oscurantismo sul giornalismo
Il governo ha sentenziato la condanna a morte di una parte del mondo editoriale italiano. E come spesso accade per i provvedimenti concepiti con disinvoltura dal ministro dell'Economia, è la parte più debole dell'editoria italiana che ci rimetterà. Quella cioè che, non riuscendo a vivere della raccolta pubblicitaria, vive grazie ai contributi diretti dello Stato in virtù del principio che l'esistenza di una stampa libera, indipendente e pluralistica sia uno dei pilastri della democrazia.
Per essere concreti. Se alla fine la finanziaria estiva del governo verrà approvata con la stessa fretta con cui è stata partorita, giornali come il Manifesto, Liberazione, Europa, L'Unità, Il Foglio, Libero, Il Secolo, La Padania avranno di fronte giorni particolarmente bui. In termini di bilancio e posti di lavoro.
Il tutto è contenuto nell'articolo 44 del decreto legge 122, intitolato «Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione ai contributi all'editoria». A leggerlo, di riordini, pur reclamati da più parti, non se ne vede l'ombra. Come di semplificazioni del resto. A meno che per semplificazione non si voglia intendere il colpo di scure ceco e indifferenziato dei contributi diretti, quelli appunto di cui vive l'editoria cooperativa, non profit e di partito, 229 testate in tutto. Quella fetta d'informazione, cioè, la cui raccolta pubblicitaria arriva al 20 per cento dei ricavi quando va molto bene.
Il fabbisogno per il 2008 dell'editoria nel suo complesso è stata stimata intorno ai 589 milioni di euro, 190 per i contributi diretti e 399 per gli indiretti, agevolazioni fiscali, elettriche e satellitari. Quei contributi di cui godono principalmente le grandi testate come il Corriere della Sera, La Repubblica o Il Sole 24 ore. Quei quotidiani, cioè, che spesso hanno nei loro bilanci sostanziose raccolte pubblicitarie. Qualche volta superiori agli incassi delle vendite. La finanziaria del precedente governo aveva già previsto per il comparto uno stanziamento di 414 milioni, dunque già al di sotto del fabbisogno. Ma ora Tremonti ha fatto di meglio e ha sforbiciato da quella cifra 87 milioni nel 2009 e 100 nel 2010 solo sui contributi diretti «lasciando intonsi i 305 indiretti», come dice un preoccupato comunicato di Mediacoop.
Insomma, un attacco tale al diritto soggettivo ai contributi diretti, che anche la maggioranza ha mugugnato parecchio. All'inizio di luglio in Commissione Cultura alla Camera votò un emendamento con l'opposizione in cui si chiedeva di «escludere qualsiasi riduzione delle risorse destinate ai contributi diretti». Ma per ora non c'è stato niente da fare e ieri Alessio Butti, senatore del PdL, ha confessato di non poter nascondere la sua «profonda delusione per i tagli apportati indiscriminatamente all'editoria». Così, ha detto, si «mettono seriamente nei guai decine di giornali venduti in edicola, che hanno migliaia di abbonati e occupano centinaia di giornalisti». Anche il senatore del PD, Vincenzo Vita, durante la discussione ha definito quello che sta avvenendo come un «delitto perfetto». «Un'iniziativa - ha detto - lesiva di un fondamento della democrazia qual è la libertà di informazione». Si dirà: pari e patta, a rimetterci saranno sia i partiti di maggioranza che quelli di opposizione. Ma non è così. Basti pensare alla potenza di tiro mediatico che, al di là dei giornali direttamente di partito, esprime Silvio Berlusconi rispetto a tutti gli altri per capire la differenza. Evidentemente il premier, già proprietario di grandi televisioni, è quanto meno poco interessato ai piccoli giornali. E ha fretta di chiudere anche questa vicenda tant’è che per fare passare la norma viene posta la fiducia. Un nuovo elemento di pericoloso deterioramento del clima democratico che va ad aggiungersi allo smantellamento di un diritto costituzionale quale la libertà di informazione.
Berlusconi corre come un treno per raggiungere, stazione dopo stazione, i propri obiettivi, per non dire i propri interessi politici e imprenditoriali. E il PD e la sinistra? Corrono come i gamberi, all’indietro. E si vedono smantellare colpo su colpo un patrimonio politico e culturale di grande portata. Con la prospettiva, non propriamente esaltante, di scivolare ancor di più nel limbo del dimenticatoio politico di tanti italiani che appena poco più di 100 giorni orsono avevano loro espresso una tangibile fiducia con il voto. Sembra già passato un secolo...
