l'Antipatico

lunedì 30 novembre 2009

lettera a un figlio che deve lasciare (il nostro Paese)


Ho deciso di dedicare questo odierno mio post alla lettera pubblicata da Repubblica e scritta da Pier Luigi Celli, rettore della LUISS ed ex direttore generale della RAI. Una lettera indirizzato al figlio con l'invito ad abbandonare questo Paese che non potrà assicurare un futuro degno di questo nome non soltanto al figlio di Celli. Almeno credo, visto le prospettive e le situazioni attuali in cui si è incagliato il nostro beneamato Stivale. Chissà che sensazioni e che tipo di deduzioni potranno suscitare queste righe scritte dal rettore della LUISS al mio carissimo amico e collaboratore di questo blog DAVIDE, anche lui costretto a lasciare il nostro Paese per cercare fortuna e realizzazione in terra iberica. Chiunque, dopo la lettura di questa lettera, vorrà lasciare un proprio commento sull'argomento sarà il benvenuto. "Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio. Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai. Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza. Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio. Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi. Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni. Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze. Preparati comunque a soffrire.
Con affetto,
tuo padre
Pier Luigi Celli
L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.

venerdì 27 novembre 2009

l'Italia dalle due facce


C'è un'Italia dai due volti, in questo momento, al centro dell'interesse e della discussione. Quella politico-gossippara che del caso Marrazzo ne è la legittima promanazione, con un cadavere che scotta (il trans Brenda) non certo per il fuoco appiccato, un computer con 80.000 file e un filmato che ne vale tutti, con materiale imbarazzante per persone in vista e soprattutto eccitante per milioni di potenziali voyeurs, educati da decenni a guardare la storia nazionale dal buco della serratura. C'è poi anche l'Italia dei papelli e dei pentiti, un'Italia che sembra la riedizione della Piovra del commissario Cattani, quella dell'eterna e invincibile mafia, degli innumerevoli mandanti occulti, dei soliti e impenetrabili misteri noir che fanno da legittimo corollario ai processi brevi, alle leggi ad personam, alle ricusazioni, ai teoremi complottistici, al legittimo impedimento e via cavillando. E poi c'è sempre lui, il dominus, il Barabba del terzo millennio da salvare a tutti i costi dalla crocifissione voluta da quei forcaioli con la toga rossa. Un povero cristo che si sente inseguito (oramai da una quindicina d'anni) da una muta di cani inferociti aizzati dai soliti comunisti. È una scenografia barocca e grottesca quella in cui si sta ambientando l'ultimo copione della politica italiana, con lo sfondo di un terreno fangoso in cui rovista, si avvolge e si concima il dibattito pubblico del nostro Paese, attraversato da un tiro incrociato di stracci umidi di fango e di veleno, di reciproche accuse di malaffare e di corruzione. E del resto in Italia tutto è schiacciato sulla dimensione immediatamente politica che usa la tragicità come arma emotiva di massa accompagnata dalla retorica strumentale pro o contro. Tanto si sa che poi la differenza sarà fatta da una procura o da uno scandalo, sono quelle le armi con cui si combatte la guerra vera, altro che la imminente e populistica guerra civile paventata (e poi vigliaccamente ritrattata) dal Pifferaio di Arcore. C'è una polemica, una tensione, un dibattito incattivito che si gioca su dichiarazioni dal sapore riconosciuto (quello degli slogan), su accuse reiterate e su messaggi subliminali, su accordi sottobanco e su plateali ritrattazioni. Insomma, a ben guardare, c'è un'Italia a due facce, divisa e incarognita, figlia illegittima dello stupro berlusconiano del 1994 che ancora oggi non riesce a far scontare la giusta pena al suo violentatore. Un Paese che, malgrado tutta l'intelligenza e la bellezza che ha sedimentata nella sua storia, pare incapace d'un colpo d'ali e di un cambiamento repentino e che invece pare attratto, per morbosità e pigrizia, dai demoni minori che ne fanno impropriamente parte.

lunedì 23 novembre 2009

non è soltanto una questione di crocifisso...


