l'Antipatico

mercoledì 30 settembre 2009

3 ottobre, una manifestazione necessaria


Non c'è bisogno di sottolineare ulteriormente la data del prossimo 3 ottobre per evidenziare una naturale esigenza di partecipazione alla manifestazione indetta dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, per l'attacco alla libertà di stampa e di opinione in atto nel nostro Paese. Zittito il Parlamento, ammorbiditasi la posizione della Chiesa, tenuto a bada il sindacato, l'opposizione effettiva a Berlusconi è rimasta nelle mani della Banca d'Italia, della Presidenza della Repubblica e della Camera, nonché di alcune frazioni del mondo dell'informazione. Non potendo scontrarsi frontalmente con la peraltro discontinua opposizione istituzionale, a Berlusconi non resta che scatenarsi contro quella mediatica ed in particolare contro quei giornali e quelle trasmissioni televisive che sono oggi, purtroppo, il vero centro di elaborazione e di battaglia politica in sostituzione di partiti ormai estenuati o comunque incapaci di un autonomo rapporto con le masse. Lo scopo del Pifferaio di Arcore è duplice: alzare una barriera a difesa di un dominio personale traballante (ma lui ha più di sette vite, e finora ne ha usate solo due o tre…), anche in previsione di future iniziative giudiziarie vertenti sulle origini poco chiare della sua ricchezza (soprattutto se la Consulta boccerà il famigerato lodo Alfano) e contemporaneamente colpire la punta avanzata dello schieramento avverso, situata proprio in quel settore informativo che è peraltro il nucleo duro del consenso del centro-destra. Tutto ciò rende la partecipazione alla manifestazione del 3 ottobre, a un tempo, necessaria e problematica: necessaria per motivi fin troppo ovvi; problematica perché non si tratta semplicemente della difesa della democrazia, ma di una difesa che ha come scopo ultimo, per una parte dei promotori della manifestazione, la defenestrazione di Berlusconi che un pò tutti ci auspichiamo. Bisogna dunque partecipare alla manifestazione vedendola come un momento di un processo più ampio, che non porti semplicemente a modalità soft di gestione della crisi, ma liberi forze ed idee che possano, anche ottenendo effettivi spazi d'informazione, contribuire ad un vero mutamento di prospettiva. In particolare la manifestazione deve coinvolgere nella maniera più ampia possibile proprio quelle forze sociali (studenti e insegnanti, operai) che in questi mesi hanno iniziato a pensare ad una diversa risposta alla crisi. Sono queste forze a doversi appropriare pienamente della bandiera della libertà d'informazione, chiedendo anche a molti dei promotori della manifestazione di dire la verità sulle cause, sui costi e sulle soluzioni della crisi, e trasformando il 3 ottobre nel propulsore di altre e più generali iniziative con lo scopo di connettere la difesa della democrazia al conflitto sociale. Perché senza conflitto sociale l'eventuale siluramento di Berlusconi non farebbe altro che dare pieni poteri, nella gestione della crisi, alla Banca d'Italia, a Confindustria e a quel sistema bancario privato che è diventato il vero padrone del Paese, ed impedisce anche solo di pensare ad una seria politica economica. Qui sta infatti il punto in cui si annodano la questione democratica e la questione sociale nel nostro Paese: nella capacità di valorizzare quell'antiberlusconismo popolare in cui spesso si riversano aspettative ben più generali degli stessi elettori operai della sinistra (disabituati ormai a mobilitarsi per programmi economici alternativi), e nella contemporanea capacità di iniziare a corrodere quel berlusconismo popolare che, soprattutto al Sud, è meno radicato e stabile di quanto si creda, ma non viene affatto intaccato da iniziative puramente democratiche, soprattutto quando queste sono volutamente messe al servizio di semplici riaggiustamenti interni all'establishment politico di un partito che, come diceva giustamente Antonio Padellaro ieri nel suo editoriale (http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=177596), sembra sempre di più un partito senza.

martedì 29 settembre 2009

l'insostenibile leggerezza della crisi


Se uno dovesse dare retta alle parole del presidente del Consiglio saremmo tutti usciti da un bel pezzo dalla crisi economica. Lui dice che a partire da Obama, e proseguendo con i più grandi organismi economici internazionali, tutti si dicono ottimisti sul decorso positivo della crisi globale che poco più di un anno fa ha messo in ginocchio l'economia planetaria. Ancora oggi il miracoloso Silvio, mentre consegnava le nuovissime case ai terremotati (oramai ex) abruzzesi, si riempiva la bocca con dichiarazioni di infervorato ottimismo che quasi viene voglia di credergli (http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/berlusconi-varie-2/premier-29set/premier-29set.html). Poi uno guarda al proprio portafoglio, dà un'occhiata all'estratto conto e si ricrede. La crisi non è affatto finita, anzi. Chiedetelo all’INPS. La relazione del presidente e commissario straordinario dell’Istituto di previdenza, Antonio Mastrapasqua, diffusa ieri, è roba da far accapponare la pelle. Tra l’inizio di agosto 2008 e la fine di luglio 2009, le domande di disoccupazione liquidate dall’INPS sono state quasi un milione (per la precisione 984.286), con un incremento del 52,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Un evidente effetto diretto della crisi economica mondiale, ma c’è dell’altro. Le ore autorizzate di cassa integrazione dal primo settembre 2008 al 31 agosto 2009 hanno superato quota 615,5 milioni (sempre per la precisione 615.554.896) realizzando un aumento complessivo del 222,3%, rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente. Come si può ben arguire, i dati relativi a disoccupazione e cassa integrazione evidenziano un fenomeno sotto gli occhi di tutti: tante aziende in crisi e molte che hanno chiuso le porte e non le riapriranno più, almeno in Italia, perché qualche furbetto ha approfittato della situazione per chiudere gli impianti in casa nostra e riaprirli dove costo del lavoro e minor tutela sindacale dei lavoratori garantiscono maggiori profitti. Minor ricchezza complessiva ha poi significato minori consumi, con la relativa perdita di circa diecimila esercizi commerciali nei primi sei mesi del 2009, a totale danno della piccola distribuzione, spina dorsale di ogni economia sana. A questo punto è evidente che la crisi non è dietro le spalle (come dice il Pifferaio di Arcore), anzi forse il peggio deve ancora arrivare, ma è ancora più evidente che la cura finora utilizzata è errata. Lo Stato deve riprendere il controllo delle grandi aziende strategiche e realizzare nuove grandi opere riavviando così l’economia ed assorbendo nuova forza lavoro. Lo Stato deve poi mettere pesantemente mano al sistema bancario, vero cancro del sistema economico attuale, e non a chiacchiere come è solito fare il commercialista di fiducia del Pifferaio, vale a dire Tremonti. Bisogna vietare qualsiasi commistione tra banche e sistema industriale, che deve accedere solo ad un sistema creditizio controllato dallo Stato; bisogna poi obbligare le banche ad aprire il piccolo credito verso le piccole e piccolissime aziende, anche quelle artigiane, facendo così ripartire in avanti tutto il sistema dal basso. Non servono comunque gli esperti per comprendere che la crisi sta ancora manifestando tutti i suoi effetti negativi: qualsiasi italiano che frequenta mercati e supermercati sta notando come da qualche tempo c’è qualcosa di diverso tra gli scaffali. Tanta gente si sta rivolgendo verso prodotti di basso costo, magari non di marca e questo spiega pure il perché di una controtendenza positiva dei discount, non solo nei quartieri popolari, ma anche negli storici quartieri borghesi delle grandi città. E se nella società dell’immagine e dell’apparire la gente si rivolge a prodotti anonimi vuol dire che la crisi è prorio vera. Anche se san Silvio dice il contrario. Ma questa non è una grande novità.

