l'Antipatico

martedì 27 novembre 2007

la vita di Silvio B. (capitolo 8)

Nella capitale lombarda si insedia una potente colonia di mafiosi siciliani, i cui affari miliardari sono descritti in alcuni rapporti stilati in quegli anni dalla Criminalpol (la polizia criminale, che si stava per la prima volta specializzando in indagini sulla criminalità organizzata). Stabili sulla piazza milanese operano i fratelli Alfredo e Pippo Bono, Ugo Martello, Robertino Enea, oltre ai già citati "colletti bianchi" Monti e Virgilio. Si trasferiscono al Nord dalla Sicilia boss come Gaetano Carollo, Giuseppe Ciulla, Gaetano Fidanzati, Vittorio Mangano. A Milano arrivano in "missione d'affari" Joe Adonis, Stefano Bontate (in quegli anni il numero uno di Cosa Nostra), Tommaso Buscetta (che a Milano apre una società di import-export). Ma sono ben 372 i mafiosi che nel decennio tra il 1961 e il 1972 vengono inviati al soggiorno obbligato in Lombardia e che vi costruiscono la prima stabile rete d'affari delle organizzazioni criminali. Fino alla metà degli anni Settanta non è ancora la droga il business prevalente di Cosa Nostra, ma i sequestri di persona, le rapine, il contrabbando di tabacchi. I capitali provenienti dai riscatti e dalle altre attività illecite sono poi reinvestiti in attività imprenditoriali. I boss si trasformano in imprenditori. Ma non solo: stabiliscono una rete di rapporti con gli imprenditori "puliti". Racconta il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo: "Il pericolo dei sequestri, allora molto frequenti, portava gli industriali a entrare in contatto con gli uomini d'onore, anzi a desiderarne la protezione. Chiaramente, una volta entrato in contatto con Cosa Nostra, l'imprenditore non poteva e non può più allontanarsene e deve consentire alle varie richieste che possono venire dagli uomini d'onore con cui è in contatto. Tra queste, indubbiamente, c'è anche il reimpiego di capitali d'illecita provenienza". Anche Berlusconi, dopo i primi successi imprenditoriali, viene minacciato da Cosa Nostra. Teme di poter essere sequestrato. Teme anche per suo padre Luigi e suo figlio Pier Silvio. Ne parla apertamente in un'intervista concessa al Corriere nel 1994: "Rapporti con la mafia ne ho avuti una volta sola, quando tentarono di rapire mio figlio Pier Silvio, che allora aveva cinque anni: portai la mia famiglia in Spagna e lì vissero molti mesi". Che cosa fa Berlusconi, oltre a far fuggire i familiari all'estero? Erano anni in cui i sequestri di persona erano molto frequenti (103 nella sola Lombardia, tra il 1974 e il 1983). Eppure il giovane imprenditore non denuncia, non chiede protezione alle autorità, non avverte la polizia. Cerca una soluzione "privata". Si ricorda di un giovane palermitano di cinque anni più giovane di lui conosciuto negli anni dell'università (quindi più di dieci anni prima): Marcello Dell'Utri. Lo chiama da Palermo a Milano, lo assume come assistente. Dell'Utri porta con sè Vittorio Mangano, che viene assunto come fattore presso la villa San Martino di Arcore. La villa era stata comprata da Berlusconi per soli 500 milioni, pagati alla proprietaria, la giovane marchesina Anna Maria Casati Stampa, rimasta tragicamente orfana e dunque assistita nell'operazione dall'avvocato Cesare Previti, che le faceva da tutore di fatto, anche se in effetti era da tempo legato a Berlusconi...

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