali ne abbiamo sentite tante. Ne abbiamo lette di tutti i colori e di qualsivoglia interpretazione sulla sconfitta della sinistra (il 13 e 14 aprile) e su quella di Rutelli (il 27 e 28 aprile). Svariate giustificazioni, molteplici alambicchi mentali e culturali per cercare di dare un senso compiuto (e politicamente avveduto) alle analisi del giorno dopo. Molti giornalisti hanno cercato di spiegare il perchè e il percome, buttando (a volte a vanvera) fiumi d'inchiostro e migliaia e migliaia di parole. Ma quello che ha scritto su LA STAMPA di Torino una decana dei giornalisti (intelligenti) italiani, come Lietta Tornabuoni, ci ha fatto godere l'intero articolo, dalla prima all'ultima riga. Pensiamo di fare cosa gradita a quei lettori che si sono persi il pezzo nel riproporre integralmente quanto scritto dalla giornalista del quotidiano torinese. Buona lettura. Chi governa non vince le elezioni, nei periodi difficili: i bisogni e le aspettative degli elettori sono tali che nessuno riuscirebbe a soddisfarli. E per le sciocchezze? Alemanno quasi non era ancora sindaco di Roma, che Rutelli compunto annunciava in conferenza-stampa: «Gli ho già telefonato i miei auguri di buon lavoro». Aveva fatto lo stesso Veltroni vinto telefonando a Berlusconi vincitore: «L’ho chiamato per fargli gli auguri di buon lavoro». Ma perché telefonate? Per gentilezza, per amicizia? Per fare gli anglosassoni, per dimostrare fair play, per far sapere che mentre la sinistra sconfitta soffre voi pensate alla bella o brutta figura personale, per ostentarvi ancora una volta superiori dato che se aveste vinto voi Berlusconi o Alemanno mai vi avrebbero chiamato? Ma per cosa telefonate? Per etichetta, per formalismo? Per gli elettori romani della sinistra, davvero la sconfitta è dolorosa. Sinora, negli anni della Repubblica, era successo che il sindaco di Roma fosse un uomo di destra: ma di quella destra democristiana composta e spietata, borghese. Roma era stata per vent’anni la sede di tutte le gerarchie e le istituzioni mussoliniane: i fascisti, palesi o occulti, nella città del dopoguerra restavano massa, prima di venir sostituiti dai democristiani. La destra neofascista era un’altra cosa. Accanto ai «fascisti in doppio petto» come il segretario Almirante: picchiatori, prepotenti, rissosi, tifosi, autori di irruzioni e peggio nelle feste popolari, maneschi all’Università e nelle scuole, scrittori sui muri di slogan raccapriccianti, portatori di emblemi nazi, sempre col braccio teso nel saluto romano. Questi, davvero non erano mai arrivati al Campidoglio: però erano spesso testa a testa con la sinistra nelle elezioni cittadine. Persino adesso che «fascisti» è un termine più fuori moda che fuori tempo, adesso che sono passati tanti anni e i missini hanno cambiato nome e usi, l’avvento di Alemanno conserva per la sinistra romana qualcosa di allarmante, il suo benevolo proposito «Sarò il sindaco di tutti i romani» ha una sfumatura temibile. E tanti della sinistra patiscono pensando alle possibili conseguenze pratico-politiche e culturali: altro che telefonate...

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