la campanella suona anche per il PD
A quaranta giorni dall'esito del voto delle elezioni politiche, si comincia a far sul serio. E a lavorare (bene o male). Il governo ufficiale si è riunito ieri a Napoli, ha preso i primi provvedimenti su sicurezza, rifiuti e detassazione degli straordinari. Come al solito gli osservatori dicono la loro, chi più chi meno. Cercano di interpretare segnali che a volte non ci sono (o meglio non si riescono ad interpretare) e la vita politica va avanti. Anche il cosiddetto "governo ombra" comincia a lavorare. Si riunisce, confabula, dice la sua e cerca di legittimare, con il proprio lavoro, l'esistenza in vita (politica). A tal proposito vorremmo sottoporre alla vostra attenzione, gentili lettori, un bell'articolo pubblicato oggi su La Stampa di Torino, a firma di Andrea Romano, dal titolo "Opposizione ombra". Buona lettura.
Con la prima riunione del Consiglio dei ministri è suonata la campanella anche per il «governo ombra» di Walter Veltroni. Finita la ricreazione post-elettorale, è il momento di mostrare al Paese come si intendono svolgere i compiti dell’opposizione. Se bastassero le buone maniere, ci si potrebbe accontentare del clima di dialogo che Berlusconi e Veltroni sembrano aver instaurato nei loro primi contatti. Ma un’opposizione non vive solo di buona educazione, tanto più che il Partito democratico deve rapidamente definire una strategia nei confronti di quello che ha tutta l'aria di essere un governo di legislatura. Fino ad oggi, anche a giudicare dal discorso pronunciato in Parlamento in occasione del voto di fiducia, Veltroni sembra aver impostato il proprio ruolo sull’antico modello del «governo delle astensioni»: il Paese vive un momento di emergenza, il governo governi e il Pd si asterrà ogni volta che lo riterrà utile all’adozione di misure condivisibili. È il modello che fu adottato dal Pci negli anni della solidarietà nazionale, lo stesso al quale si è riferito Veltroni citando Enrico Berlinguer e Aldo Moro a Ballarò di martedì sera. Un riferimento nobile, ma del tutto fuori luogo nell’Italia del 2008. Perché Silvio Berlusconi non ha alcun bisogno di un’opposizione conciliante, avendo ricevuto dalle urne un pieno mandato a governare, e soprattutto perché al Pd non basterà il dialogo per trovare la propria ragion d’essere (a differenza del Pci, viene da aggiungere, che proprio perché aveva una fortissima ragion d’essere di natura trascendente poté permettersi la stagione della solidarietà nazionale). Fuori dal perimetro politico del Pd sta rapidamente rafforzandosi un’entità di opposizione all’insegna dell’intransigenza e dell’indignazione moralistica, dominata da quel Di Pietro con cui Veltroni ha stipulato un’alleanza elettorale che attende ancora di essere spiegata. L’opposizione dipietrista può vivere serenamente di rendita, senza alcun bisogno di definire se stessa. Le sue ragioni sono quelle che hanno dominato il centrosinistra nella sua precedente stagione di opposizione tra il 2001 e il 2006 e che hanno segnato il destino dell’Unione durante il governo Prodi. Sono ragioni strutturalmente minoritarie e incapaci di arrecare il minimo danno al consenso del centrodestra, ma molto popolari presso una militanza allevata da anni al culto della superiorità morale dell’antiberlusconismo. Per rendersene conto basta leggere l’Unità di questi giorni: quello che in teoria dovrebbe essere il quotidiano del Pd è stato di fatto appaltato alle ragioni dell'Italia dei Valori, partito alleato ma già concorrente. È questo il problema che attende di essere risolto da Veltroni. Tra la liturgia delle buone maniere e la vocazione minoritaria di Di Pietro, il Pd deve trovare la via per definirsi come opposizione capace di candidarsi al governo reale del Paese. Vasto programma, si dirà. Eppure occorrerebbe accennare almeno un primo passo, evitando di cullarsi nell’illusione che una tattica delle alleanze possa eliminare l’onere della strategia politica. Cinque anni sono lunghi solo sulla carta. In realtà quel tempo è appena sufficiente a riempire di contenuti lo slogan della «vocazione maggioritaria». Per il Pd si tratta di superare il recinto di una militanza dotata di voce ma non di consensi, di comprendere il Paese reale e di convincere quell’elettorato di mezzo che non è stato neanche scalfito dalla retorica veltroniana. Si tratta di creare oggi la possibile maggioranza di domani, senza fidarsi troppo dei propri riflessi condizionati. È ciò che viene normalmente fatto dai grandi partiti europei: utilizzare gli anni di opposizione per prepararsi a governare.