Mi ero ripromesso di non scrivere riflessioni personali sulla questione del crocifisso nelle aule scolastiche italiane che tanto rumore ha fatto nelle settimane scorse. Ma siccome il livello delle polemiche stava diventando stucchevole (in particolare per merito di esponenti del mondo cattolico, laici o prelati che siano non importa), allora ho creduto bene di intervenire su questo blog. Nelle chiacchierate televisive, tipiche di programmi che nulla hanno a che vedere con argomentazioni religiose o similari, si sono alternate voci e volti alla ricerca della propria ragione o della relativa acclarata convinzione sui temi in discussione, all'indomani della discutibile sentenza di Strasburgo che tanto clamore ha provocato. Osservando il tutto con un certo distacco ho preso lo spunto per soffermarmi su qualche riflessione riguardante la questione cattolica alquanto complessa e delicata. Se parliamo dei crocifissi, non possiamo non affrontare la questione Concordato. Acclarati i fatti storici e rammentato che un Concordato è un accordo fra due potenze che consente all'una di sconfinare nel territorio dell'altra, credo sia opportuno ribadire che esso non è certamente configurabile come uno strumento evangelico; piuttosto credo sia uno strumento diplomatico-politico di ampia portata. Piaccia o no, consente alla Chiesa cattolica di intervenire massicciamente nel dibattito politico italiano (in particolare sui temi etici) condizionandone la naturale discussione e, a volte, imponendole una scelta piuttosto che un'altra. Se questo è vero (e mi sento di sfidare chi lo nega) allora la scelta politica deve essere quella di batterci per l'abrogazione del Concordato e, necessariamente, dell'articolo 7 della Carta costituzionale (L’art. 7 recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale“). La Chiesa cattolica dovrebbe ricevere lo stesso trattamento riservato alle altre confessioni religiose, come previsto dall'articolo 8 della Costituzione (L'art. 8 dice:"Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze"). In tal modo si affronterebbe, alla radice, anche la questione dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole che ha dato vita a un pasticcio giuridico, in quanto sono i vescovi che reclutano gli insegnanti che poi verranno pagati dallo Stato. Non solo, ma in qualunque momento i vescovi possono ritirare il nulla osta all'insegnamento gettando di conseguenza per strada lo sfortunato o sfortunata. Berlusconi ha pensato bene di regalare ai docenti di religione l'immissione in ruolo, mentre migliaia di precari aspettano, e aspetteranno, alcuni vanamente, una stabilizzazione. Ad ogni modo, risulta chiaro che tutti questi pasticci discendono dai Patti Lateranensi e dal Concordato fra Stato e Chiesa. Una battaglia per la laicità dello Stato passerebbe, a mio modesto avviso, per l'abrogazione del Concordato. E' chiaro che come va rifiutato nettamente lo stato teocratico, in qualunque forma, così va respinto con energia l'ateismo di Stato che tanti guasti ha prodotto negli ex Paesi del socialismo realizzato. Pretendere di entrare a forza nella sfera personale degli individui è una sopraffazione inaccettabile. Ma quando si pretende di imporre a tutti una sorta di etica di parte, seppure di maggioranza, non si commette lo stesso tipo di peccato? Credo proprio di sì...

venerdì 20 novembre 2009

non gli resta che il lettone (di Putin)


