l'Antipatico

mercoledì 29 aprile 2009

i primi cento giorni di Obama


Questo odierno post lo dedico molto volentieri al Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, in occasione dei suoi primi 100 giorni alla Casa Bianca, al timone della super potenza mondiale in assoluto. Francamente sono stato tentato di scrivere questo articolo (fino a pochi minuti fa) dividendolo in due parti: la prima, per l'appunto, al riepilogo delle cose fatte dal primo presidente afro-americano insediatosi al vertice degli USA: la seconda parte, in una sorta di parallelo, dedicata alle cose fatte dal Pifferaio di Arcore durante i primi 100 giorni a Palazzo Chigi. Ho riflettuto: mi sono detto che non ne valeva la pena. Il nostro presidente del Consiglio ne sarebbe uscito totalmente ridicolizzato dal confronto così impari e disonorevole da farmi venire quasi un subliminale senso di colpa, una sorta di offesa alla Patria e di vilipendio agli italiani (così mal rappresentati, purtroppo!), desistendo quindi dall'impresa. Tornando alle cose serie, da ieri sul sito della campagna di Obama, che continua a lavorare per promuovere l'azione del presidente e organizzare volontari e cittadini, c'è una pagina che celebra le meraviglie dei primi cento giorni. Come in Italia, quando un governo o una giunta comunale mandano alle stampe quei manifesti con le proposte di campagna elettorale con sopra il timbro "Fatto". Non c'è dubbio che in soli tre mesi di carne al fuoco l'amministrazione ne abbia messa. Se poi vogliamo infierire (ma io non voglio...) ecco come si presenta la pagina degli appuntamenti presidenziali in scadenza (http://www.whitehouse.gov/briefing_room/PresidentialActions/): tanto per fare un paragone con quelli in scadenza a Palazzo Chigi o a villa San Martino. Riprendendo a parlare (e a scrivere) seriamente, ecco un piccolo riepilogo delle principali azioni e leggi approvate dalla nuova amministrazione di Obama. Economia - La prima mossa è stata l'approvazione di un pacchetto di stimolo all'economia da 787 miliardi di dollari. Le spese sono molte, c'è un taglio delle tasse per alcuni settori della popolazione e c'è un enorme aumento del deficit. La promessa è: "di quello ci occuperemo quando usciremo dal buco della crisi". L'amministrazione ha anche proposto diverse misure di spesa che riguardano il sociale, l'ambiente, le infrastrutture. Basteranno a rimettere in moto la macchina? E si salveranno le banche e l'industria dell'auto dopo che lo Stato ci ha speso sopra tanti soldi? Le ultime due domande sono un test cruciale: se non ripartirà il credito (in una forma diversa e più morigerata che in passato) saranno guai per tutti. Obama in primis. Politica Estera - Se son rose...Ieri diplomatici cubani e statunitensi si sono visti per la seconda volta. L'altro ieri Ahmadinejad ha parlato di due popoli e due Stati, riferendosi al Medio Oriente. Obama e Medvedev hanno avviato trattative sulla riduzione degli arsenali nucleari e, al recente G20, Obama non ha flesso i muscoli ma mediato, ascoltato, accettato risultati che non gli piacevano. L'Iraq e l'Afghanistan sono ancora due enormi buchi neri aperti e in Pakistan le cose peggiorano invece di migliorare. E poi, ciascuno dei passi simbolici fatti in questi mesi possono diventare inciampi o peggio. In Afghanistan, a parte parlare di più soldati, non è chiaro quali siano le idee e la strategia. Buoni rapporti con l'Iran e la Russia aiuterebbero parecchio. Ambiente & Energia - Al G20 Obama ha lanciato la proposta di una conferenza a Washington sul tema. Dopo 8 anni in cui il precente presidente guerrafondaio Bush si rifiutava di ammettere che ci fosse un problema clima, il fatto che gli Usa si mettano alla testa dell'azione sul clima, è un fatto importante. In quanto a spese, l'amministrazione ha stanziato 23 miliardi di dollari per lo sviluppo di energie rinnovabili. I democratici hanno poi presentato una legge sull'energia che ha come obiettivo quello di tagliare le emissioni, mentre l'Epa, l'agenzia per l'ambiente, ha già varato nuovi regolamenti. Lo scontro con le lobbies ed alcuni Stati produttori di auto, petrolio e carbone non è ancora esploso. Sanità - L'ostacolo più grande, quello che bruciò Hillary Clinton nel 1993. La prima vera botta, Obama l'ha presa quando il Segretario alla Sanità designato, Tom Daschle, si è dovuto dimettere. Daschle è il padrino politico di Obama, è molto solido sul tema. Il nuovo Segretario non è ancora stato confermato dal Congresso. Nessun progetto è ancora stato presentato. Ho solo voluto rappresentare lo stretto necessario per questi primi 100 giorni di Barack Obama e della sua amministrazione. Non sta certamente a me dirlo, ma credo che i presupposti ci siano per fare un buon lavoro da qui alla naturale scadenza del primo mandato degli americani al primo presidente di colore della storia statunitense. Buon lavoro, Mr. President!

martedì 28 aprile 2009

il modello spagnolo è in crisi?


Spero di non dare una brutta notizia o una cocente delusione al mio amico e collaboratore Davide, ma oggi debbo focalizzare la mia attenzione sul paese iberico che ospita molti italiani in cerca di fortuna e di realizzazione lavorativa e professionale. La situazione occupazionale in Spagna è piuttosto pesante. Il numero dei disoccupati ha superato i 4 milioni nel primo trimestre del 2009, cosa che ha fatto schizzare il tasso di disoccupazione al 17,36% (contro il 13,9% dell'ultimo trimestre del 2008). L'Istituto nazionale statistiche (INE, http://www.ine.es/en/welcome_en.htm) ha sottolineato come questo dato rappresenti il maggior numero di persone senza lavoro dal terzo trimestre del 1976, quando il Paese si trovava in piena transizione dalla dittatura alla democrazia. La disoccupazione, fa sapere l'INE, è cresciuta di 802.800 unità rispetto all'ultimo trimestre del 2008. Mentre negli ultimi 12 mesi è aumentata di circa 2 milioni di unità. Ciò ha provocato diversi episodi di lotta tra poveri, più o meno simili a quelli accaduti qualche settimana fa in Gran Bretagna. Nei giorni scorsi, picchetti di lavoratori sub-contrattualizzati hanno paralizzato l'attività dei cantieri navali La Naval, nel porto di Sestao (Bilbao), per protestare contro l'abbattimento dei costi della manodopera provocato dalla contrattazione in origine di lavoratori provenienti dal Portogallo o dalla Romania. Duecento sub-contrattualizzati hanno impedito l'accesso ai cantieri a un migliaio di lavoratori e sub-contrattualizzati, contestando la direzione dell'impresa che pochi giorni prima aveva sostituito una ventina di loro con manodopera proveniente da altri paesi. Comisiones Obreras, uno dei sindacati spagnoli, ha comunque smentito che si stia producendo una situazione di concorrenza sleale che può risultare insostenibile. Stando ai sondaggi, solo per uno spagnolo su quattro la nazionalità deve prevalere sulla capacità, al momento di assumere un lavoratore, anche se per 7 su 10 è importante che le aziende mettano sotto contratto lavoratori iberici. Secondo una recente inchiesta del Real Istituto Elcano, l'opposizione all'impiego di immigrati è ancora contenuta, dal momento che il 60% degli intervistati sostiene che l'impresa debba valutare maggiormente i meriti e la preparazione del lavoratore al momento di assumerlo, rispetto alla nazionalità. Tuttavia, in momenti di crisi come quello attuale, per il 70% degli intervistati è importante che le aziende assumano spagnoli. Parlando della crisi, oltre la metà degli intervistati considera che sia un problema strutturale rispetto al 25% che ritiene si tratti di un problema congiunturale, che non riguarda le fondamenta del sistema. L'88% degli spagnoli considera, inoltre, necessario riformare il sistema finanziario internazionale e limitare i compensi dei dirigenti bancari; mentre l'80% è a favore dell'eliminazione dei cosiddetti paradisi fiscali e il 47% si dice favorevole alla nazionalizzazione delle banche. Quanto al nazionalismo sui beni di consumo, la stragrande maggioranza (il 68%) è d'accordo sul fatto che debbano privilegiarsi prodotti made in Spain. Il sondaggio, informano fonti dell'Elcano, è stato effettuato su un campione di 1.200 spagnoli adulti in due fasi, fra il 2 e il 26 marzo e il 14 e il 17 aprile. Della serie anche gli spagnoli piangono...

sabato 25 aprile 2009

il 25 aprile deturpato (dal Caimano)