sabato 26 settembre 2009

l'educazione ai tempi delle veline e delle gieffine


Normalmente non leggo Panorama (lo facevo durante la direzione del compianto Claudio Rinaldi alla fine degli anni 80) ma questo volta debbo riconoscere che l'inchiesta di copertina dell'ultimo numero mi ha fatto ricredere. Il giornalista Alessandro Calderoni ha tratteggiato, attraverso la storia della baby prostituta Caterina, uno spaccato di vita reale e di comunicazione della sessualità ai tempi dell'epopea delle veline e delle gieffine. Calderoni non è certo nuovo a questi trattati a base di sesso, avendo già pubblicato interviste a cam-girls e avendo dato alle stampe un saggio dall'esplicativo titolo di il mestiere più antico del mondo (http://bur.rcslibri.corriere.it/bur/autore/calderoni_alessandro.html). E' quindi un esperto in materia e ci dobbiamo fidare di quello che scrive e racconta. Da parte mia vorrei, però, prendere solo lo spunto da questa inchiesta per ampliare il discorso e focalizzarlo sulla reale progenia dell'attuale situazione in cui vivono i ragazzi della nuova generazione, tutta dedita a sesso, sballo e poco rock'n'roll. Credo che tutto dipenda dal valore dato al termine educazione nel terzo millennio. L’educazione è uno dei debiti fondamentali che una società ha nei confronti delle nuove generazioni: un debito di speranza, e non solo. Eppure oggi il termine educare è associato quasi sempre a parole che sembrano la negazione della speranza: crisi, emergenza, fallimento, dimissione. Si sente affermare con rammarico che i giovani e i ragazzi non sono più quelli di una volta. Ovvio, i giovani e i ragazzi di oggi sono figli del loro tempo, e hanno caratteristiche e comportamenti che riflettono la società e la cultura in cui crescono e vivono. Ma non sono loro ad aver dato forma a questa società, con la quale caso mai hanno imparato a interagire. Credo che per capire l’attuale crisi dell’educazione occorra guardare alla generazione adulta, spesso specchiata nelle immaturità e nelle inquietudini dei più giovani. Le attuali difficoltà in cui versa la pratica educativa dicono come sia in crisi, nella generazione adulta, un progetto di vita che mostri il senso secondo cui essa vive e al tempo stesso comunichi se vi sono ragioni di vita convincenti. Gli adulti educatori sembrano oggi non essere in grado di mostrare il valore e la bellezza dell’esistenza, in tutti i suoi aspetti; di proporre le ragioni per cui vale la pena avere fiducia in essa o di far intravedere la sapienza che si trasforma in stili di vita coerenti. D’altra parte non si può non considerare la condizione di fatica degli adulti. L’attuale organizzazione della società, del lavoro, della famiglia, della scuola è così complessa da far sentire stanchi: stanchi di una vita di corsa, del vuoto che si sente dentro e che fa sentire aridi. A volte si rinuncia ad educare per mancanza di energia nel reggere l’impegno che questo comporta. Ma si rinuncia alla fatica di educare anche perché si sono escluse dalla vita alcune dimensioni inalienabili: il limite, il sacrificio, la rinuncia: parole bandite dal vocabolario di una generazione addomesticata dal consumismo e dalle sue illusioni. Segnali che rivelano come sia in crisi, ancor prima dell’educazione, la dimensione generativa della vita adulta, sempre più in difficoltà a esprimersi nel dono di sé. Tuttavia questa crisi può essere anche una grande opportunità: essa ci sta costringendo a riconsiderare il valore e la responsabilità dell’educazione come imprescindibile azione umana e ci sta aiutando a riscoprirne il senso. Per mettere a frutto questa situazione di passaggio, mi pare che servano soprattutto tre orientamenti: il rifiuto del catastrofismo che lascia inerti, per assumere un atteggiamento di responsabilità; una nuova disponibilità a pensare l’educazione, per reinterpretarla nei caratteri nuovi che essa deve assumere nell’attuale contesto e infine l’impegno a costruire alleanze per affrontare un compito cui nessuno può ritenere oggi di far fronte da solo. A mio parere si comincerà a uscire dalla crisi attuale quando gli adulti ritroveranno parole per narrare la bellezza di educare e non solo le sue fatiche; quando di essa si riscoprirà la passione; quando soprattutto nella comunità si avrà il coraggio di tornare a parlare di vocazioni educative. Allora significherà che avremo accettato di lasciarci mettere in gioco dalle nuove generazioni, anche per pensare e generare insieme con loro un nuovo stile di vita. Uno stile che non strizzi l'occhio alle tette (più o meno rifatte) come quelle nella foto che accompagnano questo mio post.