Tutti ne parlano e ognuno dice la sua. I cedimenti sempre più evidenti nella struttura della maggioranza di governo fanno sospettare che un’era, quella di Berlusconi, stia per chiudersi e che un’altra, ancora tutta da definire e da costruire, possa nascere dalle sue rovine. Anche ieri sera, seguendo la puntata di Annozero, mi sono accorto del clima politico che aleggia oramai sulla pelata (rifatta) del Cavaliere. E non basta nemmeno un Quagliariello (scriviamolo bene, con la i che altrimenti si offende...), sbiadita copia conforme di un Ghedini o di un Lupi (per non parlare di un Belpietro), a far da argine alla tracimazione mediatica, in negativo, del Pifferaio di Arcore. Gli osservatori politici e non accentuano le loro riflessioni sugli effetti che le vicende giudiziarie del Cavaliere stanno comportando nelle schiere del centrodestra, con diversi personaggi che temono di farsi coinvolgere in una caduta che potrebbe essere devastante. Il presidente del Consiglio, che finora l'aveva scampata bella grazie ad assoluzioni, prescrizioni varie e leggi ad personam, sembra adesso immerso in una situazione di particolare difficoltà. Il day after del Lodo Alfano ha lasciato impietosamente il segno e come se non bastasse a Milano, da venerdì 27 novembre, riprenderà il processo contro di lui per corruzione per il caso Mills, l’avvocato inglese condannato in Italia per avere mentito in tribunale in due processi contro lo stesso premier (All Iberian e Guardia di Finanza) sulla costituzione di fondi neri della Fininvest all’estero. Brutte notizie arrivano da Palermo, anche se appena accennate, dove nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, il pentito che si è accusato della strage di Via D’Amelio ha suggerito che ci possano essere stati contatti tra i vertici di Cosa Nostra sia nel 1992 (l’anno delle stragi di Falcone e Borsellino) che nel 1993 (l’anno degli attentati a Milano, Firenze e Roma). Nel classico stile mafioso siciliano, il pentito dice e non dice, suggerisce scenari, riferisce i sentito dire e offre alla voracità di chi lo ascolta le sue ipotesi e le sue interpretazioni dei fatti. Il traguardo che molti, in diversi Palazzi, sognano è che si possa arrivare a coinvolgere il Cavaliere nelle stragi con l’ipotesi di una sua richiesta, fatta per interposta persona, ai vertici di Cosa Nostra (Riina e Provenzano) di eliminare quanti stavano indagando sull’origine delle sue fortune. Fantapolitica o fantagiudiziaria? Chi può dirlo. Certo già in passato un magistrato siciliano aveva chiesto il sequestro conservativo di tutti i beni del Cavaliere suggerendo proprio un’ipotesi di questo tipo, sulla quale diversi cronisti si sono esercitati scrivendoci sopra pure libri di grande diffusione. Un avviso di garanzia per un fatto del genere, cioè Via D’Amelio, non potrebbe passare come indolore ed avrebbe certamente riflessi a livello governativo e della maggioranza. Un conto è un’accusa di corruzione, un altro quella di strage. Del resto che qualcosa per Berlusconi si stia muovendo anche nel campo patrimoniale, è dimostrato non tanto dalla condanna in sede civile della Fininvest di risarcire la Cir di Carlo De Benedetti con 750 milioni di euro per aver comprato la sentenza sul Lodo Mondadori, ma anche da voci insistenti di presunte inchieste giudiziarie su risorse estere, ovviamente in paradisi fiscali, nella disponibilità dei due figli del Cavaliere che guidano Mediaset e Mondadori. Sarebbe in verità molto umoristico se la famiglia del premier dovesse finire indagata in virtù delle norme sullo scudo fiscale. Ma se ci si limita a queste vicende, peraltro note, non si capisce quale potrebbe essere la vera posta in gioco. Il succo del problema non sono infatti le ambizioni di Fini o il nuovo partito centrista-clericale-atlantico di Casini, Rutelli e Montezemolo (sostenuto dalle banche e dalle grandi aziende come la Fiat sempre a caccia di aiuti pubblici). I veri pericoli per Berlusconi vengono invece da fuori, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, i cui establishment finanziari non gli hanno mai perdonato di aver infranto i loro disegni egemonici sull’Italia che, con la sua discesa in campo nel 1994, sono andati a farsi benedire. E' quindi alquanto naturale e comprensibile che i malumori principali vengano dalle compagnie petrolifere made in Usa (Exxon-Mobil e Chevron-Texaco) e anglo-olandesi (BP e Shell), le quali non possono proprio accettare il suo rapporto preferenziale con Putin e con la Russia, oltre a quello dell'Eni con Gazprom nell’ottica di costruire un solido legame continentale ed euroasiatico nel solco tracciato qualche decennio addietro da Enrico Mattei. Certo, se proprio dovesse andare all'aria il rapporto economico-amichevole tra Putin e il Cavaliere, a quest'ultimo resterebbe sempre la soddisfazione (a Roma si dice "accontentate co' l'ajetto...") di usufruire del famoso lettone regalatogli dall'ex capo del KGB, l'unico comunista che sta simpatico al Pifferaio di Arcore.

