la morte in camice bianco
Forse la notizia non meritava il massimo della visibilità sui giornali italiani, in un periodo afoso tutto dedicato al pallone dei Mondiali in Sudafrica e con l'attenzione distratta un giorno dalla riduzione di pena di una condanna di un senatore mafioso e un giorno dalla tragica scomparsa di un ex gieffino che si era fatto voler bene a differenza di tanti altri. Ma la morte in corsia di qualche giorno fa (http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=108349&sez=NAPOLI) mi ha fatto tragicamente e profondamente riflettere, decidendo alla fine di dedicare questo mio post numero 500 ad una tragica e assurda morte. Assurda soprattutto quando sopraggiunge a causa del superlavoro. E se poi succede tra le corsie di un ospedale, dove la malasanità riesce sempre a trovare ricovero (e la vittima non è tra i pazienti ma tra i camici bianchi), ecco venir meno tutti i parametri ordinari, sempre pronti e allineati per replicare, ogni volta che occorre, il clichè di una città fatta a suo modo, e che proprio non vuol saperne di stare alle regole. Neppure a quelle che si è cucita addosso da sola, e che la rendono pressocché unica, con la sua storia e le sue piccole e grandi vicende cosparse sempre di punti esclamativi. A suo modo, neppure il professore Filippo Minieri, chirurgo vascolare di 60 anni, ha voluto saperne di stare alle regole. È morto fulminato da un infarto sul proprio luogo di lavoro, al Cardarelli, l’ospedale più grande di tutto il Mezzogiorno, e proprio per questo inevitabile bacino di accoglienza dei ritardi e delle inadempienze di una sanità che, particolarmente in Campania, è vicina al tracollo.
Il professor Minieri è rimasto per undici ore di fila al lavoro. Un chirurgo non può certo badare all’orologio, ma neppure è immune dai limiti dello stress e della fatica che, infatti, gli sono stati fatali. A suo modo (se visto da un particolare punto di osservazione) anche questo sacrificio può essere catalogato tra i casi di malasanità. L’organizzazione del lavoro è parte integrante del buon funzionamento di ogni nosocomio. Ma nel tragico caso di Minieri, qualcosa evidentemente non ha funzionato. L’Ordine dei Medici, protestando per i turni di lavoro, definiti massacranti, ha parlato di morte bianca. Posta semplicemente così, la vicenda servirebbe solo ad alimentare il fuoco delle polemiche sulla disastrata sanità del Mezzogiorno e della Campania in particolare. Ma a mio modo di vedere il sacrificio del professor Minieri significa invece qualcosa in più e impone di puntare lo sguardo al di là dell’efficienza delle strutture, obiettivo, tuttavia, da perseguire senza soste e tentennamenti. Il chirurgo napoletano non è incappato nella morsa della disorganizzazione, che pure gli si è stretta intorno: con qualche accortezza poteva forse evitarla, o tenersene al riparo. È stata però di altro tipo la morsa dalla quale non ha potuto (e forse voluto) sottrarsi: quella di un altruismo e di una generosità che, nella professione medica, valgono ancora più degli utensili del mestiere. Il bisturi incide nella carne. Un medico che si dà senza risparmio ai suoi pazienti è il samaritano che continua a passare ancora oggi accanto a ogni sofferenza.
Sarà difficile che un piano sanitario possa contemplare, tra i legittimi vincoli sindacali, anche situazioni estreme come quelle del professor Minieri, morto di superlavoro al Cardarelli nell’affanno di concitate rincorse tra sala operatoria, reparto e ambulatori. Qui si è di fronte a una vicenda tanto tragica quanto emblematica, nel senso delle sfide che pone e dei luoghi comuni che ribalta, pur nella patria delle contraddizioni che resta Napoli. Dove è possibile morire di superlavoro. Ma in realtà la diagnosi è da correggere: il referto parla di forti sintomi di generosità e di dedizione. A Napoli non è merce in via d’estinzione. Ed è anzi sparsa sul territorio senza forme di particolare distinzione. Anche una morte in ospedale, in una città così, può dar luogo a un’impensata variazione sul tema: si resta in bilico sulla malasanità, ma da un orizzonte pur confuso spunta tutt’altro. Un chirurgo che tocca il cuore. E senza mettere mano al bisturi.
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