giovedì 24 settembre 2009

la solita politica dello struzzo


Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. I vecchi adagi raramente sbagliano. Quella a cui sto assistendo, grazie alle reiterate dichiarazioni infarcite di ottimismo e di fiducia rilasciate dalla premiata ditta Berlusconi & Tremonti, è senza dubbio una fase politica e sociale che (se non ci fosse veramente da piangere e da preoccuparsi) rasenta la tipica situazione in cui lo struzzo infila la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà. In un connubio di fiction e verità, in una miscela di prese in giro e provvedimenti ridicoli, il governo del Pifferaio di Arcore continua a far finta che tutto va bene, tutto si aggiusta, nessuno sarà lasciato solo, la crisi sarà superata. Nel suo discorso di ieri alle Nazioni Unite il premier ha fatto la figura del direttore d'orchestra che imperterrito fa suonare la sua orchestra mentre la nave cola a picco. In questo Titanic del nuovo millennio l'importante è continuare a far credere che quello che è stato detto a L'Aquila durante il G8 di luglio sarà sicuramente messo in atto, tutti i buoni propositi saranno realizzati. Come se non bastasse il premier continua ad attaccare chiunque si schieri contro di lui, anche quando si afferma la realtà dei fatti e cioè che la crisi continua, la disoccupazione cresce a ritmo impressionante, non ci sono soldi, c'è il calo pauroso degli acquisti. Ma lui dice che "...l'opposizione è antitaliana: fa il tifo per la crisi economica". In realtà chi è antitaliano e non fa nulla per combattere la crisi è proprio il suo governo. E le ultime cifre fornite dall'Istat lo confermano: nel secondo trimestre, in Italia, sono stati distrutti 378 mila posti di lavoro su base annua, il 70% nel Mezzogiorno. Ma al Sud non c'è corrispondenza tra persone licenziate e chi è in cerca di occupazione: solo il 10% dei licenziati si è aggiunto al numero dei disoccupati, il 45% del totale dell'Italia. È un brutto segnale. Aumenta la popolazione inattiva, di chi non cerca un lavoro perché sa di non poterlo trovare; di chi si rifugia nell'unica possibilità offerta dal mercato. Cioè il lavoro nero. E poi c'è da tener presente che tra chi lavora sono compresi i cassintegrati. Nel secondo trimestre, in questa condizione c'era l'equivalente di 341 mila lavoratori a tempo pieno. Quanti di loro nei prossimi mesi saranno reintegrati? A stare alle notizie di questi giorni ben pochi. E come la classica ciliegina sulla torta mi vien da dire che la Finanziaria presentata da Tremonti fa proprio schifo. E' contro l'Italia che lavora. Di più: viste le generosissime modifiche alla legge sullo scudo fiscale (i riciclatori, i falsificatori di bilancio, insomma la peggior specie dell'italiano furbo saranno ammessi a godere dello scudo) non ci resta che fare il tifo per i manigoldi e i farabutti (questi sì che li dobbiamo chiamare così) affinchè riportino a casa i loro soldi illecitamente esportati visto e considerato che Tremonti ha promesso che tutti i soldi che arriveranno dal nuovo condono saranno utilizzati per il lavoro. In queste ultime settimane abbiamo letto abbondantemente le notizie di fabbriche in lotta per la sopravvivenza, di lavoratori sui tetti per evitare licenziamenti di massa. Berlusconi ordina di non parlare più di gossip, ma almeno parliamo della crisi e della vita di milioni di persone. Ma la cosa, oltre che a Berlusconi, sembra interessare poco o niente anche ai media tradizionali. La crisi morde ferocemente e non è un'invenzione della sinistra. La disoccupazione aumenterà: lo ammette anche Obama. Invece, con Berlusconi e Tremonti, prima la crisi non esisteva e oggi si parla già della ripresa. Che purtroppo taglierà fuori il lavoro e la possibilità di una ripresa dei consumi. Ovviamente solo quelli dei ceti meno abbienti. Per i quali questo governo nulla ha fatto, a parte un po' di elemosina. E se Tremonti, anziché fare il gioco delle tre carte con i fondi FAS, li avesse impiegati per dare lavoro al Sud, oggi ci sarebbero meno disoccupati e meno malessere sociale. E anche meno struzzi con la testa infilata sotto la sabbia.

