l'Antipatico

venerdì 23 maggio 2008

quel 23 maggio 1992




Vogliamo ricordare con questo post quel terribile giorno di sedici anni fa, quando 500 chili di tritolo e T4 spazzarono via in un colpo solo le vite di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Vogliamo ricordare quella pagina nera della storia repubblicana del nostro Paese attraverso l'articolo che il giorno dopo, il 24 maggio 1992, Eugenio Scalfari scrisse sulla prima pagina de la Repubblica. Il titolo era: "Non c'è più tempo". Lascia allibiti l'attentato che è costato la vita al giudice Falcone, a sua moglie e agli uomini della scorta. Incute sgomento e paura. Ancora sangue in Sicilia, ancora morti, ancora mistero sugli esecutori e i mandanti, i quali avevano comunque perfetta cognizione dei movimenti delle loro vittime e sono stati in grado di programmare la strage con cronometrica esattezza. All'apertura della campagna elettorale fu ucciso a Palermo Salvo Lima; prima che si concluda l'elezione presidenziale è stato falciato Falcone: è terribile questa scansione che intreccia gli atti della malavita con le scadenze della politica, inquinando e avvelenando l'intera vita pubblica di questo disgraziato Paese. Falcone era il simbolo della lotta contro la mafia. La bomba fatta esplodere contro di lui riveste una gravità addirittura superiore all'assassinio del generale Dalla Chiesa; per la coincidenza con fatti politici di grande rilievo, vien fatto di paragonarla al rapimento di Aldo Moro, consumatosi nel momento stesso in cui si presentava in Parlamento il primo governo sostenuto dal partito comunista. Saranno coincidenze fortuite ma danno molto gravemente da pensare su un viluppo di questioni mai veramente rischiarato dalla luce della verità. Noi ci troviamo ora, nello stesso tempo, di fronte a tre emergenze: quella criminale, quella finanziaria e quella istituzionale. Mai la vita di questo Paese era arrivata, dal 1945 in poi, ad un punto così drammatico e cruciale. Mai come ora è necessario che la rappresentanza politica dia segno di estrema responsabilità e faccia prevalere gli interessi dello Stato su quelli delle parti e delle fazioni. Entro oggi il Parlamento deve eleggere il presidente della Repubblica. Possibilmente entro domani il nuovo eletto deve designare il nuovo capo del governo. Si tratterà d'un governo d'emergenza, impegnato a ripristinare la legalità nelle regioni dove il crimine impera, a tamponare le falle d'un bilancio sconvolto da una dissipazione durata decenni, a riformare la legge elettorale affinchè cessi l'indecente balletto d'una rappresentanza nazionale che sembra ormai la veste d'Arlecchino. Non c'è più tempo per i giochi e i veleni d'una nomenklatura sconfitta dai suoi stessi errori e dalle sue corruttele prima ancora che dal voto degli elettori. Non c'è più tempo per gli sgambetti, le mosse e le contromosse di quanti avrebbero dovuto da tempo andarsene sotto il peso delle sconfitte e del giudizio negativo della Nazione. L'assassinio di Falcone non priva soltanto lo Stato d'un servitore efficiente e fedele, ma sottolinea l'impotenza degli apparati preventivi e repressivi e richiede una svolta radicale nella politica giudiziaria e nel controllo del territorio: temi sui quali il nuovo governo, assistito e delegato dal Parlamento, dovrà agire con la massima fermezza, urgenza e responsabilità. Si possono fare molte supposizioni su questa orribile strage, ma una cosa balza agli occhi in modo evidente: Falcone non era più, e da tempo, un giudice che stesse conducendo processi specifici contro questa o quella cosca, questo o quel boss mafioso. Non si è trattato dunque d'un omicidio "preventivo" che avesse lo scopo di impedire qualche intervento specifico di giustizia o di vendicarne uno appena compiuto. Falcone era l'espressione d'una politica contro il crimine organizzato, la mente che più lucidamente l'aveva pensata e stava cercando di attuarla. Questo si è dunque voluto colpire. Ma forse, se è lecito congetturare di fronte a così oscuri e incomprensibili avvenimenti, si è mirato contemporaneamente anche a più alti e complessi obiettivi: obiettivi di destabilizzazione, di disarticolazione istituzionale, di abbattimento delle istituzioni democratiche e repubblicane. Non formuliamo alla leggera questa terribile ipotesi. Non si organizza un attentato di questo genere in un momento di questo genere solo perchè un magistrato ha pestato i piedi di un boss mafioso. Altre motivazioni debbono avere spinto i mandanti e armato la mano degli esecutori. La prima risposta va data da Montecitorio. Non un giorno di più può durare la ricerca del nuovo capo dello Stato. I mille rappresentanti del popolo votino oggi stesso quel nome e lo votino, se possibile, all'unanimità perchè quel nome, fin da oggi, deve rappresentare, difendere e ricostruire una Nazione colpita, insanguinata e ormai condotta a dubitare di se stessa e del suo destino.

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