E' lecito dubitare della buona fede, a volte. Soprattutto quando in ballo c'è il Pifferaio di Arcore. Francamente faccio fatica ad interpretare nel modo più lecito e genuino la scelta del premier di partecipare alle celebrazioni per la ricorrenza del 25 aprile. Ma se le ragioni per cui stavolta ci è andato («Perchè di questa festa non si appropri solo una parte») sono uguali a quelle per cui non c’è mai andato («Non ci sono mai andato perchè erano tutte manifestazioni di parte»), perché ci va? Sulla decisione del Pifferaio di partecipare oggi alle celebrazioni del 25 aprile sono stati versati fiumi d’inchiostro. Nessuno tuttavia è riuscito finora a fornire una spiegazione plausibile della svolta (o presunta tale) del Caimano. A mio modesto avviso la più verosimile, ad evento avvenuto, è la più semplice di tutte. L’invito rivoltogli dal segretario del PD, Dario Franceschini, è stato uno squarcio nel quale il Caimano s’è infilato, cogliendo la palla al balzo, per necessità. Perché adesso che i post-fascisti ce li ha in casa, nel PdL, occorreva un gesto forte e un biglietto da visita adeguato alle circostanze. Al congresso del Ppe che si svolgerà a Varsavia da martedì a giovedì prossimo, infatti, il Pifferaio vuole presentarsi con qualche credenziale in più. All’importante appuntamento di lancio della campagna elettorale del centrodestra europeo, il beato Silvio farà debuttare la sua nuova creatura, il partito dov’è appena confluita la disciolta Alleanza Nazionale, erede di quel Movimento Sociale Italiano dalle radici repubblichine le cui prime file erano occupate da uomini che nel 1945, contro gli americani e contro i partigiani, sparavano coi mitragliatori. Intendiamoci, non che la questione della purezza antifascista faccia perdere il sonno a Wilfried Martens e agli altri pezzi da novanta del Partito popolare europeo, che è gente dallo stomaco forte. Però è anche vero che i rompiscatole nel Ppe non mancano (dal premier lussemburghese Jean-Claude Juncker al francese Joseph Daul, per citarne un paio) e il Caimano non vuole noie. A sfruttare l’occasione del 25 aprile non ci aveva minimamente pensato, ma l’invito-sfida di Franceschini gli ha acceso una lampadina in testa. Da kapo del PdL ha valutato che non poteva più continuare a scaricare la grana dell’antifascismo solo su Gianfranco Fini e i suoi, considerandola faccenda di loro esclusiva pertinenza e competenza. Quello che il Pifferaio può dire in una ricorrenza come quella del 25 aprile è, né più né meno, quello che ha sempre detto sulle parallele responsabilità dei fascismi e dei comunismi. I consiglieri gli hanno suggerito, almeno per una volta, di risparmiarsi la contabilità dei morti per sostenere la superiore ferocia del comunismo. Difficile che gli dia retta, l’uomo è fatto così. Penetrarne il pensiero sul nodo fascismo-antifascismo è più arduo che intravedere una trama in un’insalata russa. Su fascismo e antifascismo, il Caimano ha detto tutto e il suo contrario, come si confermò all’epoca della candidatura nel PdL del mussoliniano Giuseppe Ciarrapico. Dichiarazioni a parte, anche l’aneddotica non ufficiale è di scarso aiuto. «Figlio mio, promettimi che non sarà Fini il tuo successore, fallo per papà che era antifascista», si raccontava che mamma Rosa avesse raccomandato a Silvio. Ma siccome a mettere in giro questa storia pare sia stato Giulio Tremonti, rivale di Fini nella successione, l’idea che nella svolta antifascista del 25 aprile 2009 ci sia anche una radice familiare risulta infondata. La verità è che il Pifferaio ha lasciato proprio Fini da solo, per lunghi anni, a fare i conti col retaggio e l’eredità fascista. L’ha fatto volentieri, finchè ha potuto. L’argomento, del resto, non è mai stato nelle sue corde né nella sua cultura. Irresistibile fu la risposta all’invito rivoltogli da Fausto Bertinotti in una memorabile puntata di Porta a Porta a onorare l’esempio di Alcide Cervi, padre dei sette fratelli partigiani fucilati dai fascisti: «Sarò felicissimo di fare la conoscenza di papà Cervi», rispose. Non solo Alcide era morto da trent’anni, ma il beato Silvio non aveva nemmeno la più pallida idea di chi diavolo fossero i fratelli Cervi. Oggi è andato a Onna: meglio tardi che mai.

giovedì 23 aprile 2009

il vero Presidente (e quello falso)




Non credo sia difficile, in certi casi, distinguere e riconoscere subito il vero dal falso. Quando poi si parla di Presidenti, il compito è addirittura infantile. Non sono trascorse neppure ventiquattr’ore dalla lezione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Teatro Regio di Torino e siamo daccapo a dodici, come testimoniano alla perfezione le parole di Giuseppe Vegas («Vede, la fase è fluida, c’è una situazione molto mobile, occorre tempestività di decisione e intervento... ecco i decreti, ecco l’eterogeneità delle materie...»), sottosegretario all’economia e braccio destro del ministro Giulio Tremonti. La linea berlusconiana rispetto al Colle è sempre la stessa: prendere soltanto quel che conviene dalle venti e più cartelle del discorso del Capo dello Stato; nella fattispecie l’impulso a varare riforme istituzionali condivise anche per cambiare la Costituzione. E ignorare tutto il resto: il monito, cioè, a non deragliare mai dai binari costituzionali. Perlomeno finchè non si modificano. Questo è stato il nocciolo del politicissimo intervento di Napolitano, scritto già da molto tempo, riveduto e corretto, si dice, dopo i fatti del terremoto d’Abruzzo. Adesso che tutti hanno interpretato e detto la loro sul discorso del Presidente degli italiani (quello vero, non la copia mal riuscita), è forse opportuno aggiungere alcuni dettagli per meglio comprendere cosa stia accadendo nei sempre difficili rapporti tra Quirinale e Palazzo Chigi. Degli innumerevoli richiami di Napolitano al Pifferaio di Arcore contro l’abuso della decretazione d’urgenza (il principale e costante elemento di tensione tra i due presidenti) s’è perso il conto. Più recentemente Napolitano aveva lamentato, in una formale lettera al premier, anche un altro vizietto del governo: convertire in legge decreti omnibus diversi da quelli emanati. Ramanzina, quest’ultima, che peraltro Napolitano aveva fatto anche a Prodi nella scorsa legislatura. Richiami quirinalizi di ordinaria amministrazione, si dirà. Ma nel discorso di Torino c’è stato, da parte del Presidente, un salto di qualità. C’è chi giura che Napolitano sia stato molto colpito dal comportamento del Caimano in occasione dei funerali di Stato delle vittime del terremoto. Che quel voler rompere il protocollo da parte del premier per mischiarsi alle famiglie dei morti, ostentando una distanza anche fisica tra capo del governo e il resto delle istituzioni, abbia lasciato un segno forte. Quell’infrazione del cerimoniale, notata con inquietudine ma da nessuno citata apertamente, ha lasciato molti sconcertati: compreso Gianfranco Fini. Con Napolitano e Bossi, in fondo, il presidente della Camera componeva quell’invisibile ma salda terna che aveva cinturato, col ferro della riforma del premierato forte, i confusi disegni di Repubblica presidenziale del Pifferaio. Dopo il terremoto d’Abruzzo, molti hanno avuto la sensazione che quella cintura non reggeva più. Perciò Napolitano, due giorni fa, ha sparato dentro una raffica di viti e bulloni, rilanciando le riforme condivise che dovrebbero partire dopo le regionali del 2010, nella seconda metà della legislatura. L’ha fatto citando quel Norberto Bobbio che non eludeva il problema del difetto di potere e che solo dopo quella premessa aggiungeva che «la denuncia della ingovernabilità tende a suggerire soluzioni autoritarie». Il richiamo alla lealtà costituzionale e al rispetto della essenziale rappresentatività del Parlamento, con l’aria che tira, sono tanto più efficaci quanto più il Capo dello Stato sottolinea che ad essi «non si sfugge nemmeno nei sistemi politico-istituzionali che sembrano assicurare il massimo di affermazione del potere di governo affidato a una suprema autorità personale». Come ad esempio negli Stati Uniti. Il capo carismatico c’è, e nessuno gli nega il carisma, è parso dire Napolitano (con esplicito riferimento al Pifferaio). Ma almeno faccia il carismatico all’occidentale. E non alla sudamericana. Come dargli torto?

martedì 21 aprile 2009

l'illusionista di Stato


Le furbate del Caimano non si contano più. Il David Copperfield della politica riesce a illudere (e a disilludere) l'italiano medio molto meglio di un grande prestidigitatore di fama. Riesce a far sparire o a far ricomparire codicilli e commi dalle leggi che si crea su misura con beata incoscienza e disarmante insolenza. Ho visto cento volte all'opera la spregiudicatezza del Pifferaio di Arcore nell'utilizzare il suo straripante potere per proteggersi dal naturale corso della giustizia. L'ho visto accanirsi contro l'autonomia giurisdizionale della magistratura quando essa ne ha incrociato il cammino tappezzato dai suoi innumerevoli conflitti di interesse. O mettersi di traverso per sottrarre ai giudici strumenti di indagine di fondamentale importanza per l'attività inquirente. Mi è toccato sentirlo giustificare l'evasione fiscale e sproloquiare contro la persecuzione tributaria dei ricchi. L'ho sentito in questi giorni scagliarsi contro una trasmissione televisiva che si era azzardata a denunciare come la speculazione dolosa e l'imprevidenza abbiano trasformato il terremoto d'Abruzzo in una catastrofe ancora più grande. L'ho ascoltato polemizzare contro la procura dell'Aquila impegnata nell'inchiesta sulle palesi responsabilità emerse (e che ancora emergeranno). Francamente, però, non avrei mai immaginato (e confesso così la mia inguaribile ingenuità) che il presidente del Consiglio e il suo governo si sarebbero spinti sino a tentare di rendere immuni, da concrete conseguenze penali, i manager delle aziende che fossero giudicati responsabili anche dei più gravi infortuni sul lavoro. E' vero, la manomissione del Testo Unico in materia di prevenzione e di sicurezza nei luoghi di lavoro, commissionata da Confindustria ed eseguita con scrupolo servile dall'Esecutivo, era un segno premonitore alquanto allarmante. Ma ora si va oltre. Molto oltre. Persino al di là della delega approvata dal Parlamento, nel cui perimetro soltanto il governo era autorizzato ad operare. Quel codicillo 10/bis, che interrompe decisamente in basso la catena delle responsabilità, è un vero e proprio salvacondotto nei confronti delle gerarchie apicali dell'impresa. Ora si capisce bene quale solenne disprezzo per la vita dei lavoratori si celi dietro tante ipocrite espressioni di cordoglio che puntualmente accompagnano le morti sul lavoro. E quanto priva di credibilità sia la voglia di mettere fine all' impressionante sequenza di infortuni che non accenna affatto a diminuire. Se questo disegno andrà in porto saranno in molti a tirare un sospiro di sollievo. Un amministratore delegato, a partire da quello della ThyssenKrupp, non dovrà più rispondere in un'aula di giustizia dell'imputazione di omicidio volontario. Tornerà ad essere colpa delle vittime, o di qualche caporeparto messo a fare da parafulmine, secondo il disgustoso copione che va in scena di fronte ad ogni sciagura. Statene certi: non esisterà una sola azienda talmente distratta da non cogliere, chiaro e preciso, il segnale di impunità che viene dalla politica. In base al quale la sicurezza, che è un costo, può rimanere un optional. Se non si impedirà questa vergogna sarà un requiem per la prevenzione. E per la dignità di questo Paese.

lunedì 20 aprile 2009

quando l'amore (per Facebook) finisce...