lunedì 21 settembre 2009

SPEZZIAMO IL CAMMINO VERSO IL NUOVO FEUDALESIMO


Attraverso interessanti letture di questi giorni, mi si è svelata una realtà (o meglio una interpretazione della odierna realtà sociopolitica, nazionale e non) che sembra calzare a pennello ai fatti e agli sviluppi a cui stiamo assistendo, sempre piu' allibiti. Ovviamente mi riferisco alla parte di popolazione (minoranza?), che al di là di schemi e fazioni ha ancora la capacità critica di discernere la normale dialettica politica, ormai perduta, dalla pletora di agghiaccianti fatti e anomalie, dalle pesanti distorsioni della democrazia che si avverano quotidianamente nel nostro devastato Paese, ma non solamente. A questo punto mi rifaccio a una sagace frase di G.Bocca, che chiude uno degli articoli "illuminanti" a cui mi riferivo: È l'illusione capitalistica di risolvere i problemi del mondo con il liberismo economico, cioè con l'avidità invece che con la razionalità. Questo incipit da solo può dare validi argomenti a chi cerca di capire come possiamo essere giunti a una situazione così drammatica sul piano sociale, perchè la precarietà ci stia stritolando, le motivazioni profonde della crisi economica, solo per citare alcuni degli aspetti piu' critici del nostro presente. Ma è quindi questo inqualificabile insieme di elementi che sembra rispondere a un disegno preciso, a una regia sotterranea che, quando non è perseguita con chiaro intento, quantomento si rifà ad una idea condivisa. Si potrebbe definire un ritorno, in chiave moderna, ad un regime feudale, dove il Signore, il Principe, Il Sultano di turno (nel nostro caso quindi il Pifferaio), si avvalga deliberatamente della mistificazione della realtà, di questo perenne agitare le acque per confondere, intorpidire le menti dei novelli sudditi per ottenere esattamente quello che necessita: una società bolsa, atrofizzata nel pensiero, abituata allo scandalo, alla negazione della realtà per mezzo di grottesche maschere che lui stesso applica e legittima attraverso la medesima rappresentazione della sua realtà personale. È inutile dire che i vantaggi, per un Sultano di turno, di avere una maggioranza di massa adorante e allineata ai suoi desideri sono innumerevoli. Egli stesso infatti, circondato da una corte di nani e ballerine altrettanto adoranti e sottomessi (mi balena a questo punto l’immagine di Brunetta, quantomai macchietta, il povero nanetto livoroso e frustrato che non ha freni nell’azionare le leve del potere ora che ne ha l’accesso, per rivalersi di chi sempre lo ha canzonato e deriso, come nella canzone di De Andrè), può finalmente perseguire i suoi fini ultimi; l’estensione del potere, la riforma delle regole costituzionali, per dare gas alla avidità liberistica e ottenere benefici economici e potere quasi assoluti. È altresì interessante notare che, accanto a queste manovre ormai abbastanza chiare, a una mente libera, viene sempre accostato un ossimoro: il Popolo delle Libertà. La parola libertà, usurpata del proprio significato, viene riproposta proprio dove essa perde il suo vero senso, quindi riveduta e corretta, in modo che il nuovo sudddito, scemito e rincitrullito, ne faccia suo il nuovo significato. La “nuova” libertà è quella che ti dà il Sultano, conforme ai suoi desideri e quindi valida solo fino a un certo punto, i suoi limiti e le sue definizioni sono state opportunamente ridefinite per il tuo bene, o caro suddito. Fanne buon uso. La libertà, quindi, nobile e primario concetto, non a caso è stata scelta come bandiera idelogica per indicare questo infame teatro. Perchè è davvero chiaro che dalla caduta dei regimi totalitari, non abbiamo mai assistito a una tale diminuzione delle libertà personali come in questi ultimi anni, e non è certo un caso. Ora, questo disegno a cui mi riferisco, credo sia ormai chiaro a molti, e sebbene sia opportuno non lasciarsi andare a paranoie sfrenate e dilaganti teorie complottistiche, bisogna avere chiaro che è in atto una precisa scelta di campo, dei potenti a ogni livello essi siano, quindi governanti, lobby economiche e finanziarie, per incrementare e perpetuare il dominio che sempre hanno avuto. Le politiche aberranti e le conseguenti limitazioni delle libertà, i sempre piu’ stringenti controlli a cui veniamo sottoposti da ogni parte, la precarietà laborale, la crisi economica, le continue guerre, il fomento del razzismo, la propulsione televisiva di intrattenimento stupido e la manipolazione dell’informazione, solo per citare alcuni aspetti del gioco, sono tutti riferibili a un unico schema, il cui fine è sempre lo stesso: maggiori profitti, maggiore potere. Avidità e brama di potere. Con totale disprezzo e disinteresse per il bene comune e per il progresso della popolazione. Questo schema ovviamente non è solo riferito alla nostra realtà casalinga, tutt’altro. È una realtà a livello globale, e anzi la cosiddetta globalizzazione non è altro che l’estensione di questi aberranti principi a una sempre piu’ vasta area. Chiaramente gli USA sono pionieri in questo campo, e le ultime amministrazioni repubblicane hanno spinto clamorosamente in questo senso, ma la nostra penisola non è stata a guardare. Berlusconi, trovandosi nella condizione di poter estendere la sua influenza e il suo controllo sulla società, ed essendo perfettamente in sintonia ideologica con l’alleato oltreoceano (di cui sempre è stato un servo adorante e leccante) ha dato un chiaro impulso americanizzante e liberticida alla società, nell’ultima legislazione e in quella presente, grazie anche all'inutilità di chi avrebbe potuto e dovuto contrarrestarlo. La novità, per quanto ci riguarda, sta nel fatto che –forse- questo giochetto gli sta sfuggendo dalle mani. Riallacciandomi al precedente post di Nomadus, è certo vero che da piu’ voci sembra concretarsi l’idea del viale del tramonto. I “poteri occulti”, le “toghe rosse”, o per meglio dirla chi –nei vari livelli della società- non si è ancora allineato alla sua corte, ha portato vari e duri attacchi all’impianto del suo potere personale, scalfendolo visibilmente. Per quanto egli cerchi inevitabilmente di mascherare questi intenti come volgari ed invidiosi nemici della libertà, il gioco dura da troppo tempo e si è sfaldato, il Sultano si è spinto troppo in là e non riesce piu’ a tenere insieme tutti i pezzi, per cui si intravedono chiaramente i segni della inesorabile disfatta. Uno dei punti piu’ interessanti è di certo quello che ha a che fare con la nascita di un pensiero alternativo, vedi Fini (e guarda cosa tocca dire), anche se purtroppo manca e brilla per la sua assenza la definizione dell’area riformista del Pd, che sappia portare quella risposta alternativa, che sappia parlare all’altra Italia, alla gente stanca e sconfitta dallo strapotere Berluscoide, che aspetta e desidera che la sua voce sia ascoltata e discussa. Perchè è davvero lì che si giocherà la partita decisiva, una vera svolta in chiave democratica, l’uscita dal sonno della ragione in cui ci hanno traghettato in questi ultimi anni, potrà avvenire davvero solo dal basso. È assurdo pensare che siano i politici a farlo, dato che non ne hanno un vero interesse, qualsiasi essi siano. Quello che essi possono apportare è perlomeno un terreno fertile perchè le coscienze si risveglino, e si inizi a cambiare strada. Con nuove politiche migratorie, la riforma del lavoro attraverso la sconfitta della precarietà, l’impulso delle energie rinnovabili a scapito dei combustibili fossili e la distruzione dell’ambiente, l’allontanamento dal pensiero teocratico impregnato di politica, una nuova coscienza collettiva moderna e al passo coi tempi. Sono temi grandi, e che suonano strani all’orecchio del suddito medio attuale. Ma se qualcosa deve cambiare davvero, e se davvero la fine del Sultano verrà (anche se tempi e modi sono abbastanza difficili da delineare), la mancanza di un nuovo umanesimo che parte dal basso porterà alla fine a un nuovo perpetuarsi dei gruppi di potere di sempre. Sta solamente a noi comprendere dove siamo finiti, e qual è la strada che Berlusconi e i suoi simili hanno preparato per noi, ridotti a massa di schiavi inconsapevoli e soddisfatti di essere calpestati. Sta solamente a noi capire che il cammino prospettato porterà a una nuova, moderna era feudale, e che nessun beneficio ne verrà se continuiamo per quella strada, se non la inebetita felicità del povero ignorante che è stato raggirato senza avvedersene, e che ringrazia il potente che lo ha dotato del suo stupido e limitato sistema di valori artefatti. O per chi se ne avvede, una continua frustrazione e infelicità. Credo che sia davvero il tempo in cui l’umanità debba svegliarsi e riprendere in mano il suo destino, perchè c’è molto di piu’ in gioco che la semplice politica. Sta solo a noi farlo, e bisogna farlo adesso, cogliendo l’occasione storica –se così sarà davvero- del cambio in atto. Siccome citavo in apertura delle “fonti illuminanti”, vorrei citare due documentari che ho avuto occasione di vedere, peraltro dopo l’inzio della stesura di questo post, e che hanno consolidato l’idea diffusa che ho argomentato. Si chiamano ZEITGEIST e ZEITGEIST ADDENDUM, sono distribuiti gratuitamente su google video e sono sottotitolati in diverse lingue (anche doppiati ma sconsiglio questa versione perchè toglie completamente la tensione narrativa). Gli argomenti trattati sono molto interessanti, anche se bisogna sempre matenere una certa criticità sopratutto in alcune parti, dove vi sono imprecisioni e mancanza di citazioni. Ciononostante, credo che possano contribuire a stimolare nello spettatore una coscienza allargata e a porsi tante, interessanti e necessarie domande.

