l'Antipatico

lunedì 29 dicembre 2008

al limite della carità


A volte, scherzando con chi conosco da parecchio tempo, mi è capitato di fare la battuta (cretina, ma spontanea e giocosa) nel vedere l'abbigliamento trasandato di un mio amico: "Che fai, vai per carità?". Oggi, quella battuta non è più consentita. Lo spettro sempre più opprimente della crisi, della paura di perdere tutto, della povertà assoluta, sta prendendo piede con maggiore veemenza e preoccupazione in tutti noi. Chi ha trascorso il Natale mangiando e scherzando, di sicuro non ha pensato per un attimo a quei barboni, indigenti ed invisibili (per la stragrande maggioranza della società moderna), che si sono messi pazientemente in fila davanti alle mense della Caritas e delle altre organizzazioni umanitarie per ricevere in dono un pasto caldo. Novecento ospiti al pranzo di Natale e un piccolo regalo per ognuno. Ma l’attività della Comunità di Sant'Egidio a Roma, tra mense e distribuzione di coperte e pacchi alimentari, si spalma sugli altri 364 giorni dell’anno. Sono quelli fuori dai riflettori a offrire il termometro del nuovo disagio: «C’è un grande aumento della povertà" spiega don Matteo Zuppi. "Colpisce le fasce deboli, precari, anziani, immigrati. Chi non ha sostentamento né lavoro». A Sant’Egidio negli ultimi mesi si è vista una presenza più massiccia nelle mense e una quasi raddoppiata richiesta di sostegno alimentare. «Prepariamo pacchi con pasta, riso, olio. Quello che serve e che troviamo, per fortuna la solidarietà sopravvive alla crisi». Vanno via in un attimo, ed è già previsto un supplemento di iniziative. «Tutti dovremo affrontare la realtà». Don Matteo apprezza la proposta del cardinale Dionigi Tettamanzi di un «fondo famiglie-lavoro» con capitale iniziale di 1 milione. «Richiama a una posizione non da spettatori ma da attori. Fa emergere il dato e coinvolge tutti nella soluzione. La Chiesa per prima si è messa le mani in tasca ». Una supplenza rispetto allo Stato? «In parte, perché le soluzioni sono carenti e molto in ritardo. Ma lo Stato dovrà farsi carico dell’emergenza ed è bene che riceva questo stimolo». Don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, concorda: «Il gesto di Tettamanzi è nobile, speriamo si allarghi ad altre diocesi, a Confindustria, a chi ha da devolvere». Nei piccoli centri marchigiani, come nelle campagne, don Albanesi sperimenta «ogni giorno la calca per un sacchetto con un po’ di latte, pane, zucchero». Cento, duecento persone in fila per razioni che evocano il dopoguerra: «In zone non soggette a grandi povertà, e questo la dice lunga. Siamo ai livelli di sussistenza primaria». Ai margini finiscono gli stranieri: «I ricongiungimenti familiari hanno prodotto benessere relazionale ma anche un peso economico e sociale». Ma il fenomeno nuovo sono gli anziani che, pur proprietari della casa in cui vivono, sono strozzati dalle bollette. «Luce e gas avvisano e poi staccano». Tanti, alla vergogna di farlo sapere, preferiscono il freddo e il buio. Poi famiglie numerose e separati che vedono all’improvviso raddoppiate le proprie uscite. Don Albanesi ha chiaro il limite degli ammortizzatori sociali: «Tengono fuori una platea troppo ampia. Comprese le fasce più disperate, dagli alcolisti ai fuori di testa. Va peggio nelle aree metropolitane dove la catena della solidarietà è più bassa». Anche don Luigi Ciotti considera l’«assegno Tettamanzi» una buona notizia: «Il gesto profondo, umile e sofferto del cardinale esprime coscienza delle difficoltà di tanti. Si diffondono nuove forme di povertà magari in giacca e cravatta, create dalla perdita del lavoro e dall’aumento del costo della vita». E dunque «da una grande diocesi un gesto per scuotere le coscienze. E' la giusta provocazione per chiedere alle istituzioni di assumersi le loro responsabilità. Il valore del messaggio sta nell’invito alle istituzioni a fare la loro parte. Oso dire: chiediamo meno solidarietà ma più diritti e giustizia. Andare incontro alla fragilità umana deve essere la nostra anima, ma non vogliamo essere i tappabuchi di nessuno». Secondo don Ciotti, insomma, «il richiamo nella notte di Natale è a sentirci tutti corresponsabili dell’altrui solitudine e miseria. Compreso lo Stato. Questa denuncia chiede ai signori del Palazzo di fare politiche sociali e di sostegno a scuola, famiglia, occupazione. La perdita del lavoro sarà il grande tema del 2009. Si incolpa la crisi economica mondiale. Mi permetto di obiettare che è soprattutto una crisi politica ed etica. Con dietro gli egoismi e interessi di molti a scapito dei più deboli ». A Torino dormitori e centri di accoglienza gestiti dal Gruppo Abele hanno raddoppiato i frequentatori. «Chiedono un letto, di fare la doccia, di lavare la biancheria ». Microsquilibri che rischiano di sfuggire di mano, segnali di una società barcollante. «Non serve indignarsi. Dobbiamo provare disgusto. Servono scelte che non mettano ai margini i più deboli. La politica distante dalla strada non è al servizio del bene comune ma è solo una mimica di se stessa». Più chiari di così...

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