l'Antipatico

venerdì 28 maggio 2010

la crisi, i soliti furbetti e le immancabili auto blu


Quando il cielo si fa buio vuol dire che è tempo di aprire l’ombrello. In questo caso non mi sto riferendo alla situazione meteorologica ma a quella economica del dopo manovra. I luminari dell’economia (o presunti tali) ogni giorno ci parlano di restrizioni, di tagli, di stringere la cinghia, di ripresa e di ricadute nel giro di poche ore. La caccia alla previsione più o meno catastrofista, almeno per questi saggi al servizio del libero mercato imposto dagli anglo-americani, è cominciata. E la gara all'individuazione del Paese che replicherà le nefandezze economiche della Grecia diventa quasi una routine quotidiana, accompagnata dalla solita e sterile lezione su come risollevarsi dalla crisi, seguendo pedissequamente le indicazioni delle agenzie di rating. La declinazione dei tagli, impartita dai pescecani della finanza, dell’economia e del potere industriale, sta colpendo inesorabilmente come una clava tutti i settori lavorativi, da quello pubblico a quello privato. Ci si incolpa di aver vissuto in questi anni al di sopra delle nostre possibilità come se fosse un peccato desiderare un salario dignitoso, una casa, fare delle vacanze, avere una macchina e concedersi qualche sfizio. E così nel nome del libero mercato (che ha generato la crisi per una riconosciuta forma di speculazione) a pagare sono i soliti derelitti cittadini, sbattuti fuori dal posto di lavoro o costretti ad accettare riduzioni dei salari e contratti flessibili. Mentre per i giovani che premono per entrare nel mondo del lavoro la situazione è ancore peggiore: lavorare per quattro lire oppure stare a pancia all’aria tirando fino all’alba tra una canna e una bevuta, grazie ai soldi di papà. Al contrario certi nostri politici, alti paperoni della finanza e dell’economia, imprenditori, faccendieri e funzionari con carnet di escort e di trans pronti all’uso se la spassano dalla mattina alla sera, naturalmente con l’auto blu. Questo lungo cappello introduttivo l'ho volutamente evidenziato appunto per sottolineare questo abuso di auto blu, davvero sconcertante in tempo di crisi. L’inchiesta di questa settimana de L'espresso su questo status symbol dell’auto blu (http://espresso.repubblica.it/dettaglio/scandalo-auto-blu/2127969//0) è abbastanza scoraggiante sul modo di fare di queste classi di privilegiati che predicano tagli per gli altri ma mai per loro stessi. Nella denuncia del settimanale di via Po si fa riferimento ad un caso emblematico, quello del recente funerale dei due alpini morti in Afghanistan. Nell’occasione si sono viste una marea di macchine blu per politici, alti ufficiali, funzionari dello Stato, delle regioni e imprenditori istituzionali dalla lacrima facile. "Con polizia ed esercito impegnati ad allontanare la gente raccolta in piazza della Repubblica -così si legge nell’articolo- per l’ultimo saluto al sergente Massimiliano Ramadu e al caporal maggiore Luigi Pascazio, proprio per fare posto alle vetture di Stato che arrivavano dalle sedi istituzionali, spesso a poche centinaia di metri dalla chiesa di Santa Maria degli Angeli". Per fortuna di chi va al fronte per togliersi qualche soddisfazione in più o per sfortuna di chi ne subisce le conseguenze per le bombe intelligenti questo settore non è toccato dalla crisi. Anzi, recentemente il ministro della guerra Ignazio "Chestrazio" La Russa ha annunciato un aumento del contingente che opera in Afghanistan per portare la democrazia (ha detto proprio così). E grazie a lui (e a Berlusconi, ovviamente) altri mille militari potranno portare morte e distruzione nei Paesi indicati come Stati canaglia dagli anglo-americani e portare a casa il gruzzoletto per andare in vacanza, per dare l’acconto per il mutuo e per farsi la macchina nuova. Certo adesso la concorrenza degli immigrati potrebbe ridurre anche questa scappatoia per chi desidera uno stipendio dignitoso, perché pronti ad accettare salari più bassi per sganciare bombe intelligenti su vecchi, donne bambini e militari. Più o meno è quello che fanno gli immigrati d’America per ottenere la cittadinanza. Ma torniamo al privilegio delle auto blu, per le quali "sono stati spesi oltre 100 milioni solo per gli ultimi lotti, appaltati dalla Consip, la società che gestisce le gare per il ministero dell’Economia. E un’altra assegnazione è ancora in corso". Naturalmente senza rinunciare agli optional di lusso, dal satellitare ai sedili in pelle chiara. Entrando nella sostanza delle cose, il parco macchine blu ammonta ad oltre 600 mila unità che, confrontate con le 73 mila degli americani, con le 63 mila dei francesi e con le 56 mila degli inglesi fa gridare allo scandalo. E dovrebbe far inferocire (e di brutto) i cittadini. A meno che questo Paese non sia completamente addormentato da questo circo mediatico dove i papponi con l’auto blu se la spassano alla faccia dei lavoratori che debbono fare un altro buco nella cinghia dei pantaloni. E dal non proprio sommesso russare che giunge alla mie orecchie credo proprio sia così.