domenica 15 novembre 2009

Berlusconi & il gioco delle tre carte


La sindrome da accerchiamento sta generando nel presidente del Consiglio una sorta di continua ricerca, alquanto spasmodica, della cruna dell'ago attraverso la quale evitare il doloroso epilogo della sua carriera politica e imprenditoriale. E per la bisogna il Pifferaio di Arcore si gioca le sue tre carte. E lo fa nella bisca istituzionalizzata (ovviamente da lui) che è il Parlamento. Tre carte, tutte di non facile attuazione. La prima: il lodo Ghedini, cioè quella porcheria del ddl Gasparri-Quagliariello-Bricolo sul processo breve presentato giovedì in Senato con il benestare della Lega, che ha ottenuto l'esclusione dei reati legati al mondo dell'immigrazione dalla possibilità di beneficiare della prescrizione a due anni per ogni grado di giudizio. Per garantirsi l'approvazione, il Cavaliere sta già pensando di porre la fiducia sul provvedimento contestato non solo dall'opposizione (Casini compreso), ma anche da pezzi di maggioranza, come i parlamentari vicini al presidente della Camera Fini. La seconda: la proposta di legge costituzionale sul ritorno all'immunità parlamentare, presentata dalla Boniver alla Camera e salutata con favore da un pezzo di opposizione, l'Udc di Casini. La terza e ultima carta: ripresentare in Parlamento il lodo Alfano ma in versione legge costituzionale, in modo da venire incontro ai rilievi mossi dalla Consulta nella sentenza di bocciatura. Il punto è che in quella sentenza ce n'erano altri di rilievi, per esempio il fatto che una legge sull'immunità per le alte cariche dello Stato stride con l'articolo 3 della Costituzione sull'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ma per il momento la cosa non emerge nelle riflessioni di chi sta valutando l'opportunità della terza carta. Il primo a sponsorizzarla è stato Casini, che in un'assemblea dell'Udc a Bari ce l'ha messa tutta per spiegare la sua nuova linea rispetto all'ex alleato Berlusconi. Dai toni duri di qualche mese fa, si è passati all'appello «ai partiti per una soluzione politica», alla ricerca della «terza via» da parte di maggioranza e opposizione «per evitare che il sistema giudiziario italiano si sfasci». Casini dice no al processo breve, ma ripesca il lodo Alfano, atteggiamento di "riavvicinamento condizionato" al premier che dice molto delle ragioni per cui ultimamente qualcuno (Tabacci) ha lasciato l'Udc per andarsene con l'Alleanza per l'Italia di Rutelli. Ad ogni modo, il "lodo Alfano bis" riscuote successo ai piani alti della maggioranza, insieme al beneplacet di un politologo vicino a Fini e alla sua fondazione FareFuturo come Alessandro Campi.
C'è molta carne al fuoco, mentre il premier resta silenzioso e sotto assedio a Palazzo Chigi dove si è trasferito da alcuni giorni dietro suggerimento dei servizi segreti (forse per via dell'allarme legato all'arresto di Mohamed Game, l'attentatore libico in azione a Milano che pare avesse collezionato informazioni su di lui e su Maroni e Bossi). Intanto a Milano da domani entra nel vivo il processo sui diritti tv Mediaset (e il Berlusca se l'è sfangata per legittimo impedimento, la Conferenza alla FAO) mentre il cammino parlamentare di tutte e tre le carte tirate fuori dal cilindro berlusconiano resta comunque in salita. La questione giustizia, con il fardello dei processi del premier, è anche la prima prova del fuoco per Bersani, neo segretario del PD. L'azzardo della maggioranza sul processo breve ha mandato gambe all'aria i propositi di confronto annunciati dal Partito Democratico tanto che il fautore delle liberalizzazioni potrebbe addirittura rivedere la strategia di non adesione al "No Berlusconi Day" convocato a Roma per il 5 dicembre da Idv, Prc e migliaia di associazioni e blogger in piazza Navona. E a scombinare il gioco delle tre carte di Berlusconi entra pure, dulcis in fundo, Roberto Saviano, che ha detto no all'offerta del centrosinistra di candidarsi governatore in Campania, ma è parte attiva nel dibattito con l'appello pubblicato su Repubblica e che ha già raccolto più di 80.000 firme (compresa la mia). «Signor presidente del Consiglio - scrive l'autore di Gomorra - io non rappresento altro che me stesso, la mia parola, il mio mestiere di scrittore. Sono un cittadino. Le chiedo: ritiri la legge sul processo breve e lo faccia in nome della salvaguardia del diritto. Il rischio è che il diritto in Italia possa distruggersi, diventando uno strumento solo per i potenti, a partire da lei». Più chiari di così...

