l'Antipatico

martedì 30 giugno 2009

un abbandono doloroso, ma necessario!


Quando ho letto la lettera aperta pubblicata sul Corriere della Sera di una ricercatrice italiana di 47 anni e indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (che proprio ieri compiva 84 anni, auguri in ritardo Presidente), ho pensato cosa avrei scritto se un giorno mi dovessi trovare nella stessa situazione (a prescindere se sono o meno un ricercatore, di notizie forse...) di Rita Clementi, la ricercatrice per l'appunto. Riflettendo, mi sono detto: questo senso di sfiducia e di impotenza espresso dalla signora nella sua missiva l'avrei fatto risaltare anch'io, in una eventuale lettera al Capo dello Stato. Per chi non ha letto la lettera può provvedere cliccando qui (http://www.corriere.it/cronache/09_giugno_29/ricerca_clementi_e10bae7e-646a-11de-91da-00144f02aabc.shtml), agli altri che l'hanno già fatto dedico queste mie riflessioni. Per prima cosa ho notato nella lettera della signora Clementi molta rabbia e altrettanta indignazione. L’esperienza che ha fatto fin qui del nostro mondo universitario le fa dire che è stanca di essere italiana. Sono dell’idea che per voler smettere di essere connazionale di Michelangelo e di Dante Alighieri ci vuole veramente un gran motivo, se e­siste. Ma la denuncia della signora va presa sul serio, e non rubricata velo­cemente sotto l’etichetta (evanescente come tutte le etichette applicate ai ca­si personali) di fuga di cervelli. Qui non si tratta solo di una che fa armi e bagagli perché altrove si potrà trovare meglio. Meglio pagata e meglio rispetta­ta. No, qui c’è u­na donna di va­lore che denun­cia una immora­lità diffusa nel mondo universi­tario e della ri­cerca. Una im­moralità che al di là di questo sin­golo caso è per­cepita diffusa­mente. Una immoralità per così dire di sistema. Il cui esito è una stagnazione nell'ambito della ricerca in Italia. La signora nella sua lettera racconta una serie di frustra­zioni che hanno segnato una carriera che invece scientificamente aveva co­nosciuto a livello internazionale rico­noscimenti importanti e, quel che più conta, la delusione di una donna che ha sot­tomesso i propri interessi e la propria vita privata alla missione di aiutare con la ricerca chi soffre. Non saranno forse molti i casi di que­sto genere. Ma nemmeno pochi. E hanno un grande peso specifico nel­la qualità generale dell’Università. La signora invoca un sistema meritocra­tico, e la rimozione di persone che no­nostante manifesta propensione al maneggio (riconosciuta addirittura dalla magistratura) continuano a se­dere con il consenso dei colleghi nei luoghi dove si decidono posti e car­riere. Una immoralità di singoli che di­venta immoralità di sistema. Il governo sta pensando di varare una riforma per l’Università che, a quanto è dato di sapere, vorrebbe finalmente intaccare questa situazione. Lo spero vivamente. Di sicuro per la signora Rita è tardi, forse non lo sarà per altri. Del resto il proble­ma della immobilità del sistema u­niversitario non si registra solamente nei campi della ricerca scientifica ap­plicata in ambiti come il biomedico, di cui alla lettera della signora Clementi. Anche nel campo umanistico (dalla letteratura alla storia dell’arte) il deficit di capa­cità di ricerca e di trasmissione ade­guata della tradizione alle giovani ge­nerazioni è lampante. Il Presidente si è mostrato in passato sensibile a que­sti temi e lo farà probabilmente anche in questo caso. Ma il problema non può essere risolto neppure dall’impe­gno della più alta carica dello Stato. Occorre un cambio di mentalità ge­nerale, di costume. Il governo può fa­vorirlo, e le leggi possono evitare di cri­stallizzare privilegi e rendite di posi­zione. Ma sarà solo la valorizzazione della passione e la capacità di sacrificio di più e più persone come Rita Clemen­ti che potrà rendere migliore l’Univer­sità italiana. E di conseguenza tutto il nostro Paese.

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]



<< Home page