martedì 25 maggio 2010

l'ostilità della politica verso la cultura


Ostilità. Tenace ostilità. Mi pare questo il termine giusto per sottolineare l'attuale rapporto tra la politica e la cultura. O almeno tra parti importanti di esse. Ho pensato questo all'indomani delle parole usate dall'attore Elio Germano nel corso della premiazione all'ultimo Festival del Cinema di Cannes (http://www.youtube.com/watch?v=QWKuPBecJUs). Il vincitore ex-aequo del premio come miglior attore alla rassegna francese ha detto quello che molti pensano: "...gli italiani fanno di tutto per rendere migliore il nostro Paese, nonostante questa classe dirigente". E come se non bastasse Germano aveva ricordato in precedenza che "...i nostri governanti hanno rimproverato il cinema di parlar male del nostro Paese". Parole dure, dette poi da un giovane attore: il che colpisce ancora di più. Certo, ultimamente i rapporti tra la cultura cinematografica e teatrale e la politica in generale (per non dire con il ministro Bondi in particolare) non mi sembrano idilliaci. Questa palese ostilità tra le parti (che comporta comunque una sorta di avvitamento continuo e irrefrenabile) sta dunque nel fatto che, mentre la classe politica di governo rimprovera gli artisti italiani di rappresentare male il proprio Paese (valga per tutti l'esempio dello scontro Bondi-Guzzanti, http://www.repubblica.it/politica/2010/05/08/news/bondi_draquila-3906915/), gli artisti (a loro volta) rispondono di fatto con la stessa moneta: l'Italia è migliore dei suoi rappresentanti politici. Così, stante la situazione, qualsiasi rapporto è pressochè impossibile. E' un errore sia della cultura che della politica (più della seconda che della prima a mio avviso), quello di presumere di rappresentare la parte migliore del Paese. Una supponenza. Una mancanza di senso critico. Imperdonabile su entrambi i fronti e che non può che provocare guai a tutti e in particolar modo al Paese che dicono di amare. Ma se un tale errore, nelle parole di un giovane uomo d'arte come Elio Germano, può essere dettato da un sacrosanto entusiasmo normalmente insofferente rispetto alle critiche generiche provenienti dalle tribune politiche, in un uomo politico d'esperienza e di responsabilità (nonchè di intelligenza e sensibilità oltre alle riconosciute doti di acume e di perspicacia...) come il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi non è perdonabile affatto. La sua decisione di non andare a Cannes e ai premi David di Donatello e di svolgere invece (insieme al suo viceministro Francesco Giro) una specie di guerra frontale critica nei confronti del cinema italiano è, a mio parere, una scelta insensata e pure poco lungimirante. L'acclarata ostilità tra le parti ha oramai le sue radici nel pensiero di correggere la cultura attraverso la politica, che diventa lo spazio e la fonte di giudizi culturali. E' un errore storico di certa sinistra in Italia (e non solo), e pare anche attualmente mutuata dagli atteggiamenti del ministero capeggiato dal poeta Bondi. Non sarà di certo criticando il cinema attuale (come sta facendo il governo) che il cinema attuale migliorerà. Altro aspetto paradossale di questa insensata ostilità sta nel fatto che i due maggiori produttori e distributori di cinema italiano sono l'uno governativo (RAI) e l'altro espressione dell'attuale presidente del Consiglio (MEDUSA). Dunque, conseguentemente, ogni critica generica di taglio politico al cinema italiano diviene quasi surreale. La capacità di miglioramento culturale segue naturalmente le strade della cultura: maestri che tirano su allievi, artisti coraggiosi che percorrono nuove strade, nuovo modo di valorizzazione dell'identità italiana, confronto vero con l'arte nel mondo e non solo con il proprio ombelico. Queste sono le azioni, gli spazi che una vera politica di governo dovrebbe favorire e assicurare in campo culturale, invece di criticare gli artisti di casa nostra che ci sono e che vanno rappresentati istituzionalmente e non snobbati. Credo che per il bene di tutti occorra al più presto uscire da questa ostilità e da questo avvitamento. E il primo passo credo sia giusto che lo faccia la politica. Anche perchè il destino dell'Italia sta a cuore agli artisti più veri e sinceri, ma per così dire nessun artista è obbligato ad avere questa preoccupazione. Mentre i ministri e i politici sì.

