l'Antipatico

domenica 28 settembre 2008

il lecchino del cavaliere


A volte misurare la professionalità di un bravo giornalista è un compito non propriamente facile. Misurarne il grado di lecchinaggio, invece, è praticamente un gioco da bambini. Stiamo parlando del megafono ufficiale di Sua Emittenza, prolungamento umano del microfono personale del cavaliere. Colui che se un giorno decidesse di abbandonare la Rai diventerebbe immediatamente il portavoce del caimano al posto di Bonaiuti. Ebbene sì, anche questa volta Bruno Vespa ha dato riprova del suo personalissimo stato di devozione (quasi più dell'inimitabile Fede) nei confronti del presidente del Consiglio e lo ha fatto con la sua ultima, ennesima "fatica" cartacea: il libro edito dalla ERI Edizioni Rai e dalla Mondadori dal titolo "Un'Italia diversa - Viaggio nella rivoluzione silenziosa" che sembra una continua ed infinita sviolinata al divin Silvio, tratteggiato come il solo ed unico salvatore della Patria e della nostra compagnia di bandiera. Sì, perchè il buon Vespino, con mirabile tempestività e con sublime opera di lecchinaggio, fa troneggiare la figura del premier all'interno del libro dandone un ritratto così santificante, così smielato da far venire l'iperglicemia. E la chicca più bella è quella regalata dal premier su Alitalia: se non fosse stato presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi non avrebbe esitato un istante ad acquisire una quota «importante» di Alitalia. Per il resto, il premier ripete la sua convinzione che sullo svolgimento della vicenda ha pesato, e non poco, la politica. «I sedici imprenditori, tutti motivati dal mio appello, hanno accettato con convinzione - ha spiegato Berlusconi - la proposta di mettere a disposizione fondi cospicui in nome dell'interesse nazionale, per conservare all'Italia la sua compagnia di bandiera: ma ogni investimento deve produrre utili non perdite. La Cgil dopo aver detto un "quasi sì" si era adeguata alle pressioni della sinistra ed alla sua logica del "tanto peggio tanto meglio" pur di dare un colpo al governo, privilegiando i suoi interessi di parte invece di quelli del Paese». Quanto al ruolo del PD, i vertici del partito «hanno prima irriso e contrastato in tutti i modi il progetto su cui mi ero impegnato fin dalla campagna elettorale. Poi, quando hanno dovuto constatare che gli imprenditori e i finanziamenti esistevano davvero, pur di scongiurare un mio nuovo successo dopo quello di Napoli, hanno giocato contro il governo e contro il Paese per far cadere su di noi la colpa del fallimento delle trattative, gli scioperi, l'interruzione dei voli e il fallimento dell'Alitalia. Ma l'opinione pubblica ha capito il gioco e si è schierata dall'altra parte. Così il segretario del PD ha dovuto cambiare frettolosamente strategia cercando poi addirittura di attribuirsi il merito del buon esito della vicenda. Credo si debba constatare che c'è in Italia un governo nuovo, un governo che ha il coraggio di esporsi in prima persona assumendosi il rischio di obiettivi difficili e importanti e che ha il coraggio delle decisioni forti come raramente si è visto nei governi che ci hanno preceduto e nella storia della Repubblica. Il Partito Democratico deve rassegnarsi a questa nuova forza del governo e della sua maggioranza. Gli italiani per conto loro lo hanno già capito molto bene». In un altro passaggio di questo nuovo best seller dell'editoria, Vespa osava riferire al cavaliere la sua personalissima impressione di non vedere in lui quel cinismo e un pò di quella cattiveria che animavano Margareth Thatcher; al che Berlusconi osservava che sulla vicenda Alitalia c'era poco da essere cinici o cattivi. «Le offerte contrattuali della nuova compagnia sono arrivate dopo una trattativa serrata con i sindacati e con il governo. Ripeto: non si può chiedere a degli imprenditori di dare vita ad un'attività che produca solo e sempre perdite». Ascoltata questa santificata risposta, il buon lecchino abruzzese non ha potuto far altro che genuflettersi davanti al suo idolo e porgergli con devozione il suo libro chiedendo umilmente un autografo con dedica, oltre alla scontata benedizione. Andiamo in pace.

