l'Antipatico

domenica 28 giugno 2009

la corruzione come regola di vita


Pochi giorni fa la Corte dei Conti, nella sua consueta relazione annuale, ha messo il dito nella piaga sociale da sempre fedele accompagnatrice delle regole di vita di molti personaggi pubblici italiani, non ultimo il nostro caro presidente del Consiglio: la corruzione. E guarda caso (quando si dice la combinazione...) nell'ultimo numero del settimanale L'espresso un bell'articolo alquanto rivelatore a firma di Peter Gomez ci svela qualche dietro le quinte di un incontro segreto tra il premier e due giudici costituzionalisti che il prossimo 6 ottobre saranno incaricati di vagliare l'incostutizionalità o meno del famigerato Lodo Alfano (presente anche lui alla cena simil carbonari). Per chi volesse leggersi l'articolo si accomodi pure: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/consulta-la-cena-segreta/2102905&ref=hpsp. Tornando al discorso sulla corruzione mi viene da sottolineare come, in quel famoso febbraio del 1992, quando la cloaca di Tangentopoli fu scoperchiata dal ciclone di Mani Pulite, alla maggioranza degli italiani onesti parve d’essersi tolti finalmente dalla pelle una rogna antica divenuta dura come una scorza. Una rogna denominata comunemente corruzione, una specie di cancro indolore, paesaggio dell’ordinario mercimonio fra potere e denaro. Per qualche tempo l'Italia sognò di essersi liberata per sempre da una piaga endemica, intanto che una rivoluzione politica apriva il panorama di una Seconda Repubblica. Purtroppo non c’è voluto molto tempo per capire che il sogno stava sfiorendo, che un Termidoro qualsiasi avrebbe riportato le acque burrascose a ricomporsi in bonaccia, e la polvere dell’esplosione della fogna a ricadere un po’ per volta a ricomporre il grigio. Il fatto è che un ciclone giudiziario non bastava, non bastava una rivoluzione politica: occorreva una rinascita morale. Questa mancò, questa non ci fu. L'altra mattina la Corte dei Conti ci ha avvertito che la corruzione è ancora una piaga che provoca un danno di 50-60 miliardi di euro all’anno. E la stessa cosa l’aveva detta l’anno scorso. E la stessa cosa era stata saputa e ridetta anche negli anni precedenti. E risalendo il tempo ancora, la corruzione scoperta (cioè passata per denunce e processi) risulta pressoché stabile negli ultimi quattro anni, con 3.000 reati all’anno nel libro nero. Ma alla fin fine i reati sono solo l’epifenomeno della corruzione. La corruzione è concetto morale più grande, più grande del codice penale inchiodato al minimo etico. La corruzione non si legge più alla stregua del cittadino concusso, del funzionario comprato, del favore venduto, degli appalti truccati, della mazzette scambiate, del tradimento. La corruzione è soprattutto tutto ciò che sfugge alle maglie dei codici, che dribbla gli scogli del peculato e della malversazione ma che gestisce benissimo il traffico d'influenza, l’olio che lubrifica gli ingranaggi, la raccomandazione, lo scambio di favori senza busta e retrobusta ma con altri favori. Un modo di arricchire e di arricchirsi con accesso a finanziamenti e provvidenze che sarebbero dettate per l’aiuto dei poveri, trasformando il pane dei poveri nella preda divorata dai furbi. Non senza ragione la Convenzione mondiale contro la corruzione, approvata nel 2003 dall’assemblea generale dell’Onu, chiama corruzione non solo le tangenti, ma anche i favori, i privilegi, le opacità dei finanziamenti, il riciclaggio; e poi aggiunge le corruzioni nel settore privato, e questo diventa una specie di shock etico, fuori dei codici. Per chi intende la tensione morale di questa assise del mondo, la corruzione è il tradimento dell’onestà. Vien da pensare che si può corrompere qualsiasi cosa, a questa stregua; persino un campionato di calcio (ricordate Moggiopoli?), o magari una qualsiasi banale amministrazione di condominio. L’Italia, con sei anni di ritardo, si è messa solo pochi giorni fa a ratificare la Convenzione Onu, con un voto al Senato. Il ritardo fa impressione, perché intanto nella graduatoria della corruzione, come percepita dalla gente (vedi Transparency International Italia, http://www.transparency.it/ind_ti.asp) l’Italia ha ottenuto un brutto voto costante, simile a quello dei Paesi in via di sviluppo. Che vergogna. La costanza della vergogna nell’alternarsi di destra e sinistra rende la rampogna costante. Diciamo basta, cambiamo. Cambiamo a cominciare da noi, è chiaro, ma rammentando con fermezza ai potenti di ogni turno un aforisma di qualcuno che certamente fu in grado di dire qualcosa di sensato: «La vita non è già destinata ad essere un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego del quale ognuno renderà conto (Alessandro Manzoni)».

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