venerdì 21 maggio 2010

si è svegliato il mastino (bergamasco)




A leggere questa mattina l'editoriale firmato da Vittorio Feltri su il Giornale quasi mi è venuto un coccolone (per i residenti fuori dal Grande Raccordo Anulare di Roma dicesi coccolone una specie di infarto). Non ci volevo credere: strabuzzavo gli occhi e mi rituffavo nella lettura. Dicevo tra me e me che non era possibile che l'occhialuto bergamasco potesse scrivere siffatte cose. Ma alla fine ho dovuto cedere di fronte all'evidenza e la prova provata che anche uno dei lecchini di Silvio Berlusconi si era oltremodo stancato di leccare senza cavare un ragno dal buco (attenzione, dicesi buco in senso metaforico; non prendete tutto alla lettera...) l'ho avuta appunto con l'articolo di fondo del direttore del quotidiano di casa Berlusconi: questo (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=RQKEM). Finita la lettura del pezzo mi sono chiesto quale celeste apparizione si fosse appalesata dinanzi agli occhi di Feltri per indurlo così drasticamente ad un feroce attacco nei riguardi del suo padrone riconosciuto, quello che non gli lancia semplicemente un osso ma che lo ricopre annualmente di fior di milioni di euro per le sue apprezzate (dal Cavaliere s'intende) gesta giornalistiche. Non mi sono dato una risposta (non è che poi me ne freghi un granchè) ma devo dire che l'uscita editoriale di questa mattina di Feltri mi ha piacevolmente sorpreso. Invero ero rimasto anche un pò sorpreso per il suo imbarazzato silenzio all'indomani dell'attacco altrettanto violento (ma intellettualmente efficace) sferrato dal direttore di Repubblica contro la legge bavaglio sulle intercettazioni (di cui potete leggere qui, http://www.rosarossaonline.it/dettaglio.php?id=4668); ritenevo (erroneamente) che Feltri non si curasse di Ezio Mauro e dei suoi editoriali contro il Pifferaio di Arcore ma che volesse continuare a portare fieno in cascina attraverso i suoi titoloni (oramai straconosciuti) diretti un giorno contro il PD e un giorno contro Di Pietro, anche grazie all'ineffabile solerzia dei suoi due rottweiler della carta stampata che rispondono ai nomi di Porro e Sallusti. Invece anche il sonno dei giusti (si fa per dire) ha portato al risveglio del mastino bergamasco che una volta tanto riesco a leggere senza dover andare di corsa in bagno, portandomi ovviamente dietro il quotidiano per l'uso che ne dovevo fare. Meglio così. Ad maiora.