Era da qualche giorno che volevo scrivere di un argomento leggero, esulando dai soliti post a sfondo socio-politico o di controcanto nei riguardi del Pifferaio. E debbo confessare che la materia del mio pezzo non serio (se così si può dire) era Facebook e tutto quanto gira intorno a questo straordinario fenomeno mediatico che sta impazzendo in Europa e negli ultimi tempi in Italia. Personalmente, fino a qualche settimana fa, ero molto restio ad iscrivermi su FB (nonostante i reiterati inviti dei mei amici e di qualche collega di lavoro) ed il motivo era molto semplice: non avevo bisogno del social network per quegli scopi che avevano dato la motivazione di fondo alla nascita dello stesso. Ovvero non sentivo la necessità di iscrivermi per cercare i vecchi compagni di scuola o di Università, non mi interessava sapere se il mio compagno di banco delle medie inferiori si fosse nel frattempo sposato o finito dietro le sbarre di Rebibbia. Francamente la cosa non mi toccava nel profondo dell'anima. E nel contempo non ero mosso dalla voglia (alquanto esibizionista) di poter dire a qualche collega di lavoro ho 2.126 AMICI su Facebook sperando di vedere (con la consapevolezza che non sarebbe mai accaduto) la sua faccia meravigliata con tanto di bocca spalancata. No, non era proprio questo che poteva indurmi ad iscrivermi su FB. Ma un bel giorno, avuta la notizia che un mio caro amico giornalista si era avventurato su FB con tanto di profilo professionale in bella vista, mosso dalla curiosità (e forse anche un pò dall'invidia) ho deciso di sottopormi a queste nuove forche caudine telematiche e ho fatto la trafila per poter essere presente sul social network più famoso e frequentato al mondo. Tralasciando le mie impressioni e i miei commenti su questa nuova esperienza (e confessando di essere stato rintracciato dalla mia prima fiamma giovanile, anche lei invasa da FB), sono qui a scrivere di un bellissimo post che forse anche io (probabilmente tra qualche tempo) dovrò necessariamente editare. Questo post l'ho scovato casualmente girovagando in Rete e imbattendomi in uno dei blog di Daria Bignardi (http://bignardi.style.it/): scrive la conduttrice delle vecchie Invasioni barbariche e della nuova Era glaciale che a malincuore ha dovuto rinunciare a questo folle amore per Facebook. E per capirne le motivazioni (reali) di fondo vi ripropongo integralmente il suo post datato 15 aprile 2009. Buona lettura.
Addio monti, non ce la faccio più. Devo lasciarvi, forse ci rivedremo di tanto in tanto, ma senza impegno, senza promesse o responsabilità. Non sono fatta per amare a metà: o tutto o niente, la vita impone già abbastanza compromessi. Ma con 4.959 amici e 7.096 in attesa di essere accettati, capite che mi sta venendo l’angoscia? Mi sono accorta che Facebook mi prende troppo tempo. Uno dice: «Che cosa vuoi che sia, mezzoretta al giorno?». Ma non è mai mezz’ora. Alla fine, se vuoi rispondere alla posta e dare un’occhiata agli altri messaggi, come minimo ti parte un’ora. E un’ora al giorno non ce l’ho. Sono ssschiava, come diceva mia madre. Ssschiava del lavoro e della famiglia. Ma famiglia e il lavoro non si possono trascurare. Facebook sì. E quindi adieu, adieu. Ora nei rari momenti liberi tornerò a leggere un libro. E la mattina, prima di portare i bambini a scuola, innaffierò le piante, o giocherò col gatto, invece di guardare la posta. È stato bello. Breve ma intenso. Nove settimane e mezzo di passione, come nella migliore tradizione dell’amour fou. Mi ero iscritta il 24 gennaio. Tre giorni dopo sarebbe uscito il mio libro e volevo che chi lo leggeva potesse dirmi che cosa ne pensava. Allo stesso scopo avevo messo un indirizzo email sull’aletta del libro, ma so che molti pensano che dietro questi indirizzi ci sia un ufficio stampa. Invece c’ero solo io, col mio Mac Air tutto pieno di ditate. Facebook mi sembrava più vero, più democratico e umano. E difatti lo è. Pure troppo. E come gli umani vuole attenzione e cure. E se non lo curi, s’incazza di brutto. Comincia a dirti che lo vuoi sfruttare a fini promozionali. Che pensi solo ai fatti tuoi. Che sei besctia ed egoiscta. Si scherza, amici. Io vi voglio bene. Ho fatto tanti incontri carini su Facebook: Francesca, Chiara, Paolo, Nicoletta, Andrea, Salwa, Fabio e migliaia di altri. Mi avete raccontato un sacco di cose interessanti. Ma che senso ha continuare se so perfettamente che vi deluderò, non vi darò mai abbastanza, e per quanto mi sforzi di rispondere a tutti lascerò sempre indietro qualcuno? Da un po’ sentivo che dovevo lasciare. Fino al colpo di grazia. Essere in viaggio, scollegata, proprio quando, dopo il terremoto, avrei potuto rispondere agli amici abruzzesi che chiedevano aiuto, conforto, presenza. Dopo tanto cazzeggiare, per una volta che si poteva essere davvero utili anche solo con una parola, io non c’ero. Ora tornerò al mio Barbablog, che ha saputo attendermi con dignità e riserbo, senza lamentarsi di essere stato trascurato per uno più giovane. Curerò la pagina fb dei fan di Non vi lascerò orfani, perché chiede poche attenzioni. Qualche volta, di nascosto, mi farò un giro, per controllare le novità, per dare un’occhiata. Ma con i baffi finti e il bavero dell’impermeabile alzato. E se mai un giorno dovessi ritornare, «adderò» solo gli amici che sono sicura di poter coltivare. Dicono gli esperti che non possono essere più di cento, centocinquanta. Adieu, adieu.
Postato da Daria Bignardi alle ore 09:00

domenica 19 aprile 2009

il vero volto del Paese


Spero di non annoiare il lettore di questo blog ma in questa domenica di aprile (la penultima del mese) ho voglia di tornare a fare qualche riflessione sul post-terremoto, su come l'Italia ha reagito (emotivamente e praticamente) ad un dramma che nessuno vorrebbe mai vivere nella propria vita. Mi sono chiesto oggi: è questa la vera Italia che non ti aspetti? No, mi sono risposto. È proprio l’Italia che conosco, che amo visceralmente, che ti sorprende e ti ammalia quando pensi di conoscerla oramai da tempo, perché la gente è migliore di quanto realmente non si riesca a descriverla e di quanto la politica riesca a rappresentarla. La gara della solidarietà consola davanti alla desolazione e alla morte, ma è anche un antidoto alla tragedia. La gente d’Abruzzo non è sola, e questo fa bene a chi ha perso tutto nell’ora più drammatica della vita.
È una speranza per questo Paese, per la sua gente. È su di essa che bisogna investire. Sulle sue famiglie, sui suoi bambini, sui suoi anziani, sulla memoria di altri riscatti, dal dopoguerra alle tragedie nazionali. Non è il Paese depresso e chiuso in se stesso. È quello che sa reagire alla terra che scuote le case e alla crisi che rende cupo il futuro. È il Paese che dona, che mette in piedi cooperative sociali e tiene allenate organizzazioni di volontariato che si rivelano preziose nel terremoto e nella quotidiana lotta contro la povertà. La solidarietà non si improvvisa. È conficcata nel cuore della gente, anche se a volte qualcuno cerca di renderla cattiva, organizzando fazioni e partigianerie, sollecitando divisioni in un Paese che, invece, ha sempre anelato l'unità nazionale. Il terremoto rende tutti uguali, ragionava nei giorni scorsi il vescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari. Vale per la gente d’Abruzzo, vale per l’Italia intera.
Dal terremoto in Abruzzo potrebbe ripartire il riscatto di tante paure e divisioni che, nei mesi scorsi, hanno spaccato la politica e inquietato il Paese. Davanti alla tragedia nessuno s’è arreso o tirato indietro. Spettacolo sorprendente di unità e coesione nazionale, che ha fatto emergere valori condivisi, e riallacciato il filo spezzato nella società. Patrimonio straordinario da non disperdere, soprattutto in un mondo in cui nulla ormai si fa per niente. Dopo questa prova di forzata coesione e di inevitabile buon governo la gente non capirebbe il ritorno al teatrino politico delle tensioni banali e inutili, che per ragioni di bottega sperpera 400 milioni di euro non votando nello stesso giorno per le amministrative e il referendum; o il ritorno all'Italia dei furbi e dei mascalzoni che speculano impunemente sulle costruzioni, mettendo a rischio migliaia di vite umane. Meno male che nella piana dell’Aquila è andata in scena la solidarietà del Paese. Anzi, l’impeto s’è dovuto frenare, per evitare confusione e intasamenti. C’è un Paese poco descritto dai giornali, la cui esistenza emerge solo di fronte alle grandi tragedie. Ma nulla s’improvvisa, nemmeno la bontà. In questo Paese c’è un tessuto sociale, di cura, di vicinato, di amore, che resiste allo sfilacciamento di chi si applica a inventare continue divisioni, tensioni e conflitti. Non è l’Italia buonista, termine ambiguo che serve a qualcuno e irrita altri. È l’Italia buona, perché è un Paese serio e responsabile. Nonostante la sua Tv, i suoi giornali, gli intrighi di Palazzo e di potere politico ed economico. Forse, la crisi ha contribuito alla vicinanza maggiore con chi soffre, ha spezzato confini, ha aumentato la generosità. Ma, forse, giova anche l’esempio della gente d’Abruzzo, che non ha aspettato le ruspe per scavare, né le tende blu della protezione civile per gli accampamenti. Chi è uscito indenne dalla scossa ha tratto in salvo il vicino, gli studenti universitari hanno tirato fuori i vecchi dagli ospizi. Non si sono visti eroi in Abruzzo, non lo sono nemmeno i vigili del fuoco che si sono infilati tra le macerie pericolanti per salvare le vite. È solo andata in scena la normalità della gente, che non vuole più tornare agli antichi vizi del Paese.