martedì 23 settembre 2008

in difesa di Guglielmo Epifani


Dopo qualche giorno di volontaria astensione di pensiero e di scrittura, per cercare di capire qualche cosa sul caso Alitalia, oggi abbiamo deciso di dedicare la nostra attenzione (e la nostra solidarietà) al segretario generale della CGIL Guglielmo Epifani, praticamente l'uomo nel mirino della più feroce critica di questi ultimi anni a causa del suo irrigidimento sulla questione della nostra compagnia di bandiera. Il cavaliere, per esempio, non ha perso occasione per attaccare frontalmente il leader sindacale, accusandolo di essere l'unica causa del fallimento del tavolo della trattativa per finalizzare la cordata CAI, mal vista fin dall'inizio da piloti e assistenti di volo (e dallo stesso Epifani). Per fare partecipi i lettori di questo blog delle nostre considerazioni e riflessioni sulla figura del segretario confederale, vi vogliamo sottoporre due elementi: uno televisivo e uno giornalistico. Il primo è la puntata integrale del colloquio svoltosi tra Epifani e Lucia Annunziata nel corso della trasmissione di RaiTre "In 1/2 h" di domenica pomeriggio. Il secondo elemento (una sorta di difesa d'ufficio a favore del leader della CGIL) è dato dall'articolo scritto e pubblicato stamani su il manifesto a firma di Loris Campetti dal titolo "Compagni di merende" che vi riproponiamo integralmente. Buona lettura. E buone riflessioni. Una compagnia di giro incombe sui cieli d'Alitalia. Brandendo un cannone che ha sovrimpressa la parola d'ordine della cordata, "italianità", minaccia di abbattere la nostra flotta. Berlusconi ha arruolato 16 capitani, sottotenenti e marescialli - coraggiosi si fa per dire -, dato che dall'inizio sognano solo di imboscarsi per poi ritirarsi in buon ordine. Ma la delega più importante il Cavaliere l'ha affidata ai giornali e alle tv di complemento. In un mondo dove una notizia esiste solo se lo decidono i media, e se non esiste se la inventano, Berlusconi non si accontenta di dettar legge sulla metà delle reti e dei giornali, di cui è padrone, e a colpi di egemonìa si fa largo fino in via Solferino (patria del Corriere), straborda a Saxa Rubra (la corazzata RAI, non esclusa l'ammiraglia TG1) e arriva fino a piazza Barberini (voi non lo sapete, è qui che viene elaborato il Riformista-pensiero). I compagni di merenda hanno un obiettivo chiaro: colpire a morte la CGIL, causa di tutti i mali. L'arma usata è, per ora, l'Alitalia e i suoi 18.500 ostaggi, usati come proiettili da spedire contro Guglielmo Epifani e il suo quartier generale. E' colpa del segretario della CGIL se il più improbabile e odioso dei piani per liberarsi della compagnia di bandiera è fallito. Domani potrebbe essere ancora Epifani il killer, da mettere alla gogna, di un altrettanto improbabile accordo con la Federmeccanica che pretende dai sindacati subalternità e complicità e dai lavoratori braccia, cervello e sangue: prendi tre e paghi uno. Direttori ed editorialisti non pretendono da Epifani il consenso sull'operazione truffaldina di Berlusconi: si accontentano di una firma, insomma che si adegui. Se poi Epifani risponde: trattiamo ancora, cerchiamo un'intesa condivisa, ma ottiene un secco rifiuto da chi vuole comandare e non trattare, i cannoni si posizionano e sparano ad alzo zero contro di lui. I compagni di merenda sognano un campo di battaglia in cui siano gli stessi lavoratori a colpire a morte la CGIL. A questo scopo intervistano quinte colonne e agitano una seconda "marcia dei 40 mila" arruolando piloti e dissidenti: purtroppo per loro, riescono ad armarne non più di un'ottantina. Quel che non si accetta della "resistenza" di Epifani è l'idea che senza il consenso dei piloti e degli assistenti di volo, cioè di chi consente ai nostri aerei di alzarsi in cielo, qualsiasi accordo sarebbe carta straccia, destinato al fallimento. Ma cosa volete che capisca di queste "sottigliezze" chi ha in testa un modello autoritario e centralista delle relazioni sindacali, ma anche sociali, politiche, umane? Arruolare Epifani nelle fila dell'"estremismo", come fa il vicedirettore del Corriere ed ex sindacalista (della UILM, frazione di sinistra), Dario Di Vico, vuol dire ignorare la sofferenza con cui il segretario della CGIL, a differenza dei suoi colleghi di CISL e UIL, sceglie di non adeguarsi, cioè di non accettare quel che non è accettabile dai lavoratori e dal suo stesso sindacato, e di non firmare a nome di chi non rappresenta. La democrazia non è un fatto di metodo: è sostanza.

