l'Antipatico

mercoledì 24 novembre 2010

Irpinia, come rubare i soldi per 30 anni


Forse non tutti i lettori di questo blog lo sanno, ma oggi, 24 novembre 2010 (vale a dire 30 anni e un giorno dopo il catastrofico terremoto in Irpinia del 1980), tutti quegli italiani che hanno fatto il pieno di benzina, o diesel, hanno inconsapevolmente donato 4 centesimi di euro in favore della ricostruzione per i 687 comuni interessati all'epoca dal sisma. Vi sembrerà incredibile, cari lettori, ma questa è la dura realtà. Ancora oggi è in vigore una legge che consente, per la componente fiscale del prezzo dei carburanti, un'accisa (tranquilli, non è una parolaccia) da 4 centesimi di euro per ogni litro erogato. Perchè tutto questo, a distanza di 30 anni? Perchè, almeno stando a quello che il consiglio regionale della Campania fa sapere tramite un ordine del giorno che porta la data di ieri, la ricostruzione non è finita e, udite udite, "...bisogna sollecitare il Governo e il Parlamento ad intraprendere ogni iniziativa legislativa utile a chiudere il capitolo della ricostruzione dopo il sisma del 1980". Sembra una barzelletta, invece è tutto vero. E c'è pure poco da ridere. Lo Stato non riesce a chiudere l'emergenza rifiuti (checchè ne dica Berlusconi), non ci sono i soldi per ripianare i danni causati dalla recente alluvione in Veneto e deve invece ancora completare la ricostruzione in Irpinia??? Roba da matti. Mi sembra proprio pane per i denti acuminati del federalismo leghista. Tanto più se si vanno a rifare i conti dei soldi pubblici spesi (leggasi RUBATI) per una ricostruzione che, all'atto pratico, risulta ancora largamente incompiuta. Basta solo ricordare che i Comuni ammessi inizialmente alle sovvenzioni della ricostruzione, nel lontano 1980, furono 280 e che oggi, meticolosamente, subdolamente, incessantemente, anno dopo anno sono diventati 687, vale a dire quasi il nove per cento di tutti i Comuni italiani. Bel record, no? Per non dire dei costi delle infrastrutture cantierate, lievitate magicamente di ben 27 volte rispetto a quelli indicati nelle convenzioni originarie. Il valore stimato (in modo approssimativo) per il totale dei soldi pubblici spesi per il terremoto dell'Irpinia del 1980 è di ben 32 miliardi di euro (questa stima è stata fatta nel 2000...), quasi 60 mila miliardi di vecchie lire, pari a 7 volte di quanto speso per il terremoto del 1976 in Friuli, che però (almeno) è stato ricostruito presto e bene (grazie soprattutto ai friulani). Insomma, ancora oggi stiamo pagando per quella terribile, devastante scossa iniziata esattamente alle ore 19 e 34 di domenica 23 novembre 1980. La terra tremò per interminabili 90 secondi, con una magnitudo di 6,5 della scala Richter. La più forte scossa mai registrata in Italia nei 95 anni precedenti. Una scossa che distrusse case e infrastrutture in un'area di 17 mila metri quadrati, provocando la morte di 2.914 persone, il ferimento di 9.000 e lasciando senza una casa 280 mila cittadini. Un'apocalisse, praticamente. Eppure tanto tragico lutto è stato maledettamente inquinato dalla speculazione e dallo sciacallaggio sociale, al punto da far passare alla storia quel sisma come il terremoto della camorra. Un bel vanto per il nostro Belpaese, non trovate?

giovedì 18 novembre 2010

'na munnezza 'e presidente!