sabato 18 aprile 2009

onestà & paraculaggine




Il terremoto in Abruzzo di due settimane fa ha aperto, oltre alla drammatica frattura nella crosta terrestre, anche un ulteriore spartiacque tra il leader dell'opposizione Dario Franceschini (simbolo di onestà intellettuale) e il leader della maggioranza, nonchè presidente del Consiglio (simbolo indiscusso di paraculaggine politica). Dario Franceschini è una persona perbene. Fa politica avendo a cuore l'onestà, la sincerità, i buoni principi. Per questo è andato a L'Aquila tenendo lontani i riflettori delle varie televisioni. Per questo critica (giustamente) il Pifferaio di Arcore che ha convocato il Consiglio dei ministri a L'Aquila per farsi pubblicità. Per questo attacca il presidente del Consiglio che si candida alle europee, sapendo di non potere andare a Strasburgo. Franceschini ha degli evidenti sintomi di moralità. Ce n'è bisogno, di questi tempi (e non solo), in questo Paese (soprattutto). Enrico Berlinguer considerava la questione morale base della riforma della politica. Sono passati quasi trent'anni e non stiamo certo meglio. Mezza Italia è sotto il tallone delle mafie. Tangentopoli prospera nell'ombra. Chi ci governa è un signore che ha evitato il peggio solo perché si è fatto le leggi su misura. E l'evasione fiscale trionfa (non c'è bisogno di andare in cerca di paradisi off-shore, basta andare dal commercialista giusto e confidare in Tremonti). Grazie di cuore, dunque, all'onorevole Franceschini. Le sue dichiarazioni e i suoi atteggiamenti, al di fuori dei teatrini e delle passerelle a favore di telecamera, mi fanno ancor di più evidenziare la differenza di fondo che esiste tra l'onesta di chi fa politica pensando al bene dei cittadini e la paraculaggine acuta di chi fa la politica per farsi esclusivamente gli affari propri (e dei suoi amichetti). Il segretario del Partito Democratico ha tuonato in questi giorni da giornali e televisioni contro lo spreco di denaro pubblico, dovuto al mancato accorpamento del referendum con le europee e con le amministrative. Qualche settimana fa diceva che i soldi risparmiati con l'election day si sarebbero potuti dare alla polizia, ai precari, a chi è in difficoltà. Dal 6 aprile è giusto darli ai terremotati, per la ricostruzione e per le prime e più impellenti necessità. L'argomento è forte, convincente, soprattutto in un Paese come l'Italia che considera (giustamente) la politica un costoso malaffare. Ma dall'altra parte c'è il paraculo di Arcore che, invece, prende tempo, nicchia, sorride, fa le battute da avanspettacolo sui terremotati e continua a fare le promesse, che sa bene di non poter mantenere. Proprio come un vero paraculo. Quella del buon uso dei soldi pubblici dovrebbe essere la base morale e ideologica di un buon capo del Governo: in realtà il Pifferaio di Arcore del buon uso se ne frega e se la ride, facendosi scudo di nobili motivazioni per tutt'altri scopi. Comportamento farisaico lo definiscono i sacri testi, ipocrisia il linguaggio corrente. Tanto più grave se si strumentalizza una tragedia come il terremoto. Il vecchio filosofo tedesco Immanuel Kant distingueva tra politici morali e moralisti politici. I primi sono quelli che agiscono in base ai principi, gli altri coloro che subordinano i principi ai propri fini. Ma anche questo al paraculo interessa poco o niente. E si vede. A questo punto, allora, consoliamoci con l'onestà (finora dimostrata) di Franceschini. Meglio di niente...

Non pensiamo sempre al male....


Prima di tutto, voglio ringraziare il mio amico Nomadus per l'invito e la possibilità che mi ha dato di scrivere sul suo blog, dopo una serie di interessanti scambi in cui i miei scritti sono spesso finiti pubblicati, da commenti a post. Questo quindi è il mio primo post vero e proprio, e davvero mi sento molto emozionato!
Come si evince dal titolo, mi riaggancio ancora agli eventi abruzzesi e quindi alla attuale fase di "inizio ricostruzione", dove il nostro Pifferaio giusto oggi ha bacchettato i suoi acerrimi nemici media (da intendersi nella fattispecie giornalisti non allineati, reporter col vizio della ricerca della verità e via dicendo), a "non riempire le pagine di cronache riguardanti inchieste sulle varie responsabilità", ma a concentarsi sul fare, sulla ricostruzione (questa parola deve dargli una specie di brivido di piacere ogni volta che la pronuncia, e sono tante), sui vari decreti che probabilmente imporrà a furor di popolo per appunto dare il via alla normalizzazione delle zone terremotate. Nel suo solito delirio sintattico, poco prima aveva detto che chiunque abbia risparmiato sui materiali, usando per esempio cementi adulterati o ferri scadenti, può solo essere un pazzo e un delinquente. Per enfatizzare il concetto, ha precisato che durante la visita che effettuò, munito di casco dei pompieri e giacca nera con maglietta nera da architetto di fama all'ospedale dell'Aquila, aveva subito notato, visionando alcuni pilastri crollati, che i ferri erano lisci e il cemento usato era quello che si usava negli anni '70. Per non lasciare dubbio sulla bontà della analisi addusse la sua breve -ma intensa- esperienza da costruttore (io l'ho intesa quasi più da muratore, da uomo di cantiere che quindi ne sa di materiali). Lasciando da parte il delirio di onnipresenza-potenza che gli conferisce un curriculum pressochè infinito, dove compaiono a seconda delle esigenze tutti i mestieri e le professioni del caso, vale la pena centrarsi un momento sulle due affermazioni citate, che ricordo sono state pronunciate a distanza di poche ore. Allora: chi specula sui materiali, specialmente in zone sismiche, magari in epoche recenti, è un pazzo criminale. Ragionamento che non fa una piega. Tra l'altro Marco Travaglio durante la indecente puntata di Annozero, ha citato le responsabilità dell'Impregilo e Italcementi nel recente cantiere della ristrutturazione e ampliamento dell suddetto ospedale che ebbe luogo nel 2000. Ovvero nove anni fa, me ne hanno messo al corrente anche colleghi architetti. Impregilo è un colosso delle costruzioni che deriva direttamente dalla Fiat Costruzioni, ed è anche il contractor del Ponte di Messina. Italcementi una delle piu' grandi imprese produttrici di cemento del mondo, tanto per dire che non stiamo parlando di Ciro Edilizia. Il Berlusca queste cose le sa meglio di me, e senza fare nomi e cognomi comunque si prende la briga di addossare teoricamente le responsabilità di una pessima costruzione, che a vista d'occhio presenta irregolarità a dir poco scandalose, e che ricordo sono costate la vita a un bel po' di gente, a chi di dovere. Molto bene, bravo Silvio. Poi, poco dopo, intima con una delle sue solite frasi che se non fosse lui a pronunciare (o proprio forse perchè è lui a pronunciarle?), suonerebbero come un avvertimento in stile mafioso: Cari giornalisti, lasciate perdere questa storia delle indagini, delle responsabilità, delle colpe. Lasciate stare il passato. Il passato? Si, concentratevi con le vostre benedette inchieste su tutte le belle cose che Io e il mio Governo faremo: le New Town, le case rifatte dove i buoni abruzzesi potranno ritornare per l'estate, scrivete del presente, e del futuro. Se ci sono state delle colpe, ci sono state, e finisce lì. Bon. Non c'è neppure il caso di specificare che queste colpe verranno punite, una volta scoperte. Riguarda il passato, e come si sa lui è uomo del presente, sempre con un piede nel futuro. Il passato è noioso, fastidioso. Pieno di insidie, appunto. Di brutte storie di cui i poveri terremotati non vogliono sentire parlare ora (a detta sua). Bisogna rallegrare questa gente, accendiamogli un fuoco nell'accampamento e mettiamoci a cantare le canzoni di Battisti con una pinta di vino!! Non amareggiamoli ancor di più con le storie dell'uomo nero che ha fatto le case brutte e male e il lupo cattivo con un soffio tremendo le ha buttate giù!! Sul discorso che cerchi di sviare l'attenzione dalle tremende colpe, dalle indegne responsabiltà degli infami che hanno speculato, a chi rimane un barlume di intelligenza e di spirito critico (questa frase ormai è d'obbligo, e mi intristisce sempre di piu' doverla inserire) è ben chiaro il motivo. Non è bello andare a pestare i calli ai grandi dell'edilizia, con cui tanti legami ha il nostro Presidente-costruttore. E poi cosa ci aspettiamo da chi fa leggi come il Lodo Alfano o la ex-Cirielli? Che perseguiti chi ha agito illegalmente? Per non parlare del suo servo sottoposto monsignor Bondi, che viscidamente elogia il caro Saviano per la sua lettera dove avverte il Paese sulle grinfie delle mafie pronte a acchiappare appalti, per subito dopo dire che forse è stato anche un pò "ingeneroso", calcando tanto la mano sulle brutture di questi onnipresenti mafiosacci, mentre non ha per nulla parlato, quel caro ragazzo, dello sforzo collettivo della grande e caritatevole macchina statale, che insieme alle mani e braccia dei cari italiani devoti hanno salvato vite e fatto tanto bene... Ok, va bene, anche se queste cose in un Paese civile farebbero inorridire e scatenerebbero un putiferio, per noi italioti sono sciocchezze su cui non vale neppure la pena soffermarsi due minuti, che ben piu' gravi castighi di Dio ci affliggono. Quello che trovo insopportabile, inaccettabile, è che continuino a trattare la gente come dei poveri imbecilli. Che dicano queste cose ai giornalisti è come dire che il popolo è ebete e che non sta bene preoccuparlo con questa continua insistenza su chi ha sbagliato, ha speculato e rubato e ha fatto sì che case che avrebbero dovuto resistere a un sisma di grado 6 invece siano crollate come castelli di carte. Che non bisogna sempre pensare al male, alla mafia, ai ladri e ai truffatori. Bisogna distogliere il pensiero dalle nostre sempiterne disgrazie, e pensare al futuro, alle cose belle che verranno. Come dei deficienti, degli ebeti. Come se pensare che chi ha costruito le case col fil di ferro invece dei tondini per arricchirsi illegalmente, alimentando un sistema criminale in cui siamo immersi fino al collo, sia una cosa triste, una pesantezza a cui è meglio non pensare. Già, è meglio pensare e ficcarci in testa una buona volta che questo è il sistema in cui viviamo, in cui siamo cresciuti e che non cambierà, semplicemente. Resterà quello, perchè noi italiani siamo così. Avete voluto Berlusconi, che è l'essenza di questa cultura? e ora ve lo godete tutto e completo. Questa cultura dell'illegalità e dell'opportunismo che supera ogni cosa è la nostra vera identità, e ci accompagnerà anche nel futuro. Ma come? Allora pensiamo al futuro, ci dite? E in questo futuro allora le case le farete bene, no? Noi non pensiamo piu' ai cattivoni e ci dimentichiamo delle loro malefatte, sperando che questo terremoto li abbia illuminati e fatti diventare tutti buoni e responsabili? Ora, che ci sia una grande quantità di gente che abbia il cervello completamente lavato dal grande fratello Silvio, e che anzi lo difenda a spada tratta qualunque cosa faccia, non vedendo al di là del proprio naso, è una drammatica verità. Ma che nella fattispecie di questi giorni, che tutta la gente che è stata in qualche modo toccata dal dramma del terremoto si beva questa schifezza senza muovere ciglio, non ci credo. So che non è così, ma la infida macchina del grande fratello sta avanzando pericolosamente, e non dà voce a chi urla incazzato, zittisce nell'ombra le grida di chi a squarciagola invece vuole che se ne parli eccome, degli infami che hanno speculato e hanno ammazzato, anche se indirettamente. Bisogna cercare in ogni modo di dare voce a questa gente, cercare di contrastare con tutta la forza possibile chi vuole che ci uniformiamo alla verità del Pifferaio, giornalisti e gente comune, perchè ormai il pericolo di una censura dilagante e di una subdola manipolazione dell'informazione è più che evidente, e le menti sempre piu' ottenebrate. Solo la determinazione degli spiriti liberi, di chi ama davvero la libertà e non la riduce a uno schifoso slogan potranno fare qualcosa per fermare questo grande fratello orwelliano che a passi da gigante sta inghiottendo lo stivale.