domenica 16 maggio 2010

uno schifo senza fine


Sono entrato nell'ordine di idee che entro poco tempo si aprirà una potente campagna mediatica (orchestrata naturalmente dal Pifferaio di Arcore) che, oltre a far scomparire le responsabilità della crisi economica in cui versa il nostro Paese e a derubricare le malefatte della Cricca di Anemone, Balducci e compagni in innocenti giochetti stile Monopoli, tenterà di ridurre drasticamente la spesa pubblica assestando un altro colpo alle condizioni di vita dei più deboli, quelli che pagano sempre per gli altri: i lavoratori e i pensionati. Il cosiddetto Partito dell'Amore (e del malaffare), cioè il partito di coloro che nonostante il tragico fallimento del neoliberismo continuano a proporre le stesse ricette a base di ruberie varie e favoritismi per gli amici degli amici, dovrebbe essere sciolto e messo in condizione di non nuocere. Questa è la mia idea e non credo di essere oltremodo drastico. Credo che dovremmo iniziare a fare proposte efficaci e immediatamente comprensibili per la stragrande maggioranza dei cittadini. E non ritengo necessario passare attraverso le forche caudine della politica, sia pure della cosiddetta opposizione. La vicenda dello scandalo della Cricca dei grandi Eventi ha contribuito all'opera di scollamento tra la società civile e le istituzioni, in particolar modo quelle che dimorano a Palazzo Chigi. Ma facciamo un pò il punto della situazione. Diego Anemone, un modesto e giovane uomo d'affari, aveva nel granaio così imponenti provviste economiche da potersi permettere di pagare cash quasi un milione di euro per aiutare ad acquistare la casa ad un ex ministro. Stando alle anticipazioni giudiziarie, c'è una fila interminabile di uomini politici o alti dirigenti statali che non disdegnavano concreti favori da Anemone: ristrutturazioni di case, manutenzioni, fornitura di mobili. Tutti soldi anticipati dall'imprenditore ma che rientravano nel suo portafogli con giganteschi interessi attraverso l'affidamento di opere pubbliche. Ricchezze che venivano alimentate da una spesa pubblica senza controllo. Dicono le indagini in corso che il solo Angelo Balducci pretendeva il 10% dell'importo dei lavori. Mettiamoci gli altri soggetti tecnici, dai direttori dei lavori ai collaudatori amministrativi e tecnici e arriviamo a somme da capogiro. La Corte dei Conti ha stimato in oltre 60 miliardi di euro l'ammontare dei soldi che vengono sottratti alle casse dello Stato attraverso il sistema della corruzione. Ad ogni cittadino italiano vengono sottratti mille euro all'anno, un'impressionante tassa aggiuntiva occulta. Ma bisogna anche dire che a mettere le mani nelle tasche degli italiani non è soltanto la Cricca. C'è infatti il sistema delle grandi opere, a cominciare dal Ponte sullo Stretto che ha già fatto guadagnare ricche prebende ai soliti noti. C'è il buco nero dell'Anas. C'è l'alta velocità ferroviaria, costata alle casse dello Stato 51 miliardi di euro che sono andati ad ingrossare i bilanci di non più di venti grandi imprese nazionali. Ma di questo, ovviamente, la severissima Confindustria non parla: preferisce accanirsi contro ogni spesa a favore dei lavoratori e non ha interesse a mutare questo indecente stato delle cose. Uno dei centri vitali dello Stato, quello della spesa per le opere pubbliche, è sequestrato da una struttura di potere di uomini politici, di tecnici compiacenti e di imprese che spesso controllano i grandi mezzi di informazione. Tagliando questo sistema malavitoso un Comune di duemila abitanti potrebbe avere un ritorno di 2 milioni all'anno. Una cifra utile a interrompere la spirale degli ultimi anni in cui i Comuni per fare cassa sono stati istigati a vendere beni pubblici o a incrementare la realizzazione di nuovi inutili quartieri. Con quei soldi si potrebbero mettere in sicurezza le scuole, curare i parchi, i beni culturali o lasciare aperti i pochi servizi sociali ancora esistenti. Il comune di Roma avrebbe in dote quasi tre miliardi all'anno, molto di più dei 500 milioni stanziati dal governo con grandi squilli di tromba. Insomma, in poche parole, mettere fine a un sistema perverso che fa affluire miliardi a pochi speculatori e ad un sistema politico marcio è un modo efficace per evitare un ulteriore taglio dello stato sociale. Ma la sinistra è muta, incapace di incalzare su un terreno estremamente favorevole. Per tornare ad essere credibili basterebbe chiedere che il controllo della spesa per le opere pubbliche e per la sanità sia affidato a galantuomini estranei alla politica e con il conseguente taglio di spesa evitare ogni altra macelleria sociale. Ma forse sto solo sognando ad occhi aperti...