Per essere concreti. Se alla fine la finanziaria estiva del governo verrà approvata con la stessa fretta con cui è stata partorita, giornali come il Manifesto, Liberazione, Europa, L'Unità, Il Foglio, Libero, Il Secolo, La Padania avranno di fronte giorni particolarmente bui. In termini di bilancio e posti di lavoro.
Il tutto è contenuto nell'articolo 44 del decreto legge 122, intitolato «Semplificazione e riordino delle procedure di erogazione ai contributi all'editoria». A leggerlo, di riordini, pur reclamati da più parti, non se ne vede l'ombra. Come di semplificazioni del resto. A meno che per semplificazione non si voglia intendere il colpo di scure ceco e indifferenziato dei contributi diretti, quelli appunto di cui vive l'editoria cooperativa, non profit e di partito, 229 testate in tutto. Quella fetta d'informazione, cioè, la cui raccolta pubblicitaria arriva al 20 per cento dei ricavi quando va molto bene.
Il fabbisogno per il 2008 dell'editoria nel suo complesso è stata stimata intorno ai 589 milioni di euro, 190 per i contributi diretti e 399 per gli indiretti, agevolazioni fiscali, elettriche e satellitari. Quei contributi di cui godono principalmente le grandi testate come il Corriere della Sera, La Repubblica o Il Sole 24 ore. Quei quotidiani, cioè, che spesso hanno nei loro bilanci sostanziose raccolte pubblicitarie. Qualche volta superiori agli incassi delle vendite. La finanziaria del precedente governo aveva già previsto per il comparto uno stanziamento di 414 milioni, dunque già al di sotto del fabbisogno. Ma ora Tremonti ha fatto di meglio e ha sforbiciato da quella cifra 87 milioni nel 2009 e 100 nel 2010 solo sui contributi diretti «lasciando intonsi i 305 indiretti», come dice un preoccupato comunicato di Mediacoop.
Insomma, un attacco tale al diritto soggettivo ai contributi diretti, che anche la maggioranza ha mugugnato parecchio. All'inizio di luglio in Commissione Cultura alla Camera votò un emendamento con l'opposizione in cui si chiedeva di «escludere qualsiasi riduzione delle risorse destinate ai contributi diretti». Ma per ora non c'è stato niente da fare e ieri Alessio Butti, senatore del PdL, ha confessato di non poter nascondere la sua «profonda delusione per i tagli apportati indiscriminatamente all'editoria». Così, ha detto, si «mettono seriamente nei guai decine di giornali venduti in edicola, che hanno migliaia di abbonati e occupano centinaia di giornalisti». Anche il senatore del PD, Vincenzo Vita, durante la discussione ha definito quello che sta avvenendo come un «delitto perfetto». «Un'iniziativa - ha detto - lesiva di un fondamento della democrazia qual è la libertà di informazione». Si dirà: pari e patta, a rimetterci saranno sia i partiti di maggioranza che quelli di opposizione. Ma non è così. Basti pensare alla potenza di tiro mediatico che, al di là dei giornali direttamente di partito, esprime Silvio Berlusconi rispetto a tutti gli altri per capire la differenza. Evidentemente il premier, già proprietario di grandi televisioni, è quanto meno poco interessato ai piccoli giornali. E ha fretta di chiudere anche questa vicenda tant’è che per fare passare la norma viene posta la fiducia. Un nuovo elemento di pericoloso deterioramento del clima democratico che va ad aggiungersi allo smantellamento di un diritto costituzionale quale la libertà di informazione.
Berlusconi corre come un treno per raggiungere, stazione dopo stazione, i propri obiettivi, per non dire i propri interessi politici e imprenditoriali. E il PD e la sinistra? Corrono come i gamberi, all’indietro. E si vedono smantellare colpo su colpo un patrimonio politico e culturale di grande portata. Con la prospettiva, non propriamente esaltante, di scivolare ancor di più nel limbo del dimenticatoio politico di tanti italiani che appena poco più di 100 giorni orsono avevano loro espresso una tangibile fiducia con il voto. Sembra già passato un secolo...
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