la battaglia (da non perdere) sul referendum


A volte su certe questioni bisogna schierarsi apertamente, senza indugi e senza inganni. Chi scrive ha sempre espresso chiaramente delle opinioni (condivisibili o meno) sulle tematiche politiche e sociali, in particolar modo su questo blog. Ora non posso esimermi dal fare un post sul delicato argomento del referendum. arma democratica che la maggioranza dei berlusconiani (ma soprattutto i leghisti con Bossi in testa) teme e non poco. Che poi tra le comunità degli elettori e degli eletti non corra propriamente buon sangue non è certo un’opinione granché originale né sporadica. Del resto, è un fenomeno presente nelle democrazie in genere, vale a dire nei sistemi nei quali gli stati d’animo si possono esprimere. Un po’ meno ovvia e scontata è un’altra considerazione, relativa a quale della due comunità ami (o meglio, sopporti) maggiormente l’altra. Personalmente credo che sia meglio, al riguardo, non basarsi sulle apparenze e sulle dichiarazioni (che sarebbero fuorvianti) ma attenersi strettamente ai comportamenti, agli atti. Il corpo elettorale, di buono o cattivo grado (magari brontolando intorno ai privilegi presunti, spesso ingigantiti, e comunque gravi solo per l’abbinamento con la modesta qualità e l’insussistente autonomia del personale politico) il suo dovere lo ha sempre fatto, fin troppo disciplinatamente. Dall’altro lato, dal lato della politica, al di là delle tante promesse, è in atto un’opera di escavazione ininterrotta, quasi sfacciata, degli elementi che formano la sovranità popolare, nobile formula costituzionale in via di estinzione. L’escavazione è ormai pressoché ultimata in ordine alle due funzioni di maggior contenuto costituzionale: la selezione della rappresentanza parlamentare, con chiari progetti di estensione alle altre rappresentanze, per le prossime elezioni europee e amministrative; e l’ultimo grado di giudizio sulla legislazione, attraverso il referendum abrogativo. Mi occupo proprio di quest’ultimo, perché della prima si è parlato un bel po’, e non resta che attendere che se ne accorgano, dell’espropriazione, gli elettori, i diretti interessati, che sembra osservino una questione che riguardi i partiti, e i rapporti tra gli stessi. Tralasciando, per problemi di spazio e di tempo, due altri istituti di democrazia cosiddetta diretta: le proposte di legge di iniziativa popolare, sorellastre sfortunate del referendum, e le sconosciute petizioni. Voglio parlare di referendum abrogativo in generale, non segnatamente di quello appena calendarizzato, cominciando con il constatare che anche qui si pratica sempre più un inganno che gli elettori non sembrano avvertire come esercitato su di loro. Senza farla lunga (e se la mia formazione scolastica non m'inganna), il referendum abrogativo è collocato, nella Costituzione, nella sezione dedicata alla formazione delle leggi. Siamo quindi dentro il procedimento legislativo, che si allunga fino a vedere un ultimo grado nel giudizio popolare, definitivo e decisivo, quando lo vogliano un bel po’ di elettori. Non, quindi, un gruppo di scalmanati, pannelliani o segniani che siano, animati da furore antiparlamentare, quindi qualunquisti o chissà cos’altro. No, nulla di tutto ciò: ma un bel po’ (e ce ne vuole, per sicurezza, quasi un milioncino) di cittadini che sanno che la Costituzione assegna al corpo elettorale un ruolo di chiusura della funzione legislativa, quello di decidere della sorte di una legge. C’è a mio modesto avviso, in questa semplice e inoppugnabile lettura dell’articolo 75 della nostra Costituzione, qualcosa che stride leggermente (ma mica tanto) con le pulsioni antipopolari che animano quasi tutte le diverse fasi del procedimento, fino al paradosso dell’invito all’astensione, cioè alla rinuncia all’esercizio di un diritto-dovere che è una vera funzione costituzionale. Non si può pretendere, da chi fatica a ritrovarsi nella lettera della Costituzione, che si risalga ai lavori che quella Costituzione hanno plasmato, per assorbire lo spirito dei diversi istituti. Ma è anche difficile accettare acquiescenti che la cautela della fissazione di un quorum di partecipanti (diretta a stabilire il reale coinvolgimento del corpo elettorale) sia manipolata fino a diventare procurato disinteresse, spesso per via della disinformazione e della mancata conoscenza, nella competizione tra le forze politiche. La breve storia dei referendum è una storia anche di soprusi, con la capziosa estensione della tassativa elencazione costituzionale degli oggetti da escludere; con violazioni dei deliberati referendari anche plateali (ministeri abrogati e immediatamente rianimati, finanziamenti alla politica beffardamente mantenuti contro il volere schiacciante della stragrande maggioranza degli elettori, quorum negati per negligenza nella manutenzione delle liste degli aventi diritto) e tanto d’altro, nello stesso senso. Senza che nessuno abbia titolo, nemmeno i comitati referendari, pomposamente definiti potere dello Stato fino al giorno del voto, ma osservatori muti e spogliati dal giorno successivo, a opporsi con il ricorso alla Corte Costituzionale, negato, alle scorribande ripristinatrici del Parlamento. Un bel paradosso: il Parlamento contro i cittadini. In Italia si può. Nel valutare se esiste una disaffezione dei cittadini nei confronti del referendum abrogativo, nell’interpretare in questo senso la calante partecipazione, è corretto calcolare, oltre all’istigazione politica a disertare le urne, da quel fatidico invito balneare del 1991 e del 1993, la consapevolezza dell’improduttività del risultato, quello vittorioso. Nel merito di questo referendum, appaiono non prive di sostanza le diffuse critiche al meccanismo ultrapremiante per la lista più votata. Nell’angolo, però, seminascosto e quasi ignorato, c’è un altro, piccolo quesito, che mi ricorda, per l’apparente esilità, quello sulla preferenza unica del 1991. Un quesito sul quale gli stessi promotori erano incerti se insistere o meno, dopo la falciata della Corte Costituzionale, e che fu il detonatore di quelli del 1993. Il quesito di oggi riguarda il divieto della candidature multiple, un malvezzo, quasi un raggiro nei confronti degli elettori, padre naturale, probabilmente, della lista bloccata. Suggerisco, sommessamente, di darci un’occhiata prima di scartarlo. Almeno finchè si è in tempo...

venerdì 17 aprile 2009

quando il marketing sposa la politica (del Caimano)


Fino a ieri credevo che solo le scuole di marketing e comunicazione potessero indicare le linee guida dell'applicabilità di teorie sugli effetti derivanti da spot televisivi con all'interno messaggi subliminali di politica. Ma quando, nello specifico, ho capito che c'era di mezzo (come al solito) il Caimano allora mi sono arreso subito, ho alzato le mani e ho deciso di scrivere questo post. E così, mentre il buon Giulio Tremonti annaspa per trovare soldi per la ricostruzione e la maggioranza di governo si azzuffa sulle ipotesi più disparate, il presidente del Consiglio, l'ineffabile Pifferaio di Arcore, fa tesoro delle sue esperienze professionali pregresse. Eccolo allora fare appello agli amici stranieri, quelli che nei primi giorni del dopo sisma si erano proposti di inviare aiuti. Amici che d’ora in poi potranno scegliere nella lista di nozze dei Beni Culturali (gelosamente custoditi e tutelati da sua Eccellenza don Sandro Bondi) l'opera da restaurare tra tutte quelle distrutte o danneggiate dal terremoto del 6 aprile scorso. Termine non proprio appropriato, quello della lista di nozze, date le circostanze. Ma il Caimano si conferma un grande venditore, che riesce pure, con un’operazione di marketing dal valore artistico potenzialmente forte, a far passare in secondo piano il fatto che finora il governo non ha nemmeno iniziato a tamponare il dopo emergenza in Abruzzo. Tra le macerie ancora fumanti della città aquilana il Pifferaio ripete l’impegno pronunciato davanti alle bare: lo Stato c’è e gli sfollati entro l’estate (non ha detto di quale anno...) saranno sistemati in case. Finora vicino ai cittadini c’è stata la Protezione civile, il volontariato, l’intera nazione. L’idea di far adottare un monumento, un edificio pubblico distrutto o lesionato dal sisma, era venuta al beato Silvio nei primi giorni dell’emergenza. Un colloquio telefonico con il presidente americano Barack Obama aveva fatto scattare nel premier l’idea di far adottare i monumenti. E così ha annunciato che «entro la prossima settimana ci sarà l'elenco dei 38 beni artistici con le indicazioni di spesa e tempo. Sottoporrò quest'elenco agli amici che si erano offerti di assisterci nel restauro dei beni culturali». Fin qui la vulcanica immaginazione del premier consente al governo di non tirare fuori una risorsa, ma di mettere utilmente in moto finanziamenti esterni. C’è però da vedere, come ha scritto il settimanale tedesco Die Zeit (http://www.zeit.de/online/2009/16/berlusconi-italien-erdbeben), come il gran cuore del premier, questa sua pietas manifestata nella sua ormai consueta spola con l’Aquila, possa ora fare posto a una convincente politica di ricostruzione. A mio modo di vedere la sostenibilità non è mai stata un’esigenza certa e giustificata del Pifferaio. Il premier, però, stavolta ha messo la propria faccia, ha dato la propria parola per la ricostruzione. E finora, al di là della sua vicinanza espressa anche ieri a fianco dei 30 bambini delle scuole materne ed elementari che hanno ripreso l’attività didattica, di finanziamenti statali all’Aquila non se ne sono visti. La simpatia aiuta, la vicinanza agli anziani pure, ma lo slancio non si può esaurire qui. Per questo, finita la distribuzione delle magliette delle squadre di calcio e dei palloni della Champions League, occorrerà aprire il portafoglio di Stato (se proprio non vuole aprire il suo...). Non è un caso che il Consiglio dei ministri continui a slittare, nonostante l’impegno del premier a portare una coalizione riottosa ad erogare risorse. L’appuntamento è per oggi 17 aprile, alle ore 17. quando uno scaramantico premier si confronterà con i suoi sulle 17 ipotesi per reperire i fondi della ricostruzione: «Una ipotesi la casso adesso, così ne restano 16». E di ipotesi sul tappeto ce ne sono tante: dal solito aumento dell’accisa sulla benzina (ma come, non era il governo che spezzava le reni ai petrolieri?) al ricorso ad una quota dell’8 per mille destinata allo Stato per la finalità delle calamità naturali. L’idea di Tremonti è di dividere le risorse necessarie alla ricostruzione in due tranches. La prima, immediata, proveniente da misure una tantum: 5 per mille dedicato all’Abruzzo che si affiancherebbe a quello esistente per il volontariato e, ancora, riprende quota l’ipotesi di un prelievo obbligatorio sui redditi più alti che pure non piace a Confindustria ed è osteggiato da quanti sostengono che si tratti dell’ennesimo prelievo su chi paga le tasse. La seconda, più in là nel tempo, affidata allo scudo fiscale. Ovvero al maxicondono per il rientro dei capitali dall’estero. Una misura cara a Tremonti il cui ricorso era nell’aria ben prima del sisma. La verità è che il ricorso alla fiscalità in un momento di crisi crea più di un problema e rende incerto il gettito. Per una volta poi il ministro è stato battuto sul tempo da quell’Europa che lui definisce lontana. I 400 milioni di euro previsti da Bruxelles sono sempre più vicini, mentre a Roma tutto tace. Se il Pifferaio ha detto chiaro e tondo che chi vorrà ricostruire la propria casa avrà un sostegno dello Stato fino al 33%, Tremonti al momento non ha trovato niente di meglio che annunciare un ciclo di lezioni che terrà agli studenti dell’Aquila all’interno dei normali corsi di studio. Al di là della testimonianza, però, il ministro dovrà ora rispondere alla richiesta dell’ANCI (http://www.anci.it/) per l’apertura di un confronto sull’emergenza terremoto. E mentre la triade sindacale starebbe valutando l’ipotesi di celebrare il 1° maggio all’Aquila, imprenditori e lavoratori chiedono di non essere lasciati soli. In buona sostanza, e per concludere, io resto dell'idea che per rimettere in piedi l’Abruzzo occorrasì ricostruire le case ma anche garantire la ripresa delle attività. Senza marketing applicato alla politica...