sabato 19 settembre 2009

il crepuscolo di un (quasi) leader


Ho volutamente usato il termine quasi nel titolo di questo mio post proprio per evidenziare che per me Berlusconi non è da considerarsi un leader, almeno nell'accezione etimologica che generalmente se ne dà. Potrà essere considerato un leader da chi l'ha votato in questi quindici anni e sicuramente sarà così, ma di certo non lo considero un punto di riferimento (se non nel riferimento negativo) per la nostra storia politica e sociale a cavallo dei due millenni. A prescindere comunque dal mio modo di pensare sulla figura dell'attuale premier, quello che mi pare più opportuno sottolineare in questo momento è che la parabola discendente del settuagenario meneghino sia oramai nella sua fase finale. E non credo di essere il solo a dirlo in questi ultimi tempi. Anzi, da più parti si parla della possibile prossima uscita di scena di Berlusconi. Qualcuno addirittura immagina, per l’ennesima volta, che ciò possa avvenire per via giudiziaria. La curva declinante del Pifferaio di Arcore è iniziata ma bisogna dire, con onestà, che sarà lunga e dolorosa ed è facile immaginare che diventerà la pagina più vigorosa e velenosa della sua ormai lunga carriera politica. Una cosa però dovrebbe essere chiara: l’unico modo possibile di sconfiggere davvero Berlusconi sarà anche il più difficile, quello che non prevede scorciatoie, ma il passaggio attraverso la via maestra delle urne, il lavacro democratico. Gli esiti della scommessa sono incerti e i tempi potranno essere brevi o lunghi, questo non si sa, dal momento che i fattori di accelerazione o di blocco della crisi potranno essere molteplici; saranno possibili momenti e fasi di transizione, ma Berlusconi verrà vinto nel Paese soltanto quando sarà battuto in una libera competizione elettorale da uno schieramento che non sarà solo unito dal fatto di essere tutto contro di lui, ma in grado di proporre e di affermare un’altra e più convincente idea di Italia. Ci sono uomini politici che in questo periodo incominciano a delineare strategie e scelte future (o futuribili) come Fini e Casini (che non rappresentano certo una novità nel panorama nazionale); ci sono poi altri soggetti che si pongono l’obiettivo di girare pagina con l’oramai lunga, consunta e dannosa transizione italiana. A mio modo di vedere sarebbe bene, invece, che i liberi e i forti di ogni schieramento facessero ciascuno la propria parte, senza essere tirati per la giacchetta dagli amanti delle formule geometriche, che non rispondono mai alla forza e alla vitalità della politica. Sarebbe importante che la condizione per camminare insieme non fosse animata dall’arroganza e dalla velleità di chiedere all’altro di essere diverso da ciò che è, ma dalla ricerca tenace di quel comune denominatore riformista che dia ragione e speranza al difficile percorso da compiere. In effetti, pensare nuove alleanze possibili non significa affatto abbattere il bipolarismo, ma ritenere insufficiente e quindi ridefinire quello che oggi c’è, che chiaramente non funziona a livello politico, sia con maggioranze risicate come quella dell’ultimo esecutivo Prodi, sia con maggioranze blindate come quella attualmente al governo. Solo a questa condizione potrà farsi strada un’altra idea di Italia, riformatrice, nazionale, popolare, moderna, repubblicana, europea, laica e solidale, quella di cui il Paese ha bisogno. E questa strada sarà ancor più libera e percorribile non appena sarà giunto al suo naturale capolinea il crepuscolo del (quasi) leader meneghino. Oltre che settuagenario.