Nemmeno a dirlo. Quando si parla del presidente del Consiglio ci si deve sempre ricordare che il novanta per cento di quello che annuncia o promette sarà inevitabilmente rottamato. Lui, si sa, è abituato a raccontare cazzate, a prendere la gente per il secondo canale (non so se rendo l'idea...), a fottere e a chiagnere, tanto per restare in tema di napoletanità. E così, immancabilmente, è stato anche per l'ultima delle sue promesse. Ve la ricordate, vero? Quella che in tre giorni avrebbe fatto sparire la monnezza dalle zone inondate da tonnellate di rifiuti maleodoranti (http://www.obloforum.it/2010/10/260/). E invece niente. Oggi, a tre settimane dal pomposo editto di ripulitura, la monnezza ricopre sempre di più le strade campane, offrendo quel nauseabondo e squallido spettacolo di cui il Pifferaio si avvalse nell'ultima campagna elettorale per denigrare Prodi (e la sinistra) e per convincere quella fetta scellerata del Paese a riconsegnargli le leve del potere e quella poltrona di presidente del Consiglio, alla quale ora ci si è letteralmente inchiodato. E adesso sapete, cari lettori, che succede? Che si lamentano (e di brutto) anche quei mercanti di monnezza che fino ad oggi convivevano con cassonetti stracolmi e buste sparse lungo i marciapiedi. Sembrerà paradossale, ma sono proprio loro i primi a sperare che l'emergenza rifiuti finisca al più presto. "La monnezza è buona, quando non ce n'è troppa - spiega uno che viene dal campo nomadi di Secondigliano - Ora, per esempio, io lavoro malissimo. I sacchetti stanno lì da giorni, puzzano e colano molto più di quando la situazione era normale. Così, per me, è troppo difficile trovare la mia merce nei cassonetti". Stessa musica per gli altri mercanti della monnezza, i quali ormai sono scettici sulle proprietà taumaturgiche-monnezzare di quella munnezza 'e presidente. Come si dice, le parole (e le promesse) se le porta via il vento. La monnezza no. Quella rimane. Come lungo corso Umberto, l'arteria principale del centro storico di Napoli: qui le automobili avanzano a passo d'uomo, costrette a dribblare i cantieri e i sacchetti di spazzatura che esondano fin sulla strada. Per non parlare di via Roma, su cui si affacciano i negozi più esclusivi della città, ormai stracolma di monnezza. A San Gregorio Armeno (la famosa via dei presepi), i turisti fotografano i sacchetti invece delle statuette degli artigiani. Il che è tutto dire. A conti fatti, vista l'attuale situazione di crisi irreversibile della compagine berlusconiana, preso atto della chiusura della discarica di Taverna del Re, acclarato che le promesse del premier resteranno aria (puzzolente) fritta, non rimane che sperare nella costruzione di un nuovo, esclusivo, magnifico termovalorizzatore, capace di triturare e disperdere come cenere al vento tutto ciò che resta delle stanche membra di una munnezza 'e presidente. Vabbè, si fa per dire.