venerdì 19 settembre 2008

una ingloriosa uscita di pista




Siamo costretti, nostro malgrado, a ritornare a scrivere del caso Alitalia dopo quello che è successo ieri pomeriggio, al termine del risibile ultimatum fissato alle 15.50 prima di dichiarare conclusa la trattativa (se così vogliamo chiamarla) e ritirare l'offerta da parte della CAI e di Colaninno (se di offerta si poteva parlare). Ora, immaginiamo, comincia lo scaricabarile. Tutti contro tutti. E' colpa dei piloti. No di Epifani. Ma no è il cavaliere che ha fallito. Classico muro contro muro di chi, poco intelligentemente e poco realisticamente, non ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. Adesso al danno che il Paese subisce per il naufragio di Alitalia si aggiunge anche quello del veleno che il caso ha prodotto e che chissà per quanto tempo avvelenerà i rapporti tra maggioranza ed opposizione, tra queste e i tanti sindacati che hanno avuto una parte nella storia, tra gli stessi sindacati. Se si dovesse celebrare un formale processo per l'accertamento delle responsabilità, occorrerebbero anni per giungere a sentenza. Infatti il salvataggio della nostra compagnia di bandiera è fallito non solo e non tanto a causa della mancanza di una pur fragile possibilità industriale per farla sopravvivere, quanto perché, dopo lo scempio che la politica ne ha fatto negli anni anche lontani, l'inglorioso epilogo è stato il naturale risultato di una sciagurata condotta (da qualsivoglia versante) nella gestione della crisi, sotto ogni punto di vista. Ci sono tanti motivi per ritenere che l'ultima fase della trattativa sia stata tecnicamente condotta male: la drammatizzazione dei tanti ultimatum nessuno dei quali ultimativo, la successione di tanti "giorni decisivi" che scorrevano senza decisioni, le casse dichiarate vuote da settimane ma dove soldi ancora ce n'erano come dimostra il fatto che gli aerei continuavano a volare. Ma ce n'è uno che ha dominato su tutti, ed è il gioco politico che cinicamente è stato condotto sulla pelle della compagnia di bandiera. Non si tratta solo del ruolo avuto da Berlusconi nel far saltare l'accordo con Air France agitando una soluzione "italiana", ma anche dell'assemblaggio di una cordata di imprenditori che con il trasporto aereo non hanno mai avuto niente a che fare e che, quindi, erano mossi da finalità estranee a quelle dell'impresa aerea; del tentativo di creare il precedente di un contratto di lavoro con condizioni peggiorative; della politica volta a mettere i sindacati autonomi nell'angolo e di dividere i sindacati confederali isolando la Cgil per legittimare l'Ugl.
Tanto hanno interferito finalità estranee all'impresa del salvataggio di Alitalia che questa specie di trattativa è stata condotta da tutti senza alcuna prospettiva di accordo con un forte partner straniero, essenziale per la riuscita di un qualsiasi realistico progetto di rilancio. Cosa succederà ora non è possibile preventivarlo perché nessun quadro attendibile della situazione è stato fornito. Il governo ha agitato lo spettro del fallimento, ma ora sembra che ci sia tempo se diversi esponenti politici vanno prospettando non meglio identificate alternative. L'ipotesi che si può fare è che il commissario abbia manifestazioni di interesse per qualche pezzo buono di Alitalia. Del resto, si sapeva che in molti (qualche compagnia straniera e, forse, la stessa cordata di Passera e Colaninno) stavano all'erta per intervenire nel caso di un fallimento con l'acquisto (ovviamente a prezzi stracciati) della "polpa" della compagnia: il marchio, gli slot, una parte degli aerei: pezzi del patrimonio che la cordata avrebbe rilevato senza che ne sia stata fatta o comunicata un'esatta valutazione. Dietro il cumulo di macerie politiche e sindacali, quindi, la storia dell'Alitalia potrebbe non essere ancora giunta all'ultimo capitolo. Del resto, se l'Italia ha bisogno di una compagnia aerea, ci sarà chi non mancherà di soddisfare tale esigenza. E quel marchio col tricolore sulla coda un valore e una funzione comunque ce l'ha. Questo può essere il calcolo che ha indotto piloti ed assistenti di volo a salutare, ieri a Fiumicino, con un chiassoso applauso la notizia del ritiro dell'offerta della Cai: per far volare gli aerei loro saranno comunque necessari; e a tutti gli altri qualcuno ci penserà. Un altro triste aspetto di questa brutta e ingloriosa uscita di pista.

