l'Italia dei bamboccioni
Ogni anno l'Istituto Nazionale di Statistica ci fa sapere se e come l'Italia è migliorata o se ha avuto dei momenti di dèfaillance tipici di momenti congiunturali legati alla situazione internazionale. Quelle dell’Istat le chiamano fotografie, e la fotografia di quest’anno (http://fendente3.wordpress.com/2010/05/27/rapporto-annuale-dellistat/) è quella di un Paese che annega, con l’unica consolazione che in una foto non si può vedere l’acqua crescere di livello. Quando l’acqua comincia a salire, ad esempio dentro una nave, si cerca di montare su tutto quello che si trova, così ci si arrampica sopra le sedie, sopra i tavoli, si cerca l’uscita. Poi, quando arriva la disperazione si comincia a salire sulle spalle degli altri, spingerli sotto per restare su, pronti a difendersi da quelli che a loro volta si vorranno salvare. Ecco, l’Italia di oggi (annegando) è montata sulle spalle delle nuove generazioni. E cerca invano di respirare ancora un paio di volte, prima di sentirsi l’acqua salire oltre il petto. Loro, quelli che chiamano i giovani ma che in realtà arrivano fino ai trent’anni, se ne stanno fermi in posa dentro la foto, con involontaria ironia. Sono considerati dei campioni statistici: campioni, in realtà, soltanto nell’essere i primi a finire con la testa sott’acqua. Li definiscono i Neet (Not in education, employment or training), sono più di 2 milioni, e sono inetti di fatto o quasi. Sono persone finite in bonaccia ancor prima di prendere il vento, sospesi in una zona di mezzo tra la fine della formazione e il non inizio della vita lavorativa. Nella fotografia se ne stanno lì, immobili dentro le case dei padri, a testimoniare la fine farsesca del concetto di proletariato: se per i proletari i figli erano l’unica risorsa, ora sono i genitori l’unica risorsa dei figli. I figli se ne stanno lì, in casa fino oltre i trent’anni, aggrappati alle mammelle sfinite di madri che non ne possono più di sentirli tirare. Gli hanno detto che lo Stato è una cosa anacronistica, passata di moda, che l’unico modo per tutelarsi è rivolgersi a mamma e papà. Così li vedono uscire la mattina e tornare la sera con un pugno di mosche in mano, invitati a formarsi da un Paese che al tempo stesso però prende a picconate ogni giorno la scuola, butta tutto alle ortiche, trasforma in carta straccia i diplomi di formazione avvenuta. Quello che allarma ancora di più, però, in questa foto di gruppo scattata dall’Istat, è che non sono solo i più giovani, ad annegare. Che i contratti precari sarebbero stati l’anticamera del licenziamento nei momenti di crisi, era una macabra ma facile previsione. Che però a perdere il lavoro sarebbero stati anche quelli delle generazioni dei padri (cassintegrati, licenziati o invitati ad andarsene prima del tempo), quello era uno spettro che non si voleva vedere. Adesso però li vediamo, ci hanno scattato la foto, e possiamo inserire anche questa dentro l’album di questi gloriosi anni zero. La foto è quella di un Paese in cui i giovani sono sott’acqua, e però l’acqua continua a salire, giorno dopo giorno, di qualche centimetro. E nessuno dice niente, nessuno che alzi la voce, che chieda di riavere quel che gli era dovuto. Perché quando si annega il fiato è prezioso, e ciascuno è impegnato soltanto a salvarsi. Le istruzioni sono chiare: montare sulle spalle di un altro, spingerlo sotto, ogni tanto controllare se dalla bocca dei figli, a mollo poco più sotto, esce qualche bolla. E se non esce, non è tempo di piangersi addosso. E' l'Italia dei bamboccioni, bellezza!
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