Draghi & la vera macelleria sociale
Nel discorso tenuto ieri dal Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi sì è avvertito, anche per i cosiddetti non addetti ai lavori, una sorta di monito inevitabile e imprescindibile generato dall'attuale situazione economica del nostro Paese. Si è parlato molto in questi giorni (e anche a sproposito) di macelleria sociale in relazione ai tagli previsti dalla dolorosa manovra biennale del governo targato Berlusconi. Bisogna dire che il termine «macelleria sociale», quando viene accostato a un intervento sulla spesa pubblica, in genere segnala una sola cosa: che quelle misure, quei tagli, quei sacrifici proposti come necessari al risanamento dei conti per fronteggiare un’emergenza finanziaria, producono il più delle volte un effetto devastante sulle fasce più deboli della popolazione. E ieri Draghi, nella tradizionale lettura delle considerazioni finali in occasione dell’assemblea dell’Istituto, ha offerto una prospettiva per certi versi inedita. Ed è significativo che lo abbia fatto a braccio, quasi ad attribuire un’enfasi speciale, esterna e superiore rispetto all’ufficialità dell’occasione. La vera «macelleria sociale», ha suggerito Draghi, non è negli effetti di una manovra che, considerato il momento di emergenza internazionale nel quale è stata presentata, va considerata inevitabile nel perimetro dei tagli, ma è tutta in quel fenomeno diffuso e troppo a lungo tollerato che si chiama evasione fiscale. Dietro quella che può sembrare una considerazione dettata dalla necessità di individuare un ulteriore capitolo di entrate (capace di facilitare la strada del risanamento), credo si possa scorgere una realtà alquanto diversa: l’indicazione di un possibile obiettivo comune, una strategia di misure capaci di coniugare sacrifici ed equità. In buona sostanza credo sia la vera soluzione per far quadrare il cerchio varando misure di risanamento e allo stesso tempo riforme per la crescita. È sufficiente una cifra a indicare la dimensione del problema: la sola Iva evasa nel nostro Paese ammonta a circa 30 miliardi l’anno. È più della manovra presentata in questi giorni (24 miliardi), è pari a ben 2 punti di prodotto interno lordo, ma soprattutto se quella somma fosse stata versata, il nostro Paese avrebbe oggi un rapporto tra debito e Pil tra i più bassi d’Europa. C’è da rabbrividire. Ma c'è soprattutto da incazzarsi! La lotta all’evasione, come pure la necessità di contenere la spesa pubblica, diventa così quella riforma capace di catalizzare un necessario e auspicabile consenso politico. E, in pratica, di liberare le risorse negate non dai tagli di una manovra, ma dal costante tradimento del più elementare principio di legalità sociale. È nei costi dell’evasione (oltre che in quelli della corruzione pubblica e della criminalità) che anche per il Governatore Draghi si trova la spiegazione della minore crescita dell’Italia, della pressione fiscale più alta della media europea a carico sia delle imprese che dei lavoratori e della carenza di politiche fiscali a favore delle famiglie, oltre che i limiti di un welfare disomogeneo. Non è solo una questione di legalità, perché il suggerimento è chiaro: la battaglia per ridurre l’evasione va condotta avanzando contemporaneamente e in modo evidente anche sul terreno della riduzione delle tasse e, per garantire un presente e un futuro economicamente sostenibile alle giovani generazioni si deve accompagnare al completamento delle riforme del mercato del lavoro e delle pensioni. Non è facile esprimere fiducia, considerato il contesto di crisi, e riuscire a parlare di futuro quando la bilancia occupazionale e persino salariale pende più a favore delle vecchie che delle nuove generazioni. Nella relazione del Governatore, tuttavia, emergono molto chiari quei punti di forza che l’Italia possiede e che tuttavia fatica a trasformare in rampe di lancio, come la ricchezza media delle famiglie, il basso indebitamento privato, un sistema finanziario più solido. Soprattutto la capacità di vincere collettivamente le battaglie decisive, come furono quella dell’alfabetizzazione della popolazione nell’Italia di 150 anni fa o la ben più difficile crisi di bilancio del 1992. In questo senso impedire la «macelleria sociale» non significa solo arginare sprechi e sottrazioni di risorse pubbliche, ma anche accelerare il varo di riforme strutturali nel senso della solidarietà e del patto tra generazioni. Bisogna ritrovare il valore dell'azione comune e della condivisione degli obiettivi se si vuole veramente cambiare il corso delle cose, cogliendo l’opportunità di una sfida certo dura ma che, in fondo, è molto più semplice di quanto possa apparire. E' solo una questione di volontà politica. Ad avercene...
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