martedì 16 settembre 2008

l'ottimo ritorno in tv di Gad Lerner


Una prima serata televisiva, quella di ieri sera su La7, di ottimo livello qualitativo e di partecipazione giornalistica garantita dal ritorno in video di Gad Lerner e dal suo programma L'Infedele, giunto alla sua settima edizione. Il protagonista (non propriamente positivo) della serata è stato Giuliano Tavaroli, ex responsabile unico della Security di Pirelli e di Telecom, indagato e prossimo al rinvio a giudizio (unitamente ad altre 34 persone) dalla Procura di Milano per il famoso "dossieraggio Telecom", con la pesante accusa di associazione a delinquere, corruzione, detenzione e divulgazione di materiale riservato. Tavaroli si è confrontato con Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera, il cui computer e il cui conto corrente bancario furono spiati proprio dall'ex carabiniere. La puntata di ieri sera aveva il titolo eloquente di "Tavaroli e la guerra delle spie". Oltre a Tavaroli e Mucchetti hanno partecipato al programma di Lerner anche i giornalisti Peter Gomez e Concita De Gregorio, lo scrittore di spionaggio Giorgio Boatti, il criminologo Ernesto Savona e il docente del Politecnico di Milano Maurizio Decina. Anche se tutti lo hanno negato, il talk show è stato una prova generale del processo la cui celebrazione, però, è in forse proprio a causa dell'eventualità che gli imputati patteggino, impedendo così (come ha giustamente denunciato Mucchetti) "l'accertamento della verità in un processo pubblico". Dopo essere stato ringraziato da Lerner per essersi presentato proprio nella televisione di proprietà della Telecom, Tavaroli ha parlato dei suoi giorni trascorsi in galera. Ha spiegato come ha raccontato ai suoi 5 figli la sua disavventura giudiziaria. E ha presentato il suo libro, "Spie", scritto insieme a Boatti ed edito dalla Mondadori. Il leit motiv della difesa di Tavaroli è stato per tutta la trasmissione lo stesso: "Agivo nell'interesse dell'azienda e del Paese", e ancora "Le informazioni raccolte servivano per le strategie aziendali, per scegliere i fornitori, per difendersi dalla concorrenza all'estero e dalla criminalità" specificando che la società incaricata del dossieraggio (la famigerata Polis d'Istinto del suo amico d'infanzia Emanuele Cipriani) "vendeva le informazioni non solo a Telecom ma anche ad altre aziende italiane e straniere". Alla domanda di Peter Gomez "ma cosa c'entrava la sicurezza aziendale e nazionale con lo spionaggio di Mucchetti e il tentativo di farlo adescare da una prostituta di lusso in un bar di Milano?" l'imbarazzato ex manager Telecom rispondeva con un "Forse non c'entrava niente, ma non è questa la sede per discuterne; lo farò nelle sedi opportune". In buona sostanza si è intuita l'estrema difficoltà di Tavaroli di fronte a giornalisti che hanno seguito passo passo tutta l'inchiesta (da citare soprattutto quella di Giuseppe D'Avanzo e Carlo Bonini su la Repubblica) e che lo hanno spesso sbugiardato su quanto andava affermando, con un Gad Lerner particolarmente incalzante e con una splendida e caustica Concita De Gregorio che ha replicato con una intelligente e disarmante pacatezza nei toni. In ultimo rinnoviamo i nostri più sinceri complimenti a Gad Lerner.