Con la prima riunione del Consiglio dei ministri è suonata la campanella anche per il «governo ombra» di Walter Veltroni. Finita la ricreazione post-elettorale, è il momento di mostrare al Paese come si intendono svolgere i compiti dell’opposizione. Se bastassero le buone maniere, ci si potrebbe accontentare del clima di dialogo che Berlusconi e Veltroni sembrano aver instaurato nei loro primi contatti. Ma un’opposizione non vive solo di buona educazione, tanto più che il Partito democratico deve rapidamente definire una strategia nei confronti di quello che ha tutta l'aria di essere un governo di legislatura. Fino ad oggi, anche a giudicare dal discorso pronunciato in Parlamento in occasione del voto di fiducia, Veltroni sembra aver impostato il proprio ruolo sull’antico modello del «governo delle astensioni»: il Paese vive un momento di emergenza, il governo governi e il Pd si asterrà ogni volta che lo riterrà utile all’adozione di misure condivisibili. È il modello che fu adottato dal Pci negli anni della solidarietà nazionale, lo stesso al quale si è riferito Veltroni citando Enrico Berlinguer e Aldo Moro a Ballarò di martedì sera. Un riferimento nobile, ma del tutto fuori luogo nell’Italia del 2008. Perché Silvio Berlusconi non ha alcun bisogno di un’opposizione conciliante, avendo ricevuto dalle urne un pieno mandato a governare, e soprattutto perché al Pd non basterà il dialogo per trovare la propria ragion d’essere (a differenza del Pci, viene da aggiungere, che proprio perché aveva una fortissima ragion d’essere di natura trascendente poté permettersi la stagione della solidarietà nazionale). Fuori dal perimetro politico del Pd sta rapidamente rafforzandosi un’entità di opposizione all’insegna dell’intransigenza e dell’indignazione moralistica, dominata da quel Di Pietro con cui Veltroni ha stipulato un’alleanza elettorale che attende ancora di essere spiegata. L’opposizione dipietrista può vivere serenamente di rendita, senza alcun bisogno di definire se stessa. Le sue ragioni sono quelle che hanno dominato il centrosinistra nella sua precedente stagione di opposizione tra il 2001 e il 2006 e che hanno segnato il destino dell’Unione durante il governo Prodi. Sono ragioni strutturalmente minoritarie e incapaci di arrecare il minimo danno al consenso del centrodestra, ma molto popolari presso una militanza allevata da anni al culto della superiorità morale dell’antiberlusconismo. Per rendersene conto basta leggere l’Unità di questi giorni: quello che in teoria dovrebbe essere il quotidiano del Pd è stato di fatto appaltato alle ragioni dell'Italia dei Valori, partito alleato ma già concorrente. È questo il problema che attende di essere risolto da Veltroni. Tra la liturgia delle buone maniere e la vocazione minoritaria di Di Pietro, il Pd deve trovare la via per definirsi come opposizione capace di candidarsi al governo reale del Paese. Vasto programma, si dirà. Eppure occorrerebbe accennare almeno un primo passo, evitando di cullarsi nell’illusione che una tattica delle alleanze possa eliminare l’onere della strategia politica. Cinque anni sono lunghi solo sulla carta. In realtà quel tempo è appena sufficiente a riempire di contenuti lo slogan della «vocazione maggioritaria». Per il Pd si tratta di superare il recinto di una militanza dotata di voce ma non di consensi, di comprendere il Paese reale e di convincere quell’elettorato di mezzo che non è stato neanche scalfito dalla retorica veltroniana. Si tratta di creare oggi la possibile maggioranza di domani, senza fidarsi troppo dei propri riflessi condizionati. È ciò che viene normalmente fatto dai grandi partiti europei: utilizzare gli anni di opposizione per prepararsi a governare.
2 Commenti:
Buongiorno,ritengo che il Partito Democratico,pur stando all'opposizione,debba elaborare una strategia per i prossimi cinque anni.Innanzitutto un'azione positiva verso le altre forze d'opposizione,particolarmente verso quelle di ispirazione socialista,anche perchè,probabilmente,nelle prossime elezioni europee,dovrebbere avere la stessa collocazione all'interno dell'Europarlamento.Naturalmente,senza ripetere gli errori della vecchia Unione.MAURO
Di Anonimo, Alle 23 maggio, 2008 08:14
L'elaborazione di questa strategia, a mio avviso, non dovrebbe però depotenziare la natura tipicamente critica e oppositiva che normalmente ha chi gravita in un'area di sinistra. Il PD non deve cadere nella trappola berlusconiana delle languide carezze e del prendiamoci un bel caffè insieme. Non deve neanche estremizzare l'opposizione come DI PIETRO. Ma deve vigilare sull'operato del governo e nello stesso tempo accrescere la propria forza e voglia di poter governare nella prossima legislatura.
Di nomadus, Alle 23 maggio, 2008 09:07
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