lunedì 10 maggio 2010

è sempre merito suo!


Una volta l'aveva detto nella trasmissione del suo lecchino di fiducia, il genuflesso e viscido Bruno Vespa, che il nipotino lo vedeva come un Superman dai poteri eccezionali. A forza di sentirselo dire da quella creatura innocente il nostro presidente del Consiglio si è calato totalmente nella parte e ci crede veramente. Di essere proprio il Superman del terzo millennio. Quello che, senza neanche il bisogno di indossare la tuta blu aderente (con grave nocumento alla sua silhouette...) con la grande S al centro del petto, e senza neanche la necessità di svolazzare tra i tetti di Roma o, peggio ancora, di defatiganti trasferte in quel di Bruxelles, riesce miracolosamente a far sì che l'euro e tutta l'angosciata Comunità Europea si ritrovino d'un tratto salvate dal suo soprannaturale intervento (http://www.repubblica.it/economia/2010/05/10/news/reazioni_vertice-3956169/). Roba da far concorrenza alla Madonna di Medjugorje. E allora mi viene da pensare: non sarebbe meglio smetterla di scrivere sui miei due blog contro il Pifferaio di Arcore e blandirlo invece con dei post alquanto accattivanti (e necessariamente stile il Giornale o Libero) per potermi assicurare la sua gratitudine e il suo consenso onde potergli chiedere qualche miracolo anche per me o per la mia famiglia? A tal proposito avrei una lista decisamente articolata e lunga di miracoli da chiedere al beato Silvio, primo fra tutti un bell'aumento della pensione di mia madre che ancora si ricorda di quando, sei o sette anni fa, prometteva il minimo degli emolumenti pensionistici a 516 euro (il milione del vecchio conio). Per la cronaca la mia mamma percepisce 468 euro: se Dio vorrà e la manterrà ancora in salute credo che non avrà bisogno del miracolo di Silvio. Con gli scatti e gli adeguamenti previsti per i prossimi tre o quattro anni la pensione arriverà lo stesso alla fatidica soglia tanto agognata (e malamente promessa). In attesa, sempre e comunque, dei prossimi taumaturgici interventi del Superman di Arcore.

