l'Antipatico

sabato 14 marzo 2009

radiografia (impietosa) di una crisi irreversibile


Non vorrei apparire un catastrofista con quello che sto per scrivere. Men che meno uno jettatore, ma la mia personalissima impressione è che l'attuale crisi economica e sociale del nostro (ex) Belpaese abbia una connotazione alquanto inquietante: la irreversibilità. Non credo che potremo più riassaporare gli agi e le libertà lussuose di un tempo (oramai passato e archiviato nel file dei bei ricordi economici), quando ci si poteva permettere il pranzo domenicale al ristorante, il cinema ogni settimana, i dischi e i libri quando ci pareva e la vacanza lunga un mese nei posti più belli e desiderati. La pacchia è finita cari lettori. La situazione è davvero drammatica, nonostante le panacee propagandistiche del governo berlusconiano che con l'elemosina ai precari crede di risolvere tutti i problemi. «La Social Card è troppo poco? Sempre meglio di niente». Il Tremonti-pensiero sulla lotta alla povertà è chiarissimo: dare una mano a tentare di sopravvivere. E basta. Per il resto, la classe media è lasciata a faticare per farsi largo, i ricchi a godere delle loro rendite. La visione ha padri noti (per dirne due: Reagan e Thatcher) e nemici altrettanto conosciuti: quelli che credono nella redistribuzione. Negli Usa ci ha appena pensato Barack Obama a sotterrare la tesi della «carità», che alla fine lascia i poveri nelle stesse condizioni di prima (se non peggiori) e proietta i ricchi verso livelli sempre più alti. E in Italia? A che punto è la lotta alla povertà? Da noi lo Stato non va oltre misure una tantum: a volte ben congegnate, ma per ora assolutamente inefficaci. Sulla povertà c’è il fallimento totale della politica. Il motivo, secondo gli esperti, sta in una grande assenza, che si protrae oramai da anni. L’Italia resta l’unico Paese in Europa (insieme a Grecia e Ungheria) che non ha alcuna misura generalizzata di ultima istanza che tuteli chi non ha nulla. La Francia a luglio prossimo avvierà il «revenue de solidarité active», il nuovo sussidio pubblico che sostituisce in parte e innova il vecchio reddito minimo di inserimento, avviato nell’ormai lontano 1988. Da vent’anni i francesi possono contare su un sussidio che per gli italiani resta un sogno. Ci aveva provato Prodi negli anni '90, ma ci si è fermati a una sperimentazione in alcuni Comuni. Poi, più nulla. Anzi, ultimamente l’ipotesi sembra diventata criminogena. Un invito a non lavorare. E come se non bastasse la finanza creativa ha lasciato un buco di un paio di miliardi. Qualche esperto parla di tirannia della classe media, potente serbatoio di voti della politica. Mettiamola così: i poveri non fanno vincere le elezioni. Così, per diverse ragioni, in Italia si è costruito un welfare ritagliato sulle categorie del lavoro. Con effetti distorsivi assolutamente paradossali. Come accade con gli assegni familiari: si ricevono solo se si è in attività. Se si perde il lavoro, si perdono anche gli assegni. La dote per i figli studiata dal governo prodi avrebbe superato questa distorsione: ma non se ne è vista più traccia. Gli ultimi due governi hanno varato misure destinate alla parte più marginale della società. Il centrosinistra ha introdotto il bonus incapienti (2 miliardi di euro) e la quattordicesima mensilità per i pensionati al minimo (1,2 miliardi di euro), unica misura strutturale. Il centrodestra ha inventato la social card (circa 500 milioni) e il bonus famiglia (quasi due miliardi). L’effetto sul fenomeno, però, risulta assai limitato, come segnala l’ultimo rapporto della commissione d’indagine sull’esclusione sociale. Analizzando le «numerose misure messe in campo» dal governo Prodi (oltre alle due segnalate, assegni familiari, aiuti per l’affitto, tutele ai disoccupati), gli esperti sono costretti ad ammettere che «l’assenza di una scala precisa di priorità, la scarsità di risorse disponibili, ampiamente inadeguate a ridurre davvero la povertà in Italia» hanno prodotto un impatto modesto. Anche se non mancano buoni risultati, come quello del bonus incapienti che riesce a raggiungere il 56% dei poveri e si rivela come la misura con il maggior impatto sugli indici di povertà. Le misure nel loro complesso hanno avuto effetti positivi al sud, rispondendo ad uno degli elementi costitutivi della povertà italiana, più allarmante nelle regioni meridionali. Insomma, lo sforzo c’è stato: ma il risultato complessivo è deludente. Stessa cosa accade alle misure adottate dal governo del Pifferaio. Sulla carta (ma solo sulla carta) social card e bonus famiglia puntano ad aiutare gli strati più bassi, ma poi saltano agli occhi vistose e gravi anomalie. I single non pensionati, ad esempio, sono esclusi dal bonus, così come il reddito da lavoro autonomo. Ma il limite più pesante per le due misure è tutto l’armamentario burocratico inserito per ottenere i benefici. L’erogazione non è automatica, ma subordinata alla domanda da parte dei beneficiari. I difetti della manovra governativa segnalano, al contrario, ciò di cui vi sarebbe bisogno: un intervento di sostegno dei redditi personali e familiari consistente e con valore strutturale, cioè per un verso con effetti permanenti sul reddito disponibile e per altro verso con un miglioramento di equità e di razionalità del sistema italiano di imposta personale e sostegni alle famiglie. La macchinosità denunciata dagli esperti si sta rivelando fatale. Oggi meno della metà della platea di beneficiari della card è stata coinvolta, e appena 2 milioni di famiglie hanno fatto richiesta del bonus, su un obiettivo di oltre 6 milioni. Chiaro che si va verso il fallimento. E non solo della social card...

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]



<< Home page