sabato 13 settembre 2008

il canto del cigno di ALITALIA


Sembra di stare al capezzale di un malato terminale. Nonostante l'encefalogramma piatto tutti i dottori, i professoroni (o presunti tali) si affannano accanto a quello che oramai è un'identità senza più vita e senza più possibilità di miracolistici interventi (anche se il cavaliere dice "ghe pense mi"). L'Alitalia è proprio così, è giunta al capolinea, all'hangar dell'oblìo. I Fantozzi, i Sacconi, i Matteoli continuano a iniettarsi siringhe di ottimismo e di autoconvinzione, ben sapendo che sono vuote. Non c'è più niente da fare, è troppo tardi. Ma noi vorremmo ricordare, in questo triste momento per la storia dell'aviazione italiana, che il problema di Alitalia non è di questi ultimi giorni, settimane, mesi. Nossignori, è dal 1987 che la compagnia di bandiera ha iniziato la picchiata verso il basso senza più controllo, senza più neanche l'ausilio del pilota automatico (lo Stato). Negli ultimi 20 anni un errore dopo l'altro, un consigliere d'amministrazione dopo l'altro, un presidente dopo l'altro hanno determinato la fine di Alitalia, dell'azienda Alitalia. Prima del 1987 nei bilanci annuali di Alitalia il "rosso" non si sapeva nemmeno cosa fosse. In quegli anni la compagnia di bandiera era un'azienda che aveva una strategia di sviluppo, che recitava un ruolo primario nel mondo, che vendeva tecnologia ai giapponesi e agli americani, che era in grado di trasformare un'azienda di Stato in un'impresa. Fino a che non intervenne l'IRI a gamba tesa, decapitando quel sistema. Di conseguenza si ebbe un'azienda peggiorata, senza più la concezione e la capacità di recitare un ruolo primario internazionale. E giù ancora errori su errori. Ministri su ministri totalmente incapaci e inadeguati a fronteggiare la caduta libera di Alitalia, smantellando un intero sistema, tagliando rami secchi e non, togliendo le officine di manutenzione e le merci, cambiando il vertice aziendale 16 volte in 15 anni. Una vera e propria catastrofe. Una continua e irrefrenabile contrazione. La cultura della riduzione dei costi non ha affatto aiutato: un costo alto si recupera con nuovi prodotti (come ha fatto la FIAT), invece si sono tagliate linee internazionali fondamentali, sono stati tolti i charter. E nel mercato europeo le low-coast ti fanno fuori senza pietà. E adesso? Non resta che attendere il canto del cigno dell'Alitalia, con i 16 imprenditori italiani (tanto decantati dal cavaliere) a far da corollario. Ma allora, non era meglio vendere la compagnia di bandiera questa primavera ad AirFrance-KLM? Almeno un risultato si sarebbe raggiunto: quello di avere meno macelleria sociale.

giovedì 11 settembre 2008

le barzellette del cavaliere


Francamente non ci stupiamo più di tanto quando ci capita di ascoltare qualche dichiarazione (ufficiale o meno) del nostro attuale presidente del Consiglio. Lui lo ha sempre detto di essere un tipo scherzoso e allegro, amante delle battute (anche se magari non fanno ridere) e delle barzellette (sua reminiscenza di quando lavorava sulle navi da crociera). Un presidente del Consiglio dedito agli apprezzamenti per il gentil sesso e alle occhiate allupate quando se ne presenta l'occasione. Ma la barzelletta raccontata ieri a Londra, durante la sua visita ufficiale a Gordon Brown, sull'Italia e gli italiani, ha fatto scompisciare anche chi non l'aveva capita. "Credo di essere il presidente del Consiglio di un Paese molto solido" (a noi sembra che galleggi invece qualcosa di maleodorante) e poi "Un Paese in cui c'è un alto livello di vita" e ancora "un Paese in cui c'è un alto livello di benessere". Insomma una raffica di battute micidiali che hanno fatto piegare in due i giornalisti presenti alla conferenza stampa, quasi tutti con le lacrime agli occhi per le grasse risate mentre il cavaliere si compiaceva della sua performance quasi ai livelli da Zelig o da Colorado Cafè. Che dire. Siamo davvero orgogliosi di essere rappresentati da un presidente così. Davvero.