giovedì 12 novembre 2009

L'orrenda metastasi


Prendo spunto, per l'incipit di questo mio intervento, da un commento del mio caro mentore Nomadus, il quale rispondendo a uno dei precedenti commenti dice giustamente che nonostante i nobili sforzi intellettuali che ci vedono riuniti per cercare di smuovere il pantano Italico, la situazione non solo non cambia, ma quel maledetto omuncolo sembra una orrenda e devastante metastasi, alla quale non c'è cura che tenga. Purtroppo, mi associo a questa inquietante affermazione. I fatti più recenti mostrano nel nostro-mostro una tenacità e una perseveranza nel suo disegno di disgregazione morale, economica e culturale del Paese che ha del grottesco. Ma più che lui, fa paura ormai la tremenda mediocrità in cui versa la società, le orribili storie che fuoriescono come bubboni malati (vedi Cucchi) senza che una vera reazione degna di un Paese civile accompagni dette nefandezze. Sembra che stiamo sprofondando nella passiva e mesta accettazione del male, come sottofondo inevitabile al nichilismo che ci asfissia. Ma siccome, citando il grandissimo Nomadus, non dobbiamo mollare e dobbiamo usare tutte le armi a nostra disposizione, mi sento ispirato per infliggere con la penna (metaforicamente, visto che di tastiera si tratta) l'ennesimo colpo a questa società, anche solo fosse per far presente che io, come tanti altri, non ci stiamo, sappiamo cosa sta succedendo e anche se continuerà a succedere NOI NON CI STIAMO. Mi riallaccio quindi a un paio di discussioni che ho intrattenuto su Facebook con dei miei amici, dopo aver postato un video del concerto dei Massive Attack, che in un concerto nel nostro Paese di pochi giorni fa hanno ritenuto doveroso mettere in risalto le nostre vergogne, lanciando messaggi sensibilizzatori sugli ultimi scandali o brutture (caso Cucchi, dieci domande, processo Mills, Lodo Alfano, ecc...) su un mega schermo mentre entrava il pezzo d'apertura. Ieri il mio coinquilino, che è professore di inglese, mi ha raccontato che i suoi alunni citano esplicitamente l'Italia come l'ultima ruota del carro d'Europa, ridacchiano sull'argomento quando esce fuori, definendoci un Paese alla frutta. Questo è quello che è l'immagine dell'Italia in Europa. Al che un mio amico mi scrive rispondendomi che secondo lui ci hanno azzerato il futuro, tolgliendoci la possibilità di reazione mettendoci nella condizione di cercare quasi solamente di sbarcare il lunario. Il che è vero, ma solo parzialmente, e personalmente penso che sia riconducibile alle politiche economiche di capitalismo aggressivo degli ultimi decenni, che hanno fatto sì che le nostre vite siano controllate il più possibile da questi schemi aberranti. Inoltre, queste stesse politiche ci hanno portato alla crisi attuale e mi sembra sempre più chiaro che faccia tutto parte di un disegno ben preciso: la perpetuazione di questo stato di cose beneficia le elites oligarchiche che muovono i grandi capitali, minando sempre più l'ex classe media che si ritrova ad un mero intento di sbarcare il lunario. Tutto ciò lascia ampi margini a chi decide l'economia di agire indisturbato, visto che la stragrande maggioranza delle persone che compongono la società non possono permettersi di reagire adeguatamente. Tuttavia, penso che c'è una grande massa di gente che tutte queste cose di cui stiamo dibattendo nemmeno gli passano per l'anticamera del cervello. Citando ora il commento di un'altra amica, ella parla del nostro tradizionale poco senso civico, "per cultura e per tradizione", e colpisce nel segno: certe anomalie sono sempre state presenti nella nostra identità come popolo, ma quello che sta succedendo ora è diverso. Non siamo mai stati a un livello così basso, come società. Non siamo mai arrivati a un punto talmente grave di mediocrità e di indifferenza per questa grave situazione. E tutto ciò non può essere imputato alla sola difficoltà che abbiamo in tanti a cercare di tirare avanti in questo pantano. Io parlo da disoccupato ormai quasi cronico dal Paese col tasso di disoccupazione più alto d'Europa, eppure continuo a percepire un diversissimo stato di cose rispetto alla patria. Qui c'è un dibattito accesissimo per vari casi di corruzione nelle fila del partito popolare, come altri nel PSOE, eppure c'è la sensazione che in qualche modo questa corruzione viene perseguita, la gente si scandalizza, non tutto è lecito, non tutto è ormai digerito come l'ennesimo atto di un melodramma che è diventato la sceneggiatura delle nostre vite. È qui il dramma. I parenti del mio amico in Francia gli chiedono "ma perchè?", gli alunni del mio coinquilino Billy, come tanti altri, ci ridono dietro, dovunque si vada fuori dall'Italia ormai, anche il più umile cittadino, se interpellato sulla società italiana ci chiederà cosa diamine stia succedendo lì da noi. Ma appena si rientra nello Stivale, si riapre questa tragica dicotomia: da una parte quelli rassegnati, quelli che non ce la fanno più a indignarsi perchè lo fanno tutti i giorni, insieme a quelli che sono rassegnati ma hanno problemi più impellenti per permettersi di indignarsi vieppiù, o quelli che continuano a indignarsi ma non sanno bene cosa accidenti fare per dare alla loro indignazione uno sbocco concreto. Dall’altra parte, quelli che ormai sono quasi completamente lobotomizzati dal tubo catodico e da anni di cura berlusconiana e non riescono nemmeno più ad avere un accenno di libero arbitrio che gli permetta di avere una propria opinione, quelli che invece sono ancora, e sempre di più fedelissimi del ducetto per scarsa capacità di analisi o per scarsa capacità intellettiva tout court, e infine quelli che anch’essi lo appoggiano fedelmente ma per altri motivi, per una condivisione ideologica del berlusconismo in cui vedono chiaramente la protezione dello stile di vita che hanno scelto, e che condividono pienamente col loro mentore: quello della deregulation economica, morale e intellettuale. Queste due Italie convivono ormai in un brodo primordiale dove la politica che dovrebbe regolare i ritmi della società civile è dominata essa stessa ormai da metodi apertamente totalitari (per quanto la Costituzione sia ancora un potente scoglio per l’attuazione del disegno del ducetto), plasmata al volere di questo ometto che ha raggiunto quote di potere a dir poco inquietanti. Le opposizioni, esplose in un big-bang cosmico che le frantuma a velocità spaziali, disperdendone la capacità di reazione esponenzialmente. Cosa che deprime mortalmente dato che conti alla mano, in realtà Berlusconi non ha questa maggioranza schiacciante, se gli togli la Lega e metti insieme anche solo PD e Di Pietro questo strapotere sparisce... Conclusione: per quanto stiamo vivendo in un mondo e in una società dove perseguire i nostri veri obiettivi come esseri umani diventa sempre più difficile, visto che chi muove i fili usa metodi sempre più efficaci per ridurci all’impotenza e allo sconforto, non bisogna mai smettere di pensare e di reagire, almeno internamente, intellettualmente, e con i mezzi che abbiamo, individualmente e collettivamente, perchè altrimenti l’affermare che questo è uno stato di cose irrevocabile è già di per sè un’ammissione di sconfitta. Per quanto riguarda in concreto il caso Italia, spero davvero che qualcosa cambi, e presto, visto che quello che c’è in gioco è molto di più dello sputtanamento che teme quel maledetto omuncolo.

