l'Antipatico

domenica 1 marzo 2009

ognuno è padrone della propria vita?


Non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te. Partendo da questo presupposto mi sono chiesto come mi comporterei trovandomi (spero mai!) nella necessità di decidere della vita di una persona cui voglio bene e che non è più in grado di decidere se e come porre fine alle proprie sofferenze. Le polemiche sul caso Englaro ancora riecheggiano nella mia mente (purtroppo anche le infelici battute da necroforo del Pifferaio di Arcore) e la brutalità con cui la destra è intervenuta sul caso hanno suscitato in molti un sentimento di rivolta morale. Qualcosa di molto più profondo di un dissenso politico, per la strumentalità del discorso, la superficialità, il pressapochismo, la distanza con cui venivano toccati argomenti che hanno bisogno di prossimità, di vicinanza, di quella insomma che i buddisti chiamano compassione e i cristiani carità. Questa ispirazione mi pare debba essere a fondamento di ogni legislazione sul tema, così come è a fondamento dell'articolo 32 della Costituzione che afferma che la «legge non può in ogni caso superare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Lo scontro tra gerarchie ecclesiastiche, maggioranza parlamentare e forze consistenti dell'opposizione nel Parlamento e nel Paese , sembra concentrarsi tutto su un quesito: chi è il padrone della vita? Dio o la volontà del singolo? Una sorta di conflitto su un diritto di proprietà. La vita appartiene a Dio, tuonano le gerarchie ecclesiastiche, che negli ultimi anni si sono concentrate ossessivamente sul primato del biologico fatto coincidere con la persona umana. No, rispondono i laici, appartiene a noi, alla nostra volontà inappellabile: «io sono padrone del mio corpo e della mia coscienza». La signoria sul proprio corpo è una fondamentale acquisizione della cultura liberale, ma siamo sicuri che sia questo il terreno giusto per affrontare i dilemmi che ci pongono le stesse conquiste della scienza medica? Per quanto riguarda la vita, tutti dobbiamo avere il senso del limite. Siamo creature nate di donna, cui viene dato da altri un corpo, un nome, una storia e, dicono alcuni psicanalisti, persino un compito. La vita è un concetto che trascende la singolarità dell'individuo e lo immette in trame di relazioni complesse. La tua vita certo è tua ed è irripetibile, ma ti appartiene non nella misura di un manufatto, di un oggetto d'uso o di scambio. E' tua, ma è anche storia di altri e della tua famiglia: a partire dal progetto e dall'accettazione materna. E' importante per tutti, quindi, uscire da questa disputa, fare propria l'idea che ha ispirato i Costituenti, l'attenzione alle persone concrete che devono essere aiutate dalla comunità che le accoglie («l'interesse generale» come recita l'art.32) a compiere un percorso il più completo possibile. Alla fine questa persona che avrà sviluppato i suoi convincimenti, saprà quanto è disposta a sopportare per rimanere in vita. Perché anche il morire è un'esperienza e non una proprietà. Ed è di questo che siamo chiamati a decidere. Ed è per questo che ciascuno può dire come vorrà affrontare questo cimento. E lo farà possibilmente non da sola, ma con le persone che la amano e che hanno cura di lei, e morirà così come è nata, assistita dall'amore degli altri.

2 Commenti:

  • Certo la vita è un complesso insieme di rapporti e legami affettivi, non appartiene come dici giustamente tu, esclusivamente a noi, dobbiamo in ogni caso e ad ogni modo correlarci con chi ci sta attorno e sopratutto con chi ci ama, tutto questo per dire che nel migliore dei casi è un fatto privato che deve essere vissuto nel seno di una comunità che ha la caratteristiche di una famiglia.Poi non tutti hanno questa fortuna e non tutti sono un insieme di legami affettivi e di contributi famigliari, c'è chi è solo e ha il medesimo diritto all'autodeterminazione.
    Inutile non esiste Dio, credo religioso o Stato che possa intervenire su quello che è la libertà di decidere come si concepisce la vita e come si vuole affrontare la morte. Certamente influirà l'educazione che abbiamo ricevuto, ma sopratutto influirà la naturale tendenza che tutti abbiamo di non soffrire. Essendo il grado di sopportazione della sofferenza soggettivo, solo chi soffre può avere il potere di decidere o solo chi è vicino a chi soffre senza poterlo esternare, può decidere per lui.

    L'usare il caso Englaro per estendere il potere dello Stato e della Chiesa sugli individui non è solo anticostituzionale ma è anche disumano, è un atto contro la pietas umana e contro i diritti civili di una società di persone civili e coscienti.

    Un saluto determinato
    Ross

    Di Blogger rossaura, Alle 01 marzo, 2009 17:14  

  • Un commento mirabilmente emozionante per sintesi, intelligenza e concretezza espressiva. Non posso che rimanere sempre più affascinato da una donna come te, cara ROSSAURA. Un saluto ammirato da nomadus.

    Di Blogger nomadus, Alle 01 marzo, 2009 18:49  

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