martedì 9 novembre 2010

la qualità (scadente) della politica italiana


Non vorrei tediare i miei pochi lettori con una sorta di lectio magistralis (con le sembianze di un post) sull'attuale classe politica dirigente, ma credo sia arrivato il momento di evidenziare come essa sia affetta, almeno a mio modo di vedere, da una degenerazione intellettuale e morale come mai prima d'ora, tanto da far rimpiangere (come qualche autorevole commentatore ha sottolineato qualche giorno fa) la vecchia Balena bianca degli anni Sessanta, quella tanto bistrattata (e forse già rimpianta) Democrazia cristiana dei Moro e degli Andreotti, dei Piccoli e dei Fanfani, e finanche degli Zaccagnini, che ha governato per 40 anni il nostro Paese almeno non con questa spocchiosa, mafiosa e irritante modalità come quella targata Berlusconi. Credo che alla base di questa strana e urticante disaffezione del popolo italiano alle cose della politica ci sia una sorta di naturale disincanto, tanto mellifluo quanto radicato, da strangolare la politica stessa e da allontanare irrimediabilmente i cittadini dalla scena pubblica. Questo disincanto, che sembra una malattia inguaribile, è più forte e più irreparabile della delusione stessa che prova chiunque, per passione o per interesse, cerchi di seguire gli avvenimenti dell'agone politico. Una delusione che porta anche con sè la frustrazione lancinante di un investimento emotivo andato a male. Il disincanto è, quindi, il termine più che adatto per descrivere questo momento basso dell'infimo impero del non senso della politica ignobilmente violentata da Berlusconi. Un impero decadente, terminale, segnato dalle turbolenze senili di un premier che somiglia sempre di più a certi personaggi in fuga da un ospizio (tratteggiati in modo sublime dal compianto Ugo Tognazzi in "Amici miei") piuttosto che a un degno politico, visto e considerato che non lo si può di certo paragonare a uno statista. Acclarato che il ciclo berlusconiano, vivaddio, si sta concludendo, preso atto della potenziale possibilità di riscatto (etico, morale, sociale ed economico) per il nostro Paese, rimane sempre irrisolto il problema di un'accettabile qualità dell'attuale ceto politico, impastato (negli ultimi tre lustri) della stessa materia di cui sono fatte le cose effimere. Una cosa, comunque, è certa. E cioè che il berlusconismo ha portato con sè, dal giorno del suo avvento, una nuova classe di protagonisti della politica provenienti da mondi ad essa ostentatamente estranei. E la diretta conseguenza è stata una sorta di eutanasia del politico di professione, di quel politico (uomo o donna che sia) formatosi ad una scuola di partito e non certo nominato e cooptato in base alle virtù da letterina o, peggio ancora, da mignotta. Un politico capace anche di mediazione e non solo foriero di conflitti o tradimenti, perchè (a mio modesto parere) la politica è più spesso esercizio di mediazione, di ricerca di punti di convergenza, di incontro sulla linea del possibile e del fattibile, piuttosto che il digrignamento di denti o dell'altrui calunnia. Adesso che il dibattito sulla fine di una lunga stagione made in Berlusconi ha preso interamente la scena pubblica (al di là delle soluzioni del tempo immediato e della fine prematura o naturale della legislatura), il tema della qualità della classe politica dirigente torna a rappresentare la priorità assoluta. I tre lustri berlusconiani, ormai alle nostre spalle, hanno generato la favoletta che vuole il non-politico, il tecnico, il professionista, l'imprenditore (purchè ricco, così non ha bisogno di rubare...credevano) molto meglio del "politico di professione", soprattutto nella gestione degli affari pubblici. Gli effetti di questo mantra, recitato a beneficio di quegli italiani dalla bocca buona, sono sotto gli occhi di tutti. La mia conclusione di questo articolato e spero condivisibile post è che, auspicabilmente dopo l'uscita di scena di Berlusconi, questo modo tribale e affaristico di intendere la politica cessi e che finalmente ci sia un politico vero, reale, non corrotto, di sani principi, che conosce la fatica della democrazia oltre a possedere il sentimento dell'identità nazionale, che sa tenere lontano il suo privato dall'inevitabile dovere pubblico, che non dice parolacce e non racconta barzellette. E che magari non va con le zoccole. Resterà solo un sogno irrealizzabile?

domenica 7 novembre 2010

Matteoli, un ministro da rottamare


A volte basta poco per inquadrare un uomo politico, che poi è anche ministro. Se l'uomo politico se ne esce con una battuta (http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=56858) come quella pronunciata al Meeting di Rimini dello scorso agosto ("girando per il Meeting ho notato che questi ragazzi che mi accompagnano da una parte all'altra sono senza orecchino. Una grande soddisfazione. Con rispetto per qualcuno che ce l'ha, ma è stato davvero un grande piacere"), velatamente rivolta ad un altro uomo politico (Nichi Vendola), allora vuol dire che non ha capito molto della buona creanza e del rispetto reciproco, non soltanto in politica. Se poi lo stesso uomo politico, nonchè ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in un'altra occasione (un convegno organizzato lo scorso 4 novembre per ricordare l'alluvione di Firenze del 1966) se ne esce con una considerazione della serie "mi hanno detto che ci volevano 70 mila miliardi per mettere in sicurezza l'Italia dai disastri idrogeologici" (http://www.asca.it/news-MALTEMPO_MATTEOLI_ASSETTO_IDROGEOLOGICO_PROBLEMA_SERIO-962897-ORA-.html) è come dire che il ministro è stato nominato a sua insaputa. Uno che non tiene in debito conto la possibilità di verificare personalmente se sono vere le affermazioni altrui, non credo possa contare molto sulla considerazione benevola della stragrande maggioranza degli italiani. E' la stessa cosa nel dire "papà, mi compri l'elicottero?", "figlio mio, ci vogliono troppi soldi!", ma in questo caso il botta e risposta è accettabile e pure logico in quanto il bambino non ha ancora precise cognizioni finanziarie e il genitore non applica una pedagogia spicciola. Se però il botta e risposta lo moduliamo su quanto detto da Matteoli al convegno del 4 novembre scorso, allora ne viene fuori un ritratto tra il comico e il patetico. La sostanza è questa: siccome non abbiamo i soldi per intervenire in toto, non ci muoviamo e aspettiamo le piogge con la speranza che non siano troppo forti e abbondanti. In pratica, il limitato cervello del ministro Matteoli non ha nemmeno per un istante preso in considerazione la plausibile idea di intervenire con provvedimenti in itinere per mettere a posto il territorio, sia pure di volta in volta, con finanziamenti anche non stratosferici ma comunque sufficienti alla bisogna. Invece no, niente di tutto questo. Siccome il conto presentato è pari a due o tre Finanziarie, è quasi scontato che ci dobbiamo fermare. E aspettare che magari il nostro Paese frani del tutto. Mi auguro fortemente che non ci sia bisogno di un'altra alluvione, come quella di Firenze del 4 novembre 1966, per poter chiedere la rottamazione (senza incentivi) dell'ineffabile ministro Matteoli.