presunto innocente o probabile colpevole?


La domanda sorge spontanea leggendo il voluminoso book (a cura del GIP Raffaele Piccirillo) dedicato all'onorevole sottosegretario di Stato all'Economia e alle Finanze, nonchè coordinatore del Popolo della Libertà per la Campania, Nicola Cosentino. Le 355 pagine, che compongono l'ordinanza cautelare nei confronti del politico accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (leggasi Camorra), danno un quadro niente affatto edificante circa la persona oltre che il politico che ha avuto i natali in quel di Casal di Principe, regno incontrastato dei Casalesi (la holding del crimine portata alla ribalta dal libro Gomorra di Roberto Saviano). Per chi ha tempo e voglia qui può sbizzarrirsi nella lettura e nell'approfondimento di fatti e circostanze (http://www.fileden.com/files/2009/9/7/2567672/ordinanza_arresto_nicola_cosentino.pdf). Come si legge nelle carte, dal presunto sodalizio instaurato tra Cosentino e gli uomini del clan dei Casalesi, il sottosegretario "riceveva puntuale sostegno elettorale in occasione delle elezioni a cui partecipava quale candidato, diventando consigliere provinciale di Caserta nel 1990, consigliere regionale della Campania nel 1995, deputato per la lista Forza Italia nel 1996 e, quindi, assumendo gli incarichi politici prima di vice coordinatore e poi di coordinatore del partito di Forza Italia in Campania, anche dopo aver terminato il mandato parlamentare del 2001". Cosentino avrebbe quindi "garantito il permanere dei rapporti tra imprenditoria mafiosa, amministrazioni pubbliche e comunali" consentendo, di conseguenza, "indebite pressioni nei confronti di enti prefettizi e lo stabile reimpiego dei proventi illeciti, sfruttando delle attività di impresa per scopi elettorali, anche mediante l'assunzione di personale e per diverse utilità". Senza addentrarmi oltre nello specifico dell'ordinanza, preso atto che c'è voluto l'intervento di Gianfranco Fini per far desistere Cosentino dalla volontà di candidarsi alle prossime regionali in qualità di Governatore della Campania, accertato che l'indagato ricopre tuttora l'incarico di sottosegretario mi chiedo: che altro ci vuole per far sì che un uomo ritrovi un pò di perduta dignità e si proponga ai suoi elettori facendo l'unico atto moralmente giusto in questo momento, vale a dire rassegnando le proprie dimissioni? A guardare indietro di poche settimane è bastato un trans (nemmeno troppo avvenente) per far dimettere Marrazzo; andando a ritroso di parecchi mesi è stato sufficiente un'inchiesta contro la moglie per far dimettere un Guardasigilli in carica (Mastella), con il rovinoso risultato di far cadere il governo Prodi. Possibile che nessuno vicino a Cosentino avverta la più che legittima necessità di invogliarlo nel perseguire la strada tanto autorevolmente precorsa da suoi simili del mondo politico? E' proprio così difficile rinunciare al privilegio del potere? A quanto pare sì! A questo punto non resta che attendere la decisione della Giunta per le autorizzazioni a procedere che, va ricordato, nella sua storia ha concesso il via libera all'arresto solo in 4 casi (sulle 64 volte che l'Autorità Giudiziaria l'aveva richiesta). Lo credo bene, allora, che la paladina del ripristino del privilegio dei privilegi (santa Margherita Boniver devota di san Bettino) stia facendo di tutto affinchè si ritorni al come eravamo della Prima Repubblica...