mercoledì 5 maggio 2010

vedi Roma (e il Colosseo) e poi muori


Ebbene sì, lo confesso. Ieri mattina ho pianto vedendo in tv quel pover'uomo dell'ex ministro Scajola mentre annunciava ai cronisti le sue dimissioni dalla squadra governativa berlusconiana. Non ci crederete ma ho sentito una fitta al cuore immedesimandomi nello stato d'animo di un solerte ed efficiente ministro della Repubblica costretto a quella gogna mediatica rappresentata dal dover ammettere che, per favorire l'iter della giustizia e per meglio difendere se stesso, era costretto a farsi da parte e magari anche a rinunciare (che ingiustizia però!) a quella magnifica casa con vista sul Colosseo. Leggete per caso una sottile ironia in queste righe che sto scrivendo? Ma dai...! E va bene, a parte le mie lacrime di coccodrillo debbo ammettere che sulla vicenda Scajola sono stato all'inizio attento a non cadere nella trappola giornalistica dell'impiccagione del presunto colpevole, in questo caso specifico senza nemmeno lo straccio di un avviso di garanzia da parte dei giudici di Perugia (quelli che indagano sulla famigerata Cricca). Tutto ciò per evitare di ripetere gli errori dei tempi di Tangentopoli dove la gogna mediatica uccideva e condannava molto prima di qualsivoglia processo. Poi però, come nella vicenda Scajola, non ci si può nascondere dietro un dito e gridare pure al complotto! Ancora una volta, quindi, abbiamo assistito alla solita messinscena di un ministro colto con le mani nella marmellata. Le sue puerili giustificazioni, poi, hanno fatto irritare ancor di più gli italiani, che non vengono certo dalla montagna del sapone. Abitare in un sontuoso appartamento di quasi 200 metri quadri, con vista mozzafiato sul Colosseo e pagarlo (anzi, farselo pagare) con la provvista del generoso costruttore Anemone (come dice giustamente Floris, chi non vorrebbe avere per amico uno come Anemone?), blaterando invece di averlo pagato con un mutuo da 600 mila euro è proprio roba da mentecatti. Uno come Scajola che parla poi di congiura e di macchinazione al fine di colpire il presidente del Consiglio, negando l'evidenza dei fatti e delle circostanziate testimonianze tutte a suo carico (http://ia331205.us.archive.org/2/items/documenti_scajola/docu.pdf) , dimostra inevitabilmente tutta la sua vulnerabilità e la sua sporca ipocrisia. Non ci si può nascondere dietro la tenda del Palazzo mistificando anche la realtà dei fatti. Ci sono, purtroppo per Scajola, le prove inconfutabili degli assegni: quegli 80 assegni circolari della Deutsche Bank, per un totale di 900 mila euro, messi a disposizione del ministro (tramite il riciclatore Zampolini) dall'imprenditore Anemone, quello della cricca Balducci (tanto per rendere l'idea), attualmente gradito ospite delle patrie galere. E gli assegni non mi pare che siano frutto di fantasiose trame... Come detto, siamo di fronte all'ennesimo grave caso di corruzione e di malcostume che fa arrabbiare tanto la gente, soprattutto quando si tratta della casa, nota dolente e perenne delle italiche sofferenze. L'ex ministro (al momento) non è indagato e sarà sentito dai magistrati il prossimo 14 maggio, ma è indubbio che si trova al centro di una situazione vergognosa condita da un avvilente squallore etico e morale. Poi ci si lamenta e si mostra stupore per il forte astensionismo delle ultime elezioni regionali e per l'allontanamento dei cittadini dalla politica. Uno che si discolpa dicendo di essere sottoposto ad un processo mediatico in base alla testimonianza di terzi e che asserisce di essere totalmente estraneo ai fatti o è un pazzo o è un grande bugiardo. Probabile che Scajola sia tutti e due. Non nego che in passato ci sia stato un uso politico dell'avviso di garanzia ma non per questo dobbiamo sciropparci le giustificazioni poco credibili di uno Scajola. Posso anche capire la debolezza umana, posso pure comprendere le devianze di chi va con giovani vergini o si tuffa in serate a base di trans e coca in cambio di favori, ma tutto questo do ut des è inaccettabile agli occhi di chi tira la cinghia tutto il mese, per chi è sotto la mannaia della flessibilità (che si traduce poi quasi sempre in precarietà a vita) e per chi finisce brutalmente licenziato. Figurarsi poi per chi non ha una casa nemmeno in affitto quello che può far pensare la vicenda Scajola. Altro che vista mozzafiato sul Colosseo...