martedì 15 settembre 2009

l'inutile guerra di Feltri a Fini


Sembra una telenovela in stile padano come tanto piacerebbe al ministro leghista Zaia. La guerra che da settimane una delle voci del padrone sta combattendo nella trincea di famiglia (il Giornale) contro il nemico che hanno in casa (Gianfranco Fini) sta assumendo toni e livelli da cose di Cosa Nostra, con tanto di evidenti messaggi e pallottole di carta (stampata) finalizzati al ripristino della normalità. L'attacco con schizzi di letame tramite il fondo in prima pagina di ieri da parte del solito Feltri (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=NDOQS), ha di fatto confermato l'avallo del Pifferaio di Arcore che, al contrario delle due precedenti occasioni in cui si era dissociato dal suo braccio armato editoriale, questa volta nulla ha avuto a che dire sulle badilate di fango gettate in faccia al presidente della Camera. Non voglio, per l'ennesima volta, attaccare il pennivendolo di Bergamo anche per non correre il rischio di insozzarmi. Ma ho solo la pretesa di spiegare, con questo mio odierno post, quanto alla fine risulterà sterile e improduttivo la guerra di Feltri a Fini. In prima analisi sono sicuro che Gianfranco nasconda nella sua manica un asso che tra non molto calerà per indebolire, anzi per annullare, la leadership del Caimano. Questo asso vincente si chiama riforma elettorale-istituzionale: ripartire dalla Bozza Violante (relatore Italo Bocchino, uno dei suoi fedelissimi) giacente alla Commissione Affari Costituzionali, renderla il più possibile condivisa tra i vari soggetti politici a lui vicini per far sì che si cancellino le cosiddette candidature dall'alto, senza dimenticare la centralità del Parlamento in una democrazia bipolare e leaderistica. Credo sia noto a tutti che a Fini il Porcellum di Calderoli non sia mai piaciuto: prova ne è stata il suo recente appoggio esplicito al fallito referendum di giugno targato Segni e Guzzetta. E non passa giorno in cui il presidente della Camera non ricordi ai politici (condividendo i richiami di Napolitano) "...lo strano modo in cui abbiamo fatto le riforme in Italia dal 1994 in poi, portando avanti modifiche non coordinate. Abbiamo dato vita a un presidenzialismo spurio, senza avere ben chiaro che il presidenzialismo richiede un parlamento forte". La Bozza Violante che il presidente della Camera vuole al più presto portare a compimento prevede, tra le altre cose, la fine del bicameralismo perfetto, la riduzione del numero dei parlamentari, la limitazione dell'uso dei decreti di legge e una contrazione del potere del premier nel nominare e revocare i ministri. Tutte cose che, come è facilmente intuibile, non sono affatto gradite al Pifferaio di Arcore e alla sua pletora di affamati lanzichenecchi politici. Risulta essere allora più che motivato l'ordine di attaccare, dato dal generale Silvio al suo sottoposto Vittorio. Un attacco frontale seppur maleodorante, che non prevede sconti a nessuno costi quel che costi. Ne va del potere del monarca dell'informazione taroccata, al quale il solo pensiero di non poter più disporre dei suoi gioielli editoriali e televisivi di famiglia (le patrie galere sono sempre lì che lo aspettano) comporta un brusco innalzamento della pressione arteriosa con inevitabili ricadute sulle sue tanto lodate prestazioni sessuali. In fondo, come dire, una escort val bene una guerra. O no?

sabato 12 settembre 2009

Laudati sii o mio signore (premier)


Quando si dice che il nome indica una predisposizione innata nei confronti di qualcosa o di qualcuno. Quello del nuovo procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Antonio Laudati, è proprio il caso in oggetto. Fino a pochi giorni fa era impegnato nelle scartoffie del palazzone del ministero di Giustizia di viale Arenula a Roma; poi il Guardasigilli (notoriamente molto vicino al premier) ha pensato bene di raffreddare l'infuocata procura di Bari al centro di roventi polemiche a causa dell'inchiesta (anzi delle plurinchieste) su escort e cocaina, su appalti e corruzioni, su politici e prostitute. Serviva un pompiere e l'hanno trovato. «Da quello che viene pubblicato sui giornali è di tutta evidenza che il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è assolutamente fuori da qualsiasi responsabilità penale». L'esordio del nuovo procuratore della Repubblica Laudati non lascia molti margini alle indagini della sua procura, almeno sul fronte del premier. Ha parlato ai cronisti riferendosi alla pubblicazione dei verbali di interrogatorio dell'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini usciti l'altro giorno sul Corriere della Sera, relativi al giro di donne dai facili costumi inviate nelle residenze private del sodomizzatore di Arcore. Aggiungendo qualche dettaglio più ovvio, e cioè che i magistrati impegnati nelle indagini non hanno parlato di parlamentari nel corso delle loro audizioni con la commissione d'inchiesta. Cosa ovvia, appunto: i magistrati non possono rivelare il contenuto stretto delle loro indagini. Meno ovvia e più impegnativa, invece, risulta essere l'affermazione che scagiona il premier. Il procuratore si riferisce alle notizie fin qui pubblicate, ma è presumibile che sia a conoscenza anche della sostanza del lavoro degli inquirenti. Tanto è bastato comunque per far gioire Mavalà Ghedini, impegnato nella difesa del suo adorato Silvio. «Le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Bari dimostrano ciò che il presidente Berlusconi ha avuto modo di evidenziare più volte, ovvero la sua totale estraneità alle inchieste in corso», ha dichiarato. In buona sostanza per Ghedini è già un'assoluzione, anzi è perfino già la vittoria delle milionarie e numerose cause civili che il suo assistito ha già intentato, sconfessando così la sua precedente affermazione a proposito dell'utilizzatore finale. Il buon Ghedini cerca, strategicamente, di spostare l'attenzione su Tarantini che si è assunto tutta la responsabilità del pagamento delle professioniste a Palazzo Grazioli, sostenendo in pratica l'insostenibile, e cioè che Berlusconi non si accorgeva di avere a cena (e successivamente con le gambe divaricate sul lettone di Putin)appunto delle peripatetiche, per lo più, e non delle simpatiche amiche piuttosto bellocce. Per questo potrebbe essere interessante la sfida aperta di Patrizia D'Addario, che ha invitato il premier (che in pratica l'ha subliminalmente minacciata con 18 anni di reclusione) a un confronto pubblico. Intanto a Bari due magistrati dell'ufficio del Gip del Tribunale avrebbero chiesto di astenersi dal trattare pratiche relative a Tarantini, perché conoscevano l'imprenditore barese e lo frequentavano. Si tratterebbe di due donne, e la loro richiesta sarebbe avvenuta tempo fa, in una prima fase di una delle indagini sul presunto intreccio politica-appalti coordinate dal sostituto procuratore Giuseppe Scelsi. Insomma, ce n'è abbastanza per rivolgersi al nuovo procuratore con l'invocazione affatto blasfema Laudati sii o mio signore con annessa genuflessione. Non si sa mai...

giovedì 10 settembre 2009

l'incubo Dell'Utri (per Silvio)