mercoledì 11 novembre 2009

salviamo la democrazia e mandiamo il Cavaliere a casa


Non credo sia necessario ripercorrere a ritroso il filo d'Arianna srotolato dall'attuale presidente del Consiglio in merito all'inutilità del Parlamento e delle sue prerogative (con l'indegna proposta di delegare i capigruppo per le operazioni di voto), per non parlare delle molteplici e reiterate occasioni di neutralizzare il sistema giudiziario per evitare la galera. Tutte schegge di politica impazzita alle quali nessuno della maggioranza ha mai cercato di opporsi, con l'unica eccezione di Fini che, come presidente della Camera, non poteva apporre il proprio marchio a questa intenzione di manifesta impronta eversiva. Poco dopo, toccò ancora alla terza carica dello Stato disporre la chiusura del Parlamento per ben nove giorni, in ragione della mancanza di materia su cui discutere e votare (considerato il carattere oramai ordinario della decretazione d'urgenza), oltre che a causa dell'impossibilità tecnica di varare provvedimenti privi di copertura finanziaria. Insomma, una vera e propria sospensione del lavoro parlamentare e il ricorso ad una sorta di cassa integrazione per i rappresentanti del popolo, con la variante che la messa in libertà di deputati e senatori non comporta decurtazione alcuna dei loro non proprio modesti emolumenti. Ora il quotidiano inviso al Cavaliere, la Repubblica, ci rivela che fra il 1° maggio e il 31 ottobre di quest'anno i senatori hanno lavorato, al netto delle ferie, per circa 9 ore la settimana, e i deputati per 18. In questo periodo, le leggi approvate sono state 47, delle quali 36 preconfezionate dal Consiglio dei ministri, mentre per ben 25 volte, negli ultimi diciotto mesi, il governo ha posto la fiducia malgrado la straripante maggioranza di cui dispone in entrambi i rami del Parlamento. La qual cosa è la più lampante dimostrazione che neppure la trasformazione della maggioranza in un'accolita di solerti signorsì è ritenuta dal presidente del Consiglio una garanzia sufficiente e che il più piccolo scarto, la più elementare ed innocua dialettica politica è considerata un attentato al regime autocratico che egli personalmente incarna. Del resto non è stato Fedele Confalonieri, in una illuminante intervista a La Stampa di qualche giorno fa, ha rivelarci candidamente che Berlusconi considera la democrazia, in quanto tale, un impaccio, una perdita di tempo, quando non un vero e proprio ostacolo alla sua politica del fare? Detto ciò, per tornare all'origine del ragionamento, credo che Berlusconi quantifichi la riduzione del potere legislativo ad orpello formale e il Parlamento ad una sorta di dépendance dell'esecutivo finalizzando il tutto ad un effettivo processo di smantellamento della Costituzione. Che sta conoscendo una formidabile accelerazione, se è vero che la magistratura (vale a dire il potere giudiziario) è diventata bersaglio del medesimo assalto frontale. Della libertà di stampa oramai asservita al Pifferaio di Arcore (o nella migliore delle ipotesi annichilita dentro un rigido bipolarismo mediatico) credo di aver ampiamente parlato. La domanda che allora mi viene spontanea è se un quadro di regole formali, caratterizzato dall'opportunità offerta ai cittadini di eleggere in blocco (una volta ogni cinque anni) un monarca dotato di potere assoluto e la sua corte, possa essere considerata una democrazia. Oppure se la paventata fuoriuscita dall'architrave costituzionale rappresentata dalla Carta, sia ormai un fatto compiuto che attende soltanto una sanzione formale. Berlusconi sta perseguendo questo obiettivo (con l'ausilio dell'avvocato Mavalà Ghedini) attraverso progressive rotture, essendosi potuto avvalere, sino ad oggi, di un contrasto dell'opposizione parlamentare talmente tenue e ondivago da risultare inoffensivo.
Se l'elezione di Bersani alla guida del PD segna un'effettiva discontinuità, la si misurerà proprio su questo punto essenziale: costruire con tutta l'opposizione parlamentare e con la sinistra politica e sociale nelle sue plurali articolazioni, un patto per il ripristino della democrazia costituzionale. E magari, con la prossima manifestazione del 5 dicembre a Roma, ci potrebbe essere un primo genuino e veritiero segnale di mobilitazione contro l'attacco del Caimano alla libertà individuale e di massa, generando quella necrosi del sistema giudiziario soltanto per salvarsi le chiappe dall'inevitabile condanna per le sue malefatte passate e presenti (e pure future). A tutto questo dobbiamo dire tutti insieme un gigantesco e irremovibile NO! Sarebbe della massima importanza se quanto vi è di vitale e di non rassegnato nella società italiana si unisse a questa mobilitazione e costituisse l'abbrivio di una nuova e più promettente fase della politica italiana.

