l'Antipatico

mercoledì 31 dicembre 2008

le inutili guerre tra Procure & le riforme costituzionali


Questo anno funesto e bisesto si chiude con l'eco ancora presente e preponderante della guerra tra Procure, delle ripicche tra magistrati, tra pubblici ministeri, in un parossistico tutti contro tutti. Non manca di certo la benzina gettata sul fuoco dal pifferaio di Arcore per completare l'idilliaco quadro. E come se non bastasse, le note vicende giudiziarie che hanno colpito e irritato anche il PD stanno rafforzando la determinazione della destra di scardinare il sistema di autogoverno della magistratura. Per attuare i suoi noti progetti Berlusconi può agire solo con modifiche costituzionali ed è quindi inutile attardarsi a sognare una riforma con leggi ordinarie, mentre si dovrebbe pensare a cosa proporre per modificare un sistema che scricchiola palesemente. Di norma non si dovrebbe mettere in discussione l'indipendenza della magistratura e l'obbligatorietà dell'azione penale, inscindibilmente funzionali al principio fondamentale dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Ma se qualche riforma costituzionale si imporrà, essa dovrà servire a rafforzare, e non a demolire, il sistema dell'autogoverno. I comportamenti abnormi di alcuni protagonisti delle irrituali guerre tra Procure, per esempio, sono un'ennesima dimostrazione di come, a fronte delle garanzie costituzionali della indipendenza esterna della magistratura dagli altri poteri dello Stato, non vi siano garanzie che tutelino con effettività anche l'indipendenza «interna» dei magistrati dal loro stesso sistema di autogoverno e ciò, in particolare, per quanto attiene ad una maggior trasparenza nella verifica della professionalità per la progressione in carriera e nell'assegnazione degli incarichi direttivi. Non mancano problemi anche nell'applicazione concreta delle sanzioni disciplinari. La carente difesa della indipendenza interna viene, ormai da anni, imputata al sistema correntizio che, da strumento di partecipazione democratica alla gestione dell'autogoverno, sembra essersi convertito in strumento di tutela del potere delle correnti stesse. Essa incide innanzitutto sulla verifica della professionalità. Il meccanismo realizzato con la riforma del governo Prodi poteva essere abbastanza trasparente, ma sembra che (tuttora) i magistrati scrutinati continuino ad essere tutti bravi e degni di promozione. C'è, quindi, bisogno di una verifica ulteriore e, per scoraggiare eventuali cattive pratiche, si potrebbe pensare ad una commissione del CSM integrata da due giuristi scelti dal presidente della Repubblica per un esame a campione delle valutazioni e per proposte di modifica nel caso di cattivo funzionamento del metodo attuale. Altro punto dolente è quello della nomina dei capi degli uffici direttivi. Essendovi troppi pretendenti, il meccanismo decisionale finisce per privilegiare più l'appartenenza correntizia che la capacità, con la fatale emarginazione dei «non protetti» e la nomina di dirigenti spesso palesemente inadeguati. I lunghi e imprevedibili tempi di copertura, poi, sono propedeutici per una spartizione cencelliana dei posti. La soluzione potrebbe essere quella di rendere perentori i tempi entro i quali i consigli giudiziari e le commissioni del CSM debbono emanare i provvedimenti necessari per l'assegnazione, tenendo conto della specifica professionalità del concorrente. Superati gli stessi, la proposta è deliberata dal comitato di presidenza, sentito il presidente della commissione, che procede di concerto con il ministro della giustizia e quindi è iscritta all'o.d.g. della prima seduta del Consiglio per la relativa deliberazione. Un meccanismo di ricerca della protezione opera anche per i procedimenti disciplinari. La «raccomandazione» che, nell'esercizio ordinario della giurisdizione, la stragrande maggioranza dei magistrati respinge, stranamente nel caso del giudizio disciplinare non solleva grandi problemi di coscienza. La sezione disciplinare è connaturata alla funzione di autogoverno del CSM, ma il suo funzionamento è pesantemente contestato dall'interno della magistratura «non protetta», e da molti settori della politica (nonostante una recente correzione di rotta verso una più puntuale repressione di comportamenti scorretti). E' certo che l'idea di una corte disciplinare esterna al CSM oggi avrebbe un grande consenso trasversale. Ciò, però, costituirebbe un duro colpo al sistema di autogoverno e, per tentare di salvarlo, andrebbero introdotte delle modifiche alla composizione della disciplinare con la integrazione, anche in questo caso, di alcuni membri esterni, nominati dal presidente della Repubblica, con caratteristiche di provata autorevolezza e imparzialità. Si dovrebbe, inoltre, introdurre la "dissenting opinion" che, in caso di ricorso in Cassazione, farebbe parte del fascicolo e scoraggerebbe maggiormente le prassi clientelari. Si potrebbe pensare anche ad uno specifico obbligo (sanzionato), per i componenti della disciplinare, di riferire prontamente alla presidenza del CSM ogni sollecitazione ricevuta e di darne pubblicità all'esterno. Sono proposte minime che potrebbero ovviare, almeno in parte, ai guasti attuali e, comunque, non sconvolgerebbero l'assetto costituzionale. In un Paese così ingessato dalle corporazioni a tutti i livelli, la magistratura non potrebbe essere percepita come una di esse. Una buona riforma, inoltre, servirebbe a rendere il suo operato condiviso dalla maggioranza dei cittadini e inattaccabile dalle strumentali critiche della destra che tende solo a piegarla ai suoi piani di comando senza controlli di legalità. Chissà che il 2009 non ci porti qualche bella novità in proposito...

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