La data fatidica si avvicina. E il premier (che già dichiarava in passato di dormire tre ore per notte a causa delle sue attività amatorie) non dorme affatto sonni tranquilli. Il motivo? E' presto detto: esattamente tra sette giorni, il tribunale di Palermo tornerà a parlare di mafia. O meglio, dei rapporti tra il presidente del Consiglio e la mafia. Il premier lo sa e sta giocando d'anticipo. O almeno ci prova. Ha aggiunto al lunghissimo elenco dei suoi nemici, colpevoli di accusarlo ingiustamente ogni giorno, anche i magistrati di Palermo e di Milano titolari delle indagini sulle stragi dei primi anni '90. Casualmente questo attacco arriva (per lui) come il cacio sui maccheroni. Il 17 settembre a Palermo riparte il processo al senatore Marcello Dell'Utri, ex socio del premier in Publitalia 80 e cofondatore di Forza Italia nel 1993, già condannato in primo grado a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. In questo processo d'appello i giudici dovranno decidere se accettare, tra i nuovi elementi di prova, un documento che (più che accusare Dell'Utri) punta il dito sui rapporti tra il premier e la mafia già all'inizio degli anni '90. Si tratta di una lettera datata 1994 e inviata da Bernardo Provenzano (che, mi preme ricordarlo, non è il curatore della rubrica Gusto del TG5) a Silvio Berlusconi per il tramite dell'ex sindaco (defunto) di Palermo Vito Ciancimino, pure lui condannato per mafia. Recentemente il figlio di Ciancimino ha spiegato che quel frammento, noto alla procura già dal 2005, era in realtà una missiva consegnata a Berlusconi. E che i documenti inviati al premier erano tre, il primo dei quali sarebbe stato scritto e spedito nel 1991, quando la discesa in campo del Pifferaio di Arcore pareva fantascienza. Nell'unico testo ritrovato, quello del '94, Provenzano chiedeva al Cavaliere di mettere una televisione a disposizione della mafia, minacciando di morte il figlio se la richiesta non fosse stata accolta. L'estate scorsa, dopo le dichiarazioni di Ciancimino jr, il procuratore generale di Palermo Antonino Gatto ha chiesto di acquisire quel documento come prova nel processo che partirà la prossima settimana. Il tribunale si è riservato rimandando tutto a settembre e ora, il 17 appunto, il documento potrebbe entrare a pieno titolo nell'elenco delle prove a carico di Dell'Utri. Un brutto affare per il presidente del Consiglio, sia perché a suo carico a Palermo c'è un'inchiesta datata 1996 e archiviata (che però potrebbe riprendere quota), sia perché di nuovi elementi che portano ai rapporti con la mafia ce ne sono persino troppi. In seguito ai nuovi elementi, il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini (praticamente la bestia nera di Silvio) ha riaperto il fascicolo sulla strage del 1993 in via Palestro a Milano, ascoltando più volte il neopentito Spatuzza e facendosi mandare le dichiarazioni di Ciancimino jr che, si ipotizza, tra poco più di un mese sarà chiamato in aula a dire la sua (come ha già fatto coi pm Intelisano e Di Matteo) nel processo che lo vede accusato di riciclaggio, per aver reinvestito in vario modo i soldi che il padre avrebbe guadagnato durante gli anni in cui era il sindaco mafioso di Palermo. Insomma, a ben vedere, di motivi per non dormire tra sette guanciali il premier ne ha eccome. Una nuova condanna per Dell'Utri non lo aiuterebbe di certo.

lunedì 7 settembre 2009

l'uomo che non conosce vergogna


Fra poco più di tre settimane compirà 73 anni e a quell'età (generalmente) si è dotati di saggezza e di esperienza a cui normalmente si abbeverano figli e nipoti. Purtroppo questo non è il caso del premier italiano. Lui più che saggezza manifesta arteriosclerosi dando inequivocabili segnali di non ritorno verso una situazione di normalità delle cellule cerebrali. L'ultimo eclatante esempio questa mattina, quando si è pure svegliato presto per dire le incredibili stronzate tramite il doppio megafono personale rappresentato da Maurizio Belpietro e dalla trasmissione Mattino Cinque (http://tv.repubblica.it/dossier/10-domande/liberta-di-stampa-barzelletta-cattocomunista/36506?video=&pagefrom=1). Uno che accusa in quel modo inverosimile la stampa italiana di essere per il 90% in mano ai comunisti e ai catto-comunisti (non sapendo che oramai di comunisti in Italia ne sono rimasti due, Ferrero e Diliberto) è l'esempio lampante e vivente di chi non conosce affatto la vergogna, che mente spudoratamente sapendo benissimo di mentire. E sapendo altrettanto bene che (per sua fortuna) ancora ci sono milioni di italioti che pendono dalle sue labbra e credono a tutto ciò che dice. Ora io vorrei far riflettere quei pochi lettori di questo blog su quanto affermato stamani su Repubblica tv dall'editorialista de La Stampa di Torino Barbara Spinelli (http://tv.repubblica.it/copertina/spinelli-berlusconi-vuole-disorientare/36531?video) che manifesta il suo legittimo stupore nell'aver notato la completa assenza di solidarietà da parte di quasi tutti i giornali italiani nei confronti di Repubblica e dell'Unità querelati dal Pifferaio di Arcore. Anche questo è un preoccupante indicatore dell'oramai acquisita indifferenza che aleggia nel nostro Paese, così stoltamente anestetizzatosi sotto i colpi di maglio di un uomo che non conosce vergogna, che non è degno di rappresentare la stragrande maggioranza degli italiani e che meriterebbe soltanto di trascorrere gli ultimi anni che gli restano da vivere in una cella tre metri per tre o (al massimo della pietà umana) di essere imbarcato su una carretta del mare e spedito in Libia dal suo amico Colonnello. Post Scriptum: per chi avesse dei vuoti di memoria consiglio di guardare questo video (http://tv.repubblica.it/copertina/tutto-comincia-il-28-aprile/36495?video).