martedì 14 aprile 2009

quando la verità è scomoda


Non c'è dubbio che il nervo scoperto della tragedia abruzzese sia la ricerca della verità, quella vera non quella di convenienza televisiva o giornalistica. Appena qualcuno va controcorrente (vedi il caso Santoro) subito una masnada di cacciatori di teste si mette in moto per finalizzare quel senso subdolo e antidemocratico di far cessare al più presto le voci fuori dal coro. Ma nonostante tutto, a mio avviso, di fronte al dramma del terremoto è necessario chinare il capo e chiudere gli occhi, per un attimo, in segno di profondo cordoglio. Nel momento del soccorso non si può indugiare, non si può indagare, non si può spiegare l'accaduto. Ma sarebbe comunque indecente utilizzare le calamità per chiedere di non rialzare più lo sguardo, per auspicare che nessuno si interroghi sull'accaduto, per sorvolare sulla doverosa ricerca delle responsabilità, non quelle naturali, bensì quelle che possono essere imputate agli uomini. E' proprio la gravità dei fatti, il numero delle vittime, la commozione che unisce l'intera nazione che impone di esercitare (con il massimo rigore e fuori da ogni retorica auto consolatoria) il dovere di guardare al fondo degli avvenimenti. In un Paese civile, ma non lo dico solo io, alla stampa e all'informazione in generale è demandato gran parte di questo compito. Così, purtroppo, non è in Italia. Dopo il terremoto, dopo la commozione, l'informazione scritta e televisiva (nella generalità dei casi) si è limitata a raccontare delle visite istituzionali, a riferire delle parole tranquillizzanti dei politici, a partecipare ai drammi individuali, a confidare nelle promesse collettive. Senza quasi mai interrogarsi sui fatti e sulle responsabilità. Quasi che quest'ultime dovessero essere escluse per principio, ovvero per non turbare l'animo già scosso della gente. Sino a quando una giovane ventenne, interrogata forse solo per caso da un giornalista televisivo, ha fatto un'affermazione tanto semplice quanto insopportabile per le coscienze dei cronisti, dei politici e di ogni persona in buona fede: l'unico atto di vera solidarietà e di fiducia nei confronti delle vittime è quella di indagare senza ritrosia su quanto accaduto, per verificare le ragioni umane (non quelle naturali) dei crolli di troppe strutture che tante vittime ha provocato. Pongo una domanda alquanto naturale: le normative antisismiche sono state rispettate? In fondo, che c'è di più naturale se non tentare di rispondere a questa ingenua domanda, dopo un terremoto? Eppure, ancora una volta, non a questo si è prestato attenzione. Ma si è preteso invece di denunciare lo scandalo per una trasmissione che ha voluto fare alcune domande scomode, indagando senza troppo rispetto, forse anche in modo un po' populista, magari rischiando di ledere l'immagine stereotipata di corpi armati o civili, ovvero di quella forzatamente ottimistica di corpi politici. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha definito indecente la trasmissione di Michele Santoro (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-77058772-a7cb-4e3b-bd36-cd96ae398041.html?p=0), dedicata al terremoto, rea di non avere interpretato il dramma in modo conforme alle aspettative diffuse. «La tv pubblica non può comportarsi in questo modo», ha tuonato il Pifferaio di Arcore. Persino il neo presidente della RAI, Paolo Garimberti e il direttore generale Mauro Masi hanno promesso di avviare «tutti gli approfondimenti previsti dalla normativa vigente e dai regolamenti aziendali», forse al fine di evitare in futuro che inchieste di quel genere possano turbare i nostri animi. Non sta a me certamente valutare se, nel corso della trasmissione, ci siano stati eccessi, toni troppo acuti, generalizzazioni improprie, fatti contestabili. Ciò che a me è apparso evidente è che la libera informazione ha lì esercitato il suo diritto. Fatto non scontato in Italia. Una libertà indecente perché scomoda. Tanto di più oggi, nel nostro Paese. Purtroppo.

lunedì 13 aprile 2009

caro Nomadus...


Avevo intuito che la prolungata assenza, dalle visite e dai commenti, del mio amico Davide potesse coincidere con una breve vacanza a ridosso delle festività pasquali. E non ho difficoltà ad ammettere che ero impaziente di ricevere il suo nuovo commento sotto forma di post. E puntualmente sono stato accontentato. Poco fa la mia casella postale ha ricevuto la lettera proveniente dalla Spagna ed ecco che allora ne do l'adeguato risalto pubblicandola a mò di apertura delle news odierne. Con l'occasione, caro Davide, ti giungano i miei più sinceri e calorosi auguri per queste feste appena trascorse (spero ottimamente). Ed ecco la tua lettera. Caro Nomadus, sono appena tornato da un piccolo viaggio per le vacanze pasquali e ho un pò staccato la spina dagli argomenti di attualità. Nonostante questo, le terribili notizie che arrivano dalla madrepatria mi hanno assai sconvolto e toccato. Com'è ovvio, i media locali hanno dato ampio spazio al terribile terremoto in Abruzzo. Dico subito che mi esento da sterili polemiche sull'operato delle forze dell'ordine, della Protezione civile, dei vigili del fuoco e di tutti coloro che in questi giorni e in quelli a venire si sono mossi e lo faranno per le vittime del sisma. Sono convinto che tutti hanno fatto e faranno tutto il possibile e molto di più, com'è giusto, e al di fuori di parti politiche e schieramenti. Parlando con gli amici spagnoli, comunque, quello che ha molto colpito qua (chissá perchè) è stata la frase del Pifferaio di Arcore: "prendetela come un fine settimana di campeggio". La gente di qua non ci può credere. Lo trovano oltremodo offensivo per le vittime, e una mancanza di rispetto e di tatto che non ha scusanti. Noi ormai siamo abituati (sic) ad ogni sorta di nefandezza dell'uomo in questione, e non ci stupiamo neppure piu' che arrivi a tanto perfino durante eventi così tragici. A chi glielo rimproverasse, verrebbe subito mossa l'accusa di essere un fazioso e un piantagrane, e di non "capire" la "simpatica" battuta del Cavaliere che sdrammatizza e cerca di consolare le povere vittime. Per quanto, in effetti, possa essere superfluo disquisire su frasi e contenuti sintattici in una tragedia dove migliaia di persone sopravvissute sono rimasti senza un tetto, a chi rimane un poco di sipirito critico (questo vale indipendentemente da terremoti, tsunami e cataclismi vari) non puó che irritare una idiozia del genere. Ma ci si riallaccia ancora una volta alla passività, alla totale accettazione del Capo Supremo che, vero Deus ex Machina, ci salva da tutti i mali. E come giustamente sottolinei tu, è proprio qui, al di fuori delle politiche di Palazzo, dove spesso fa uscire a spoposito la sua indole di becero avventuriero, ritrovando il timone del comando e apprestandosi a consolidare ancora di piu' la sua effigie di "unto dal Signore" che provvederá (come se fosse DAVVERO nelle sue mani e solo con quelle poterlo farlo) a sistemare le cose. Che dire? Uscirà rafforzato anche da questo evento, e ci auguriamo senza dubbio che quello che deve e che può fare per le vittime lo faccia il meglio possibile, e che renda le sofferenze di questa gente le più brevi e ridotte possibili. Per poi continuare la sua opera di risollevamento del popolo italico verso il luminoso orizzonte che tratteggia e promette. Amen. Un affettuoso saluto. DAVIDE.