lunedì 8 settembre 2008

Veltroni alla Festa Democratica


Questa volta non vogliamo scrivere un classico post come avviene nella migliore delle tradizioni, ma vogliamo limitarci ad inserire l'intervento integrale del segretario del PD, Walter Veltroni, alla giornata conclusiva della Festa Democratica svoltasi alla Fortezza da Basso di Firenze. Quasi due ore di riflessioni e di idee sviluppatesi nell'intervista di Enrico Mentana da seguire con attenzione (http://www.democratica.tv/video/4946) e partecipazione, ricavandone una sorta di decalogo del pensiero attuale di Veltroni.

domenica 7 settembre 2008

buon compleanno GOOGLE


Esattamente 10 anni fa due giovani americani (sconosciuti studenti della Standford University), Larry Page e Sergey Brin, ottennero dalla apposita commissione americana l'inserimento del loro marchio nella lista delle aziende operanti nello Stato della California. Nacque così la storia di Google, motore di ricerca che ha macinato record su record: due miliardi e mezzo di contatti al mese sono numeri da capogiro. Quando il 7 settembre 1998 Page e Brin decisero di fondare la loro societa' non avevano altro che quattro computer e la scommessa di un investitore che li finanzio' con 100.000 dollari, credendo che il loro motore di ricerca Internet avrebbe potuto cambiare il mondo dell'informatica. Oggi, a soli 35 anni valgono circa 19 miliardi di dollari ciascuno. Non male come crescita. Una storia iniziata in tempi particolari: erano gli anni di Bill Clinton e della New Economy, l’idea che l’economia della globalizzazione avesse principi nuovi, meccanismi nuovi e uno strumento nuovo su cui basarsi, per l’appunto il web. Il loro merito (di Page e Brin), dicono gli esperti, fu quello di sviluppare l’intuizione di HyperSearch, motore di ricerca messo a punto da un italiano, Massimo Marchiori, considerato uno dei 100 giovani ricercatori più importanti del mondo. Oggi insegna a Padova e collabora con l’Mit di Boston. Anche secondo Marchiori l’importante di una pagina Web è la sua capacità di mettersi in relazione con il numero maggiore possibile di pagine sorelle, formando una rete di dati che, se non proprio conoscenza, crea senz’altro informazione. Avevano ragione, Page e Brin. Lo dimostra il fatto che sono riusciti con la loro azienda a superare la crisi della New Economy e della bolla informatica, scoppiata all’inizio del decennio. Non a tutti è andata così bene: Gene Kan, il loro collega che contemporaneamente a loro, dall’università di Berkeley, aveva lanciato Gnutella, nel 2002 non c’era più. Nonostante fosse stato incoronato da "Time" uno dei 12 "geni digitali" del Paese, aveva posto fine ai suoi giorni imbottito di Prozac e di depressione. Google non è una multinazionale dalle dimensioni ciclopiche. È la quarta azienda nel settore dopo, nell’ordine, Microsoft, Ibm ed Apple. Le cifre del fatturato indicano che è grande un terzo la creatura di Bill Gates. Ma ancora oggi il New York Times non esita a scrivere che "se nell’ultimo decennio è emersa come l’affare più importante su Internet, nella prossima era informatica ci si attende che dominerà il mercato come la Microsoft ha fatto nell’era del personal computer". Il futuro è ancora di fronte. La lotta, comunque, resta dura. Ma intanto i due fondatori si godono (oltre ai miliardi) questa festa per i dieci anni della loro creatura. Buon compleanno Google!

giovedì 4 settembre 2008

liberiamoci da LIBERO (e da il Giornale)