giovedì 5 novembre 2009

il muro di gomma del segreto di Stato


Questa volta si può proprio dire che Berlusconi ha battuto Prodi per 2 a 1. Sto parlando del risultato finale della partita giocata sul vergognoso uso indiscriminato del segreto di Stato sull'affare Abu Omar, l'Imam di Milano rapito il 17 febbraio 2003 da una decina di uomini della CIA con l'ausilio di un carabiniere e di altri uomini al servizio del SISMI. Ma per la giustizia (si fa per dire) italiana i due principali responsabili del Servizio di Sicurezza Militare Italiano, vale a dire Nicolò Pollari e Marco Mancini, non sono perseguibili in virtù del famigerato segreto di Stato apposto dal governo Berlusconi (in carica nel 2003 all'epoca del rapimento), dal governo Prodi (nel 2006) e ancora dall'attuale governo del Pifferaio di Arcore. Ancora un muro di gomma, quindi, che va a smorzare fragorosamente la legittima sete di verità e di giustizia degli italiani, ancora una volta frustrati nel loro senso civico e libero. Per la cronaca, il Pubblico Ministero Armando Spataro aveva chiesto per Pollari e Mancini rispettivamente 13 e 10 anni di reclusione, ma si sa, in questi casi non c'è nemmeno bisogno di un pur minimo "Lodo" salva-Sismi: basta il segreto di Stato. Basta e avanza. E curiosamente questa volta la stampa prona e appecoronata di fronte a Berlusconi non dice nulla o quasi, con la solita eccezione dei giornali comunisti, come li chiama il Pifferaio. Quando conviene è d'uopo non far troppo rumore e magari concentrarsi con i titoloni sul solito Fini e sui soldi di Marrazzo. Così l'attenzione viene dirottata, come quell'aereo non tanto segreto che portò Abu Omar dalla base di Aviano in Egitto per un simpatico soggiorno gratuito a base di scariche elettriche e nefandezze similari. Durante questo processo farsa milanese il generale Pollari ha avuto anche la faccia tosta di dichiarare che il segreto di Stato non copriva le sue responsabilità ma, addirittura, la sua innocenza e che nello specifico lui non aveva mai impartito ordini o direttive che autorizzassero il sequestro dell'Imam. Parole oscene che danno il contorno della sua menzogna avallata dalle istituzioni italiane ai più alti livelli: praticamente, in buona sostanza, Pollari ne era al corrente (del sequestro) ma a causa del fatto che l'Italia è alleata degli Stati Uniti (più che alleati oserei dire sudditi) lui non ha potuto fare nulla per impedire il fattaccio. In pratica, secondo la teoria alquanto bislacca del generale, quando succedono queste cose bisogna abbozzare e guardare dall'altra parte. Del resto, mi permetto di osservare, ci sono state in passato tante vicende sanguinose ed eclatanti che hanno visto il nostro Paese come scenario impotente e accomodante e nessuno ha mai potuto fare nulla di concreto per scoprire (o almeno cercare di farlo) i colpevoli e i responsabili dei fatti avvenuti, proprio perchè la verità era quasi sempre imbarazzante da coprire con il velo pietoso del segreto di Stato. Siamo e siamo sempre stati un Paese a sovranità limitata, scelto (non a caso) per la dislocazione come naturale teatro degli scontri e degli incontri tra Paesi della NATO e Paesi dell'Est, tra servizi segreti israeliani e arabo-palestinesi; il tutto senza che i nostri governi potessero mai alzare la voce per far valere la propria sovranità o per difendere un minimo di dignità nazionale. E mi sarebbe sembrato molto strano che lo avesse potuto fare, con un legittimo intervento, un tipo come Berlusconi. Per non parlare di Angelino Alfano...