domenica 12 aprile 2009

la scossa (psicopolitica) del Pifferaio di Arcore


Se mai ce ne fosse stato bisogno, la tragedia in terra d'Abruzzo di domenica scorsa ha permesso al Grande Comunicatore di assestare belle scosse psicopolitiche ai quadri della sua maggioranza. E di rimando a quelli dell'opposizione. Se nulla sarà come prima, se il clima di concordia nazionale terrà, se il Pifferaio di Arcore lo puntellerà, come dicono i suoi, «con una limatura alle politiche del governo per ridurre, entro limiti fisiologici, lo scontro con l'opposizione», e se adesso nella strada verso l’elezione al Quirinale (che gli era stata precedentemente sbarrata) pare addirittura di poter intravedere un varco, insomma se il libro dei sogni che si sfoglia in queste ore nelle stanze di palazzo Grazioli dovesse mai diventare realtà, converrà cominciare a raccontare come tutto ebbe inizio: cioè per caso. Sì, tutto è cominciato lunedì 6 aprile, di primo mattino, poche ore dopo la scossa di terremoto che ha fatto dell’aquilano un inferno sulla terra, quando la chimica del cervello di Berlusconi ha cominciato a elaborare i dati emotivi che già nella notte gli avevano scombussolato i sentimenti e la ragione. Tutto è cominciato, occhio ai particolari, con quella frase detta al telefono alle otto e mezza del mattino ai giornalisti di Sky: «Mi hanno invitato ad andare ugualmente a Mosca. Sto vedendo con concretezza che cosa posso fare io qui in più, se è il caso che rimandi il viaggio per dare un sostegno morale, oltre a tutti gli altri tipi di sostegno che la Protezione Civile sta già portando...». Poi, a mio modo di vedere, nell’Abruzzo ci si è buttato a capofitto e par quasi di non volerne più uscire: «Non vi lasceremo soli, prendo sul governo la responsabilità della ricostruzione». Ma dentro la frase dubbiosa sulla cancellazione del viaggio a Mosca c’era una decisione intimamente già presa. «Si può dire che in questi giorni Berlusconi abbia voluto ritrovare se stesso», è l’opinione di uno psicanalista che il Pifferaio di Arcore l’ha conosciuto bene. Confortato nel suo parere da quelli che con il beato Silvio lavorano gomito a gomito: «L'Abruzzo è la riscoperta della politica che lui considera anzitutto un sistema per realizzare soluzioni e fronteggiare i problemi», dicono i suoi sostenitori più agguerriti (e plagiati). Retorica, ma fino a un certo punto. Se si vuol capire come agisce il Caimano conviene ascoltare la voce di chi gli lavora accanto da quindici anni: «Nel terremoto si muove come un pesce nell'acqua, da organizzatore ». Così, come con la monnezza a Napoli è scattato il «vietato fare brutta figura», dal Prefetto all’ultimo caporale. Il dramma, i morti, hanno potenziato l’effetto comandante in capo. «Lui lì ritrova la sua cifra, che non potrà mai essere quella della politica di Palazzo». Ciò detto (dai suoi, ovviamente) il premier s’aspettava di essere accusato dall’opposizione di voler strumentalizzare il terremoto. Ma l’opposizione non l’ha fatto e lui, spiazzato, da giorni ringrazia, ne dà atto a Franceschini, e riconoscente bastona la Lega usando gli argomenti del PD. Cose dell’altro mondo. «Il processo che si è aperto potrebbe essere irreversibile. L'obiettivo è: concordia su alcuni temi e scontro politico, anche accesissimo, su altri», riflettono gli uomini del Pifferaio: «Il cambio di fase è evidente, e questo lo si deve al PD...». Così, nei rapporti di maggioranza, l’impatto del Caimano d'Abruzzo accentua e approfondisce la svolta già impressa dalla nascita del Popolo della Libertà: «La forza della sua accresciuta popolarità indebolisce giochi e manovre. In un altro quadro, con la Lega saremmo a un passo dalla crisi di governo», ragiona Giorgio Stracquadanio, uno del think-tank berlusconiano. «Bossi è un amico, ma quel che non ho concesso a Casini non lo concederò alla Lega. Abbiamo già dato, e se mai il PdL è stato in passato a rimorchio, ora non lo sarà più», si sarebbe sfogato qualche giorno fa il Pifferaio. Vedere per credere.

sabato 11 aprile 2009

tranquilli, ci pensa Silvio...


Domani, per la quinta volta in sette giorni, Silvio sarà in Abruzzo. Approfitterà della inusuale assenza del Papa per portare, durante il classico pranzo di Pasqua, la sua benedizione (la sua, non quella del Pontefice), il suo conforto, la sua promessa biblica: ricostruirà le case e farà ritornare la citta dell'Aquila più bella e più grande di prima. In questo momento particolare tutti stanno sottolineando (con giubilo o preoccupazione, a seconda del grado di autonomia critica conservata) che in campo c'è solo lui, Silvio. Sconquassati dal terremoto (per danni e lutti subìti o per senso di insicurezza percepito) l'Abruzzo e il Paese hanno una sola speranza, un solo riferimento, una sola icona: Silvio. Silvio col casco da pompiere, Silvio col piglio da direttore dei lavori, Silvio in tenuta nero-ieratica, Silvio che abbraccia commosso e consola l'anziana donna colpita da morti e rovine che singhiozza: "Silvio aiutaci tu" (grido di dolore subito trasformato in titolo di editoriale dal giornale di famiglia), Silvio che invia fra i bimbi terremotati i clowns, Silvio che si impegna a riprodurre all'Aquila e nelle altre 107 province italiane Milano2, Silvio che suggerisce agli attendati di sentirsi come in un camping, Silvio che svela di non dormire da 48 ore, Silvio che mette a disposizione dei senzatetto le sue favolose ville disseminate nelle località più mondane d'Italia, Silvio che invita tutte le forze politiche all'unità nazionale (ovviamente attorno alla sua maggioranza, al suo governo e ai suoi provvedimenti), Silvio che sollecita ancora una volta i politicanti alla riduzione dei tempi parlamentari in nome del pragmatismo, Silvio che segue i funerali non impettito tra le autorità ma dolente tra i parenti delle vittime. E il Giornale di famiglia può titolare: otto italiani su dieci promuovono il premier e la Protezione civile. In base ad un sondaggio sugli interventi del dopo-terremoto effettuato dall'IPR Marketing, per l'83% dei nostri connazionali e suoi sudditi adoranti il Pifferaio di Arcore sta facendo bene. E il "piano casa" varato da Silvio, pochi giorni prima del sisma, nel quale si prevedeva una nuova cementificazione a tappeto del Paese, Abruzzo compreso, peraltro senza alcuna norma anti-sismica? E il Silvio della nuova proroga "snellimento" delle norme anti-sismiche? E il Silvio dei tagli alla scuola, dei tagli agli enti locali, dei tagli alla sanità, dei tagli alle forze dell'ordine, dei tagli alla ricerca e all'Università e alla protezione civile che doveva controllare che a livello locale si compisse in Abruzzo tutto ciò che non è stato fatto prima del sisma? E questo Silvio, dico io, che effetto fa agli intervistatori dell'IPR Marketing? In questi giorni questo Silvio non c'era: c'era solo il Silvio benefico, salvatore, ottimista, efficiente, paterno, comprensivo, unitario. Ma ciò che in queste ore si rischia di dimenticare è che, anche prima del sisma, anche sull'affare Alitalia, sulla vicenda Rai e su tante altre vicende c'è stato e c'era in campo solo lui. Alla fine, se la cosa non mi facesse un pò sorridere, mi verrebbe proprio da dire: Silvio, Santo subito!

mercoledì 8 aprile 2009

interventismo & propaganda


Questa tragedia in terra d'Abruzzo ha fatto scattare ancora una volta la molla speciale che distingue il popolo italiano: quella della vera unità nazionale, senza confini e senza distinzioni etniche, geografiche o politiche. L’unità nazionale raggiunta in questi giorni è un bene prezioso. È indispensabile che, in un momento di difficoltà estrema, coloro che sono in prima linea (volontari, soccorritori, amministratori) abbiano nella politica un punto di riferimento certo, non controverso, non macchiato da sospetti o dilaniato da polemiche. È un fatto di dignità, ma anche di affidabilità, di fluidità delle decisioni: in definitiva di efficienza dell’intervento pubblico. La scossa forte di ieri sera delle 19 e 42 (avvertita anche a Roma, anche a Montecitorio) è un monito: ci siamo ancora in mezzo, uscire da questo dramma non sarà né breve né piacevole. Uno stato di tregua politica, soprattutto se si instaura alla vigilia di una campagna elettorale, necessita però di due requisiti: la trasparenza su come stanno andando le cose e la rinuncia alla minima tentazione di strumentalizzare ciò che accade. Per quanto riguarda il primo punto, è giusto mettere in evidenza la relativa rapidità dei soccorsi, anche di fronte alla comprensibile esasperazione di tante persone colpite. Se però ci sono delle zone grigie dell’intervento, dei luoghi o degli aspetti critici, anche questo deve essere riconosciuto, per poter affrontare i problemi nel modo migliore e senza infingimenti. Qui citiamo solo due interrogativi: la forza militare è stata impiegata al suo massimo? E qual è la condizione effettiva, uomini e mezzi, del corpo dei vigili del fuoco? Anche l’invito rivolto ieri dal Pifferaio di Arcore alle famiglie aquilane non lascia perplessi solo per la solita colorita fraseologia («andate al mare, paghiamo noi, portatevi le creme»), ma ancor di più perché allude, dandolo per scontato, a una precisa modalità di seconda fase: l’allontanamento delle popolazioni dai luoghi colpiti. Può darsi che per qualcuno sia la cosa inevitabile da fare, ma non c’è dubbio che questa decisione debba essere elaborata, condivisa, motivata, specificando tempi e modi del ritorno alla normalità. E lasciando perdere espressioni gergali come new town, con gente che è orgogliosa di vivere nella propria bella old town e pretende di continuare a farlo in sicurezza. Poi c’è il rischio delle strumentalizzazioni. Qui il discorso si fa ancora più difficile e delicato, perché nell’attività dei politici è sempre molto labile la distinzione fra gesti compiuti nell’interesse collettivo e operazioni dettate dal calcolo di parte. Quando poi c’è di mezzo il Pifferaio, la distinzione diventa al limite dell’impossibile. Avendo alle spalle casi drammatici e vergognosi di latitanze governative da situazioni d’emergenza, non si può che dire che la presenza all’Aquila del presidente del consiglio sia un fatto criticabile. Anzi. Se non è di intralcio agli interventi (e ieri non lo è stato, per fortuna...) la visibilità del capo del governo può funzionare da rassicurazione verso le vittime e da stimolo, perfino in funzione di controllo, verso la macchina dei soccorsi. Poi, certo, è difficile chiedere al Berlusca di non essere Berlusca. Dunque vanno prese per quello che sono sia le battute sugli sfollati al mare (a patto che la questione sia trattata seriamente a parte, e col concorso dei rappresentanti locali della popolazione) che la specifica «paghiamo noi», dove per noi si intende lo Stato italiano, anche se il Pifferaio fa intendere le proprie tasche. Vista la piena fiducia che il presidente del consiglio ripone nel commissario Bertolaso, rimane il dubbio sulla effettiva utilità, da oggi in poi, di una quotidiana presenza del Caimano fra gli sfollati oltre che davanti alle telecamere delle troupes inviate in Abruzzo. È chiaro che il premier gioca il bis dell’emergenza rifiuti a Napoli, che fu un mix di sacrosanto interventismo e di operazione propagandistica. In un caso tragico come l’attuale c’è una soglia oltrepassata la quale la doverosa e meritoria vicinanza alle popolazioni colpite si trasforma in passerella fastidiosa, eccessiva, in definitiva sospetta in un momento pre-elettorale. Che la scivolata sia sempre dietro l’angolo s’è visto del resto ieri alla Camera, dove si discuteva del pacchetto sicurezza e dove il ministro Maroni (e una parte della destra) ha vistosamente cercato di approfittare dell’emergenza abruzzese per neutralizzare l’opposizione alle misure più assurde di quel provvedimento. Anche Maroni ha la sua campagna elettorale e le sue operazioni di immagine da sfruttare. Ma anche nel suo caso c’è in ballo la credibilità di una istituzione in un momento critico, qualcosa di più grande di quattro voti da raccattare nelle valli padane. Dopo una tragedia di queste proporzioni, la gestione dell’emergenza e la ricostruzione sono operazioni di grande complessità. Vengono coinvolti tanti livelli, nazionali e locali, tanti Enti, tanti soggetti pubblici e privati, tanto volontariato. La competenza, la passione, le risorse economiche, lo spirito di sacrificio e di solidarietà vengono messi a disposizione di un obiettivo comune, più alto di qualsiasi interesse politico. Il giorno che tutto ciò venisse sviato, distorto, tradito, il boomerang per chi si fosse reso colpevole di un simile atto sarebbe terribile. E doloroso.

domenica 5 aprile 2009

la via Crucis dei pensionati


Manca ancora una settimana a Pasqua, ma secondo me la via Crucis dei pensionati è iniziata già lo scorso anno con la brillante idea della social card ad opera della premiata ditta (specializzata in "sole" come si dice a Roma) B & T. I pensionati italiani non portano la croce ma è come se la portassero. Basta avere la famigerata social card. Una vera e propria indecenza per centinaia di migliaia di pensionati (con la crisi che c'è hanno bisogno anche di 40 euro al mese visto le misere pensioni) che sono stati sottoposti ad un vero calvario. Quattordici stazioni: la via per condurre i pensionati dal pretorio di Pilato al sepolcro. La prima stazione inizia da un CAF (Centro Assistenza Fiscale) o patronato per essere informati, da cui poi tornano con la documentazione necessaria per il rilascio dell'ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente). Se tutto è a posto e non ricevono qualche brutta sorpresa (della serie per pochi euro si superano i limiti di reddito imposti), con la documentazione in mano i malcapitati pensionati si recano alle Poste. Dopo queste prime stazioni c'è un periodo di attese. La prima quando l'INPS raccoglie le domande per accertarne i requisiti (non sempre a buon fine); la seconda attesa dopo l'invio della card perché deve arrivare dal ministero delle Finanze il fatidico PIN: il codice numerico che consente l'uso di dispositivi elettronici solo a chi ne è a conoscenza. I giorni passano ma il codice a tanti non arriva. A questo punto c'è un percorso obbligato: altre tre stazioni dall'INPS alle Poste e dalle Poste all'INPS per apprendere, in molti casi, che il PIN non arriva perché la card, dagli accertamenti, non spetta a quel tal pensionato. Rabbia e mortificazione. Ma per i fortunati ancora non sono finite le stazioni perché, ricevuto il famoso codice, finalmente si recano a fare la spesa e a riempire i carrelli, ma, con dispiacere, vergogna e umiliazione, in tanti sono costretti a rimettere tutto a posto, negli scaffali, perché la famosa social card, sventolata come una bandiera da Tremonti, è vuota. Solo una mente diabolica poteva concepire una tortuosa e complicata trafila per ricevere l'elemosina di 40 euro al mese che, in tempo di crisi, nessuno disprezza. Ma non era più semplice inviare questi spicci (sempre come si dice a Roma) tramite la pensione evitando, tra l'altro, un costo enorme? La social card, infatti, non è a costo zero perché i cittadini con le loro tasse devono pagare la produzione fisica della tessera, la percentuale per l'esercente, la ricarica e le lettere inviate, circa 15 milioni di euro (mica bruscolini...). Uno spreco enorme di risorse ed un intasamento degli uffici dell'INPS e delle Poste i cui impiegati, per smaltire le file, hanno dovuto arrampicarsi sugli specchi per dare risposte, a volte, inconcludenti. La cosa più triste di questa vicenda è che sono stati umiliati i più disagiati, i poveri, gli ultimi della scala sociale. E francamente non se ne avvertiva la necessità di questa via Crucis da far percorrere ai poveri pensionati. Una quaresima obbligata per tanti over sessantacinquenni: digiuno e penitenza che, secondo la chiesa cattolica, inizia 40 giorni prima della Pasqua ma che, per i pensionati italiani, è iniziata nel mese di dicembre dell'anno scorso. Ringraziamo il Gatto & la Volpe. Andiamo in pace. La sola è finita.

sabato 4 aprile 2009

ce l'hanno tutti con lui...


Poi dice che uno si butta a sinistra...Adesso, parlando (e scrivendo) seriamente: il primo ministro italiano, ergo il rappresentante più qualificato e politicamente più in vista del popolo italiano (a parte il Presidente della Repubblica), si ritrova d'improvviso sulle prime pagine dei giornali, sulle home page dei siti di tutto il mondo, nei titoli dei principali telegiornali e all news del pianeta per che cosa? Per quale motivo? Per una telefonata!!?? Ma dico io: non avete altro da fare e da dire, voi signori giornalisti, che spettegolare sul destinatario della conversazione? E allora scopriamo le carte in tavola: ufficiosamente l'interlocutore telefonico era il turco Erdogan, in realtà si trattava di lady Berlusconi che, dall'altro capo del filo (e del lago, in questo caso di Como), stava informando il proprio consorte del fatto che il divo George (no no, non quello che pensate voi, ma più prosaicamente il bello di Hollywood George Clooney...) avrebbe necessità di sapere se l'abbonamento a Mediaset premium, in scadenza il prossimo 30 aprile, poteva essere prorogato almeno fino al termine della stagione di repliche della prima serie di E.R., in modo da non perdersi la registrazione delle puntate mancanti. E allora, dico io: per un affare di Stato come questo la stampa internazionale ha armato tutto questo casino? Ma è logico che poi il Pifferaio si inalbera e promette sanzioni bulgare contro i perfidi operatori della (dis)informazione, in particolar modo verso quei comunisti del TG3...E abbiate un pò di coerenza e di amor proprio (e di Stato) signori giornalisti!... Cercate di non vituperare e di non infangare il buon nome e la reputazione planetaria del nostro Pifferaio che, almeno stavolta, era davvero al telefono con la legittima consorte e non con quelle altre ciucciaciufoli delle sue bellezze al bagno (di Montecitorio), disseminate come veline nei corridoi dei palazzi che contano (e perchè no, anche nelle redazioni delle testate giornalistiche di casa Mediaset). Siate seri, se potete, signori operatori della comunicazione. E occupatevi dei problemi del mondo. E non delle questioni di abbonamento ad una pay-tv...

ma chi mandiamo a Strasburgo?




Le elezioni europee di giugno non si svolgono di certo domani, ma il tempo a disposizione per preparare le liste e per decidere alla fine chi mandare a rappresentarci (parlo almeno per chi gravita nell'area del centrosinistra come chi vi scrive) al Parlamento di Strasburgo non mi sembra poi tanto. Sono felicissimo della candidatura della giovane (non mi sembra certo una lolita, avendo 38 anni) di Udine, Debora Serracchiani, messasi clamorosamente in luce a Roma, lo scorso 21 marzo, durante l'assemblea dei circoli del PD (http://www.youdem.tv/VideoDetails.aspx?id_video=7d41e695-4803-41ea-8127-f595e2bf1899). Una donna con le idee chiare e con la faccia televisiva pronta per raggiungere quanti più elettori indecisi possibili, che oscillano nel limbo dei non berlusconizzati e degli ex sinistroidi radicali senza patria e senza scranni. Dario Franceschini ha scelto di candidare la brava e bella friuliana perchè ha capito che bisogna investire sui giovani, non più sulla nomenklatura. E come per incanto, adesso, dal PD si alza un grido d’allarme sulle liste elettorali per le europee. Non mi riferisco solo a quelli di Bassolino e Mercedes Bresso, governatori tagliati fuori dalla regola di Franceschini sulla incompatibilità per gli amministratori. Faccio riferimento a qualcosa di più grave. Il segnale che i capi del partito stanno lanciando (forse senza rendersene conto) agli elettori e anche agli avversari: il loro disimpegno dalla corsa personale per Strasburgo, a cominciare da quello del segretario, viene letto come rinuncia a competere per vincere. Come riconoscimento anticipato di sconfitta. Al limite, nelle versioni più maligne, come desiderio di non farsi coinvolgere troppo.Non metto in discussione il senso e la correttezza della scelta di Franceschini, accompagnata (o seguita? o preceduta?) dalle rinunce di D’Alema, Rutelli, Fassino, Veltroni, Bersani, Marini. Persone serie, ci mancherebbe altro, che non vogliono però seguire il Pifferaio di Arcore nell’inganno di candidarsi per un seggio che non occuperebbero mai. Già, però è obbligatorio chiedersi: quanto paga questa correttezza? E qual è, di converso, il suo prezzo? Dispiace dirlo, ma l’argomento usato dal caimano per rispondere su questo punto funziona: certo che sono capolista solo per bandiera, ha detto, lo faccio perché questo è il compito di un leader. Nelle schermaglie della campagna elettorale questo sarà il suo tormentone. Rivolto a quali interlocutori, però? A quali rivali? A Cofferati? A Silvia Costa? A Bettini? A D’Antoni? Tutti dirigenti di primo piano e di prima qualità, ma l’elettore normale si chiederà: sono questi i capilista del Partito Democratico?, dunque gli avversari di Berlusconi capolista in tutte le circoscrizioni, e dei suoi ministri più popolari? Correttezza versus muscoli. Questa rischia di essere la scelta di fronte alla quale si troveranno gli elettori. In tempi di crisi, di disorientamento, di insicurezza, non c’è neanche da dubitare su dove possa pendere la bilancia. Non quella degli elettori già decisi (che già danno una bel vantaggio al Popolo della Libertà), ma quella degli indecisi. Si dice: vogliamo nelle liste gente che sappia raccogliere voti sul territorio. Sacrosanto (più che altro inevitabile, con le preferenze). Basta coi paracadutati e con gli amici degli amici e con i figli di. Si dice anche, nella base del PD: fateci scegliere i nostri candidati, vogliamo contare e vogliamo un rinnovamento autentico. Tutto giusto. Infatti qui si discute sui capilista, le bandiere, non sul corpo dei candidati. E si discute di leader, del tipo di quelli citati, che sono stati recordmen di preferenze raccolte. «Quando la casa brucia tutti devono dare una mano» questa è la recente frase di Sergio D’Antoni, che pure si vorrebbe capolista al Sud. Come dargli torto? Aggiungiamo che i duelli intestini al Partito Democratico, di cui si ha notizia qua e là in questi giorni, sarebbero molto meno gravi (anzi, forse non ci sarebbero affatto) se non dovessero riguardare i primi posti, bensì le posizioni di rincalzo. La decisione è presa, dunque, e questa vale solo come recriminazione. Cioè poco più di nulla. Speriamo vivamente di non dovercene ricordare l’8 giugno, pentendoci a cose fatte come è già accaduto lo scorso anno a proposito della scelta degli alleati (e, anche allora, dei candidati). Chi vivrà vedrà.