venerdì 4 settembre 2009

torna l'incubo della "Rossa" per il Cavaliere


Come avranno capito i lettori di questo blog non sto parlando della Rossa di Maranello, ci mancherebbe. Il vero incubo con quel colore per il presidente del Consiglio è solo Ilda Boccassini, nominata pochi mesi fa quasi all'unanimità (unico voto contrario, guarda un pò, del consigliere del CSM Michele Saponara di chiara fede berlusconiana) procuratore aggiunto di Milano. Sarà lei una dei due vice del Procuratore Capo Manlio Minale e sarà lei, molto probabilmente, a tornare alla carica nei confronti del Pifferaio di Arcore se (come tutti ci auguriamo) il prossimo 6 ottobre la Consulta dichiarerà nullo il famigerato Lodo Alfano. Ne ha ben donde il Cavaliere di temere il nuovo assalto di Ilda la Rossa. Ha ancora gli incubi notturni, il buon Silvio, ricordando come svolse il ruolo di pubblico ministero la Boccassini nei processi SME e IMI-Sir. E ben sapendo che il nuovo ruolo da procuratore aggiunto della Rossa aumenterà ancor di più il potere e il carisma giuridico (finalizzato al giusto scopo di far pagare il fio di quanto dovuto) nel prossimo futuro. Il previdente Cavaliere corre ai ripari e sguinzaglia ancora una volta la sua muta di giornalisti con l'obiettivo di stanare il nemico prima ancora dell'inizio della caccia grossa. Così ha fatto stamani su Libero il nuovo rottweiler della redazione di viale Majno (Gianluigi Nuzzi, proveniente dall'allevamento di Panorama) che in prima pagina già le spara grosse (http://www.libero-news.it/articles/view/569684pp). Come si dice, chi mena per primo mena due volte. Io intanto mi metto comodo e attendo fiducioso il 6 ottobre...

giovedì 3 settembre 2009

questa volta (forse) risponderà


Forse ci siamo. Questa volta è probabile che risponderà. Non so quando, non so in che modo ma credo proprio che le nuove 10 domande pubblicate in prima pagina oggi su liberal (http://www.liberal.it/primapagina/editoriale_2009-09-03.aspx) poste da Ferdinando Adornato troveranno risposta da parte del presidente del Consiglio. Questa volta il Pifferaio di Arcore non potrà accampare scuse nè potra nascondersi dietro il paravento del quotidiano diretto da un evasore fiscale o il cui editore sia in possesso anche del passaporto della confederazione svizzera. Le dieci domande stavolta non hanno niente a che fare nè con vizietti sessuali nè con difficoltà di erezione nè tantomeno con accuse di subliminale pedofilia. Qui si trattano temi squisitamente politici (sia di caratura interna che internazionale), si fa riferimento a precisi impegni assunti in campagna elettorale e mai rispettati, si parla di diminuzione di tasse e finora non si hanno segnali al riguardo. Insomma, credo sia giunto il momento (finalmente) per il presidente del Consiglio di rispondere agli italiani. Seriamente, coscienziosamente e senza altri indugi. Se davvero Berlusconi anela raggiungere la posizione di statista, se veramente vuole lasciare un segno non recriminabile del suo passaggio sulla scena politica nazionale, questo è il momento giusto per farlo. Risponda, prego. Aggiornamento del 4 settembre: anche ENRICO CISNETTO è del mio stesso avviso (http://rassegnastampa.formez.it/rassegnaStampaView2.php?id=171571). Meno male.

martedì 1 settembre 2009

l'insensibilità dell'universo berlusconiano


Credo abbia ragione Geoff Andrews (http://www.geoffandrews.net/) quando, rispondendo alle domande del giornalista de la Repubblica (http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-23/open-democracy/open-democracy.html), ci delinea una più che veritiera situazione di difficoltà in cui si trova attualmente il presidente del Consiglio, accerchiato da un fronte di fuoco mediatico nazionale ed internazionale al quale faticosamente cerca di rispondere con la sua riconosciuta contraerea feltriniana e belpietroniana. Ma a mio modesto avviso non sta solo qui il nocciolo della questione. La questione dei rapporti col mondo cattolico, coi suoi orientamenti e le sue strutture associative, con le sue gerarchie ecclesiastiche (che per evidenti motivi hanno nel nostro Paese un ruolo di particolare rilievo), è oggi tornata a riproporsi come un tema discriminante per valutare la capacità degli opposti schieramenti culturali e politici nel dare positiva risposta ai complessi problemi che riguardano la direzione del nostro Paese. È evidente, infatti, che l'aspro attrito che si è determinato tra il governo Berlusconi e una parte importante e significativa del mondo cattolico non è stato provocato semplicemente da quest'ultimo incidente di percorso. L'attacco de il Giornale al quotidiano della CEI deve essere letto non soltanto come un bieco avvertimento mafioso nel tipico stile degli uomini berlusconiani ma anche, se non soprattutto, come evidente e profondo limite culturale e politico del centro-destra nell'affrontare questioni, come l'accoglienza agli emigranti o i temi della solidarietà sociale, cui il mondo cattolico, per la sua cultura fondativa, è logicamente sensibile. Il tentativo del governo di superare anche queste ragioni di attrito moltiplicando le concessioni alle posizioni della Chiesa sugli orientamenti etico-sociali o sul terreno delle agevolazioni materiali per le organizzazioni cattoliche, non è in questo caso bastato. Sarebbe però un grave errore se le forze della sinistra pensassero che lo scontro fra gli indirizzi del governo Berlusconi e il mondo ecclesiastico di per sé sia sufficiente per spostare a proprio favore l'orientamento delle autorità cattoliche e delle loro organizzazioni. E magari ritenessero che sia proprio questa l'occasione per conquistare e consolidarne l'appoggio accentuando le concessioni (come già in passato è accaduto) sul piano delle agevolazioni economiche e soprattutto su quello degli orientamenti in materia etico-sociale. È bene invece sottolineare che se questa fosse la strada prescelta dalla sinistra, si offrirebbe alla destra e in particolare al governo Berlusconi un terreno di confronto sul quale quest'ultimo finirebbe sicuramente col vincere. Si tratta invece di tornare ad affrontare il rapporto col mondo cattolico a partire da quei temi che già al momento del Concilio ecumenico favorirono un dialogo proficuo e positivo tra forze laiche di sinistra e forze di orientamento religioso: ossia impegnandosi nel proporre un progetto di sviluppo della società nel quale i temi della solidarietà fra gli individui e fra i popoli, del rispetto del confronto culturale e delle reciproche convinzioni ideali, dell'impegno per la pace e per la civile convivenza siano i punti essenziali. E' su questo progetto, per l'avvenire dell'Italia e per il contributo allo sviluppo mondiale, che la sinistra è di nuovo chiamata a dare prova della propria capacità politica e culturale.