Francamente ci rimane difficile capire come lo Stato possa finanziare, con un'apposita legge, a suon di centinaia di migliaia (a volte milioni) di euro dei giornali, o presunti tali, come ad esempio i due che abbiamo evidenziato nelle foto a corredo di questo post. Due quotidiani che proprio ieri mattina hanno dedicato la loro prima pagina al medesimo argomento, di vitale importanza e di risonanza mondiale: una caduta in mare di Massimo D'Alema ripresa dalla copertina di Novella 2000. Ora ci domandiamo: ma con tutti i problemi, nazionali e transnazionali, con tutti gli accadimenti nel pianeta, con le paure da guerra fredda e con le crisi economiche mondiali in atto, i direttori Feltri e Giordano dovevano dare il massimo spazio mediatico a una seppur goffa caduta in mare di Baffino? E qui ci sovviene un piccolo moto di riflessione. Uno dei due quotidiani, manco a farlo apposta, è di proprietà del fratello del presidente del Consiglio; l'altro è come se lo fosse. Quindi è facile fare due più due. Quale migliore occasione di visibilità (negativa) quella di sbertucciare D'Alema in prima pagina suscitando così l'ilarità (e l'intima goduria) del loro affezionato "padrone" di Arcore? E i due disciplinati direttori non si sono lasciati sfuggire la ghiotta occasione. Ai tempi del governo Prodi i due giornalini ci avevano abituati a continui attacchi e viscidi improperi nei riguardi dell'allora premier e della formazione politica (alquanto variegata) da lui capeggiata; oggi Feltri e Giordano continuano nella loro infelice e disgustosa linea filoberlusconiana, avvalendosi dei soldi pubblici e di quelli spesi dai lettori (a nostro modo di vedere alquanto plagiati politicamente) per pavoneggiarsi mediaticamente alla faccia della reale libertà di stampa e d'informazione. Noi inviteremmo i lettori dei due giornaletti a spendere in altro modo l'euro destinato a Feltri e Giordano. Magari inserendo la moneta nel bussolotto delle offerte della chiesa più vicina, ottenendo così un duplice e sacrosanto risultato: fare una bella offerta per i bisognosi e liberarci (non sappiamo se definitivamente) da Libero e da il Giornale. Amen.

lunedì 1 settembre 2008

non dimentichiamoci di Denise


Torniamo dalle vacanze rilassati e ben predisposti per una nuova stagione di fatiche, di divertimenti, di amicizie e di quant'altro scandisce la vita quotidiana. Ma un pensiero proprio oggi, 1° settembre, ci attanaglia e ci intristisce.
Il 1° settembre di quattro anni fa spariva nel nulla a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, la piccola Denise Pipitone, che compirà otto anni il prossimo 26 ottobre. La madre, Piera Maggio, che in questi anni ha condotto una vera e propria battaglia per ritrovarla, respinge l’idea di una possibile chiusura delle indagini e oggi ha annunciato l’avvio dello sciopero della fame «per sensibilizzarel’opinione pubblica sul dramma dei bambini scomparsi». «Il dolore c’è - spiega la madre della bimba in un’intervista a La Sicilia - ed è forte, più trascorre il tempo più si aggrava. Vivo però per non arrendermi e poi Denise è sempre nei nostri cuori e avverto la presenza, è più viva che mai. Il ricordo di Denise, la sua ricerca, devono appartenere a più gente possibile. La aspetto a casa per riabbracciarla». «Chiedo - aggiunge la donna - che la campagna di sensibilizzazione non si fermi mai. Denise non ha girato quell’angolo di casa andando per i fatti suoi, la certezza è che qualcuno più grande l’ha presa e l’ha portata via, ci sono persone a conoscenza oltre quelle che hanno fatto questo, da 4 anni attendo che ci si faccia sapere qualcosa in ogni forma, anche anonima, il mio interesse è avere mia figlia a casa. Il resto non mi interessa». Piera Maggio torna poi a chiedere al Governo l’introduzione del reato di sequestro di minorenni. La vicenda di Denise presenta ancora molti lati oscuri che le indagini in questi anni non hanno colmato. Esiste un procedimento aperto a carico di Jessica Pulizzi, sorellastra della bambina, ma senza ulteriori eclatanti sviluppi. «Ho saputo - spiega Piera Maggio - che stanno ricostruendo un possibile «invecchiamento» del volto della mia bambina, una ricostruzione che dovrà servire per fare continuare le ricerche, utile a chi la possa incrociare per strada, ma chiedo che si guardi con attenzione anche dentro le famiglie, non per forza Denise deve stare e vivere in strada». Piera Maggio si è detta convinta anche dell'esistenza di persone «che possono sapere qualcosa su questa scomparsa. C’è una verità che è palpabile, ma non si coglie perchè c’è chi la nega. Sappiamo come si sono svolti i fatti e il non potere fare nulla aumenta il dolore e produce una stanchezza insopportabile». Il suo impegno punta anche a una legge «che punisca severamente il rapimento non a scopo di estorsione dei minori: oggi è concesso più tempo per potere indagare su un furto aggravato che non per il rapimento di un bambino». Il nostro cuore è accanto a quello di questa splendida madre coraggio. Sperando insieme a lei nel ritorno di Denise.