martedì 2 novembre 2010

se s'incazza pure DAVIDE (che sta in terra iberica)...


Come ho anticipato al mio amico e collaboratore DAVIDE, nel commento al post precedente, ritengo opportuno riportare integralmente il suo iracondo pensiero sulla situazione attuale dovuta all'ennesimo scandalo berlusconiano. Avverto i lettori che qualche parolaccia (a ben vedere giustificata dalla rabbia repressa da troppo tempo) infarcisce il suo scritto, ma per apprezzarne la totalità e la schiettezza del pensiero credo sia inevitabile non censurare nulla di quanto espresso dal giovane blogger attualmente in terra iberica. Buona lettura.
Caro Nomadus,
mai come ora sono davvero attaccato a quello che dici. Sebbene io non abbia questa tua certezza, spero e desidero con tutto il mio cuore che ciò si avveri. Che sia questa marocchina tettona, che sia la telefonata innominabile, sia tutto quello che sia, basta che davvero qualcuno nell'alto dei cieli abbia pietà di questo povero e disgraziato Paese, che è poi la nostra povera Italia, e ci liberi seduta stante da questo ignominioso stato di cose. Potrà anche governare il principe Emanuele Filiberto insieme a Lippi, dopo, non m'interessa. Mi interessa solo che Silvio Berlusconi non sia più il presidente del Consiglio. Basta, davvero. Non se ne può più. Sono allo stremo. E nemmeno vivo in Italia. Non posso più tollerare di vedere il mio Paese così in basso, con certa feccia immonda, a dire ormai le più squallide porcate da bar, agli alti vertici dello Stato. Questa farsa deve finire. Mi dispiace per quei milioni di poveri mentecatti con il cervello spappolato dalla televisione e dalla loro stessa scemenza, ma questo stato di cose non è più tollerabile. Bisogna che l'Italia, per quanto sia un Paese da operetta, ritorni a un certo livello di decenza e di considerazione internazionale. Basta cazzo! Fini, cristo, svegliati e smettila di tergiversare! Sfiducia unanime, governo tecnico con priorità sulla legge elettorale e sull'economia. Sei mesi e poi subito le elezioni. E blocco del Lodo Alfano. Così Silvio sprofonderà nel nulla e nell'inferno della giustizia. Ma è così difficile da vederlo? E' così difficile, per una volta, fare quello che bisogna fare, superando le stupide ritrosie in nome di un bene più grande? Quello della decenza della nostra Patria? E' così difficile, porca di quella puttana, non capire che adesso, proprio adesso, è il momento di infliggere il colpo di grazia a un pazzo malato, senza più controllo, che sta facendo a pezzi l'immagine del nostro Paese davanti al mondo intero? Ma come è possibile???
Mi sembrerebbe alquanto retorico e scontato dire, in conclusione di questo post, che sono totalmente d'accordo con lo sfogo del mio amico DAVIDE, ma (come dicevano i latini) repetita iuvant. Soprattutto mai come in questo delicato momento.