una ingloriosa uscita di pista
Siamo costretti, nostro malgrado, a ritornare a scrivere del caso Alitalia dopo quello che è successo ieri pomeriggio, al termine del risibile ultimatum fissato alle 15.50 prima di dichiarare conclusa la trattativa (se così vogliamo chiamarla) e ritirare l'offerta da parte della CAI e di Colaninno (se di offerta si poteva parlare). Ora, immaginiamo, comincia lo scaricabarile. Tutti contro tutti. E' colpa dei piloti. No di Epifani. Ma no è il cavaliere che ha fallito. Classico muro contro muro di chi, poco intelligentemente e poco realisticamente, non ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. Adesso al danno che il Paese subisce per il naufragio di Alitalia si aggiunge anche quello del veleno che il caso ha prodotto e che chissà per quanto tempo avvelenerà i rapporti tra maggioranza ed opposizione, tra queste e i tanti sindacati che hanno avuto una parte nella storia, tra gli stessi sindacati. Se si dovesse celebrare un formale processo per l'accertamento delle responsabilità, occorrerebbero anni per giungere a sentenza. Infatti il salvataggio della nostra compagnia di bandiera è fallito non solo e non tanto a causa della mancanza di una pur fragile possibilità industriale per farla sopravvivere, quanto perché, dopo lo scempio che la politica ne ha fatto negli anni anche lontani, l'inglorioso epilogo è stato il naturale risultato di una sciagurata condotta (da qualsivoglia versante) nella gestione della crisi, sotto ogni punto di vista. Ci sono tanti motivi per ritenere che l'ultima fase della trattativa sia stata tecnicamente condotta male: la drammatizzazione dei tanti ultimatum nessuno dei quali ultimativo, la successione di tanti "giorni decisivi" che scorrevano senza decisioni, le casse dichiarate vuote da settimane ma dove soldi ancora ce n'erano come dimostra il fatto che gli aerei continuavano a volare. Ma ce n'è uno che ha dominato su tutti, ed è il gioco politico che cinicamente è stato condotto sulla pelle della compagnia di bandiera. Non si tratta solo del ruolo avuto da Berlusconi nel far saltare l'accordo con Air France agitando una soluzione "italiana", ma anche dell'assemblaggio di una cordata di imprenditori che con il trasporto aereo non hanno mai avuto niente a che fare e che, quindi, erano mossi da finalità estranee a quelle dell'impresa aerea; del tentativo di creare il precedente di un contratto di lavoro con condizioni peggiorative; della politica volta a mettere i sindacati autonomi nell'angolo e di dividere i sindacati confederali isolando la Cgil per legittimare l'Ugl.
Tanto hanno interferito finalità estranee all'impresa del salvataggio di Alitalia che questa specie di trattativa è stata condotta da tutti senza alcuna prospettiva di accordo con un forte partner straniero, essenziale per la riuscita di un qualsiasi realistico progetto di rilancio. Cosa succederà ora non è possibile preventivarlo perché nessun quadro attendibile della situazione è stato fornito. Il governo ha agitato lo spettro del fallimento, ma ora sembra che ci sia tempo se diversi esponenti politici vanno prospettando non meglio identificate alternative. L'ipotesi che si può fare è che il commissario abbia manifestazioni di interesse per qualche pezzo buono di Alitalia. Del resto, si sapeva che in molti (qualche compagnia straniera e, forse, la stessa cordata di Passera e Colaninno) stavano all'erta per intervenire nel caso di un fallimento con l'acquisto (ovviamente a prezzi stracciati) della "polpa" della compagnia: il marchio, gli slot, una parte degli aerei: pezzi del patrimonio che la cordata avrebbe rilevato senza che ne sia stata fatta o comunicata un'esatta valutazione. Dietro il cumulo di macerie politiche e sindacali, quindi, la storia dell'Alitalia potrebbe non essere ancora giunta all'ultimo capitolo. Del resto, se l'Italia ha bisogno di una compagnia aerea, ci sarà chi non mancherà di soddisfare tale esigenza. E quel marchio col tricolore sulla coda un valore e una funzione comunque ce l'ha. Questo può essere il calcolo che ha indotto piloti ed assistenti di volo a salutare, ieri a Fiumicino, con un chiassoso applauso la notizia del ritiro dell'offerta della Cai: per far volare gli aerei loro saranno comunque necessari; e a tutti gli altri qualcuno ci penserà. Un altro triste aspetto di questa brutta e ingloriosa uscita di pista.
Tanto hanno interferito finalità estranee all'impresa del salvataggio di Alitalia che questa specie di trattativa è stata condotta da tutti senza alcuna prospettiva di accordo con un forte partner straniero, essenziale per la riuscita di un qualsiasi realistico progetto di rilancio. Cosa succederà ora non è possibile preventivarlo perché nessun quadro attendibile della situazione è stato fornito. Il governo ha agitato lo spettro del fallimento, ma ora sembra che ci sia tempo se diversi esponenti politici vanno prospettando non meglio identificate alternative. L'ipotesi che si può fare è che il commissario abbia manifestazioni di interesse per qualche pezzo buono di Alitalia. Del resto, si sapeva che in molti (qualche compagnia straniera e, forse, la stessa cordata di Passera e Colaninno) stavano all'erta per intervenire nel caso di un fallimento con l'acquisto (ovviamente a prezzi stracciati) della "polpa" della compagnia: il marchio, gli slot, una parte degli aerei: pezzi del patrimonio che la cordata avrebbe rilevato senza che ne sia stata fatta o comunicata un'esatta valutazione. Dietro il cumulo di macerie politiche e sindacali, quindi, la storia dell'Alitalia potrebbe non essere ancora giunta all'ultimo capitolo. Del resto, se l'Italia ha bisogno di una compagnia aerea, ci sarà chi non mancherà di soddisfare tale esigenza. E quel marchio col tricolore sulla coda un valore e una funzione comunque ce l'ha. Questo può essere il calcolo che ha indotto piloti ed assistenti di volo a salutare, ieri a Fiumicino, con un chiassoso applauso la notizia del ritiro dell'offerta della Cai: per far volare gli aerei loro saranno comunque necessari; e a tutti gli altri qualcuno ci penserà. Un altro triste aspetto di questa brutta e